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Sanatoria colf e badanti 2009 – I diritti del lavoratore dopo l’inoltro della domanda

E' possibile cambiare datore di lavoro prima della stipula del contratto di soggiorno?

Da più parti si richiedono informazioni riguardanti i diritti del lavoratore dopo l’invio della richiesta telematica di emersione dal lavoro nero.

La questione sollevata è di primaria importanza tenuto conto dei lunghi tempi di attesa previsti tra l’invio della domanda e la successiva convocazione allo Sportello Unico.

In primo luogo è utile ricordare che la legge che ha istituito alla sanatoria prevede che la procedura si perfezioni con la convocazione presso lo Sportello Unico e la conseguente sottoscrizione del contratto di soggiorno.

Infatti, come stabilito al comma 7: La mancata presentazione delle parti senza giustificato motivo comporta l’archiviazione del procedimento.
La questione ha fondamentale rilievo soprattutto per quanto riguarda i reati sospesi dopo l’invio della domanda, che verrebbero imputati successivamente a quei datori di lavoro ed a quei lavoratori che non perfezionino la loro pratica.

La previsione è poi rilevante anche per la questione contributiva visto che la comunicazione di assunzione verrà effettuata all’Inps solamente all’atto della convocazione presso lo Sportello Unico. Che ne sarà dei contributi non versati successivi al 30 giugno 2009 e fino al momento della comunicazione Inps, verranno richiesti come arretrati?

Si può da questi elementi trarre la conclusione che, nelle more del procedimento (cioè dopo l’invio della domanda e prima della convocazione) non vi sia un diritto di soggiorno per il lavoratore ed un vero e proprio rapporto di lavoro in corso?
Assolutamente no. Lo stesso invio della domanda rappresenta la certificazione di un rapporto di lavoro in corso e garantisce l’inespellibilità del lavoratore.

Ma cosa accadrà a quei lavoratori che, dopo aver inviato la domanda ed in attesa della convocazione presso lo Sportello Unico vorranno risolvere il loro rapporto di lavoro?
Si tratta di una casistica sicuramente varia e molto frequente che può verificarsi per i motivi più banali, a partire dal venire meno del rapporto di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore così fondamentale nel caso del lavoro domestico.
Innanzi tutto dobbiamo specificare che il contratto collettivo nazionale del lavoro domestico prevede la possibilità, per entrambe le parti, di risolvere il rapporto di lavoro. Anzi, a differenza dei contratti di altre categorie questa possibilità è ancor più intensificata dal fatto che è previsto solo il vincolo del preavviso per il licenziamento del lavoratore
L’articolo 38 del citato CCN che disciplina il lavoro domestico prevede che “il rapporto di lavoro può essere risolto da ciascuna delle parti con l’osservanza dei seguenti termini di preavviso (…seguono i termini).

E’ possibile dunque legare il destino del datore di lavoro e del lavoratore (e del suo diritto di soggiorno) alla previsione di un rapporto di lavoro che non potrà risolversi in nessun caso prima della stipula del contratto di soggiorno?
A nostro avviso no.

Per il momento il Ministero dell’Interno si è pronunciato solamente su due questioni che hanno a che vedere con questo tema.
A dir la verità non vi è alcun documento con valore di legge che dia indicazioni in merito, neppure una circolare che dia precisazioni sul tema. Si tratta semplicemente di Faq, domande e risposte utili, pubblicate sul sito del Ministero dell’Interno attraverso le quali si è dato corpo alla legge di regolarizzazione (ma che valore avranno?).

La prima (affrontata dalla Faq n. 16) riguarda la possibilità, per il lavoratore, nel caso di morte della persona badata, di essere comunque assunto dai familiari della stessa.
E’ una previsione che si lega ad una Circolare del Ministero dell’Interno del 7 luglio 2006 con la quale, in relazione all’ingresso tramite flussi, si stabiliva la possibilità di subentrare nell’assunzione da parte dei familiari della persona badata defunta.

La seconda questione su cui si è pronunciato il Ministero dell’Interno (affrontata dalla Faq n. 26) si riferisce ai reati imputabili al datore di lavoro nel caso in cui la pratica non si perfezioni. Il Ministero risponde in maniera piuttosto vaga e si limita ad affermare che il datore di lavoro che abbia agito con “ordinanaria diligenza” non è perseguibile nel caso in cui la pratica non vada a buon fine per cause ostative a lui sconosciute (segnalazioni Schengen del lavoratore, precedenti condanne ostative in capo al lavoratore).

Ma il Viminale non si pronuncia sulla possibilità più diffusa. Il fatto che il lavoratore o il datore di lavoro vogliano risolvere il loro rapporto.
Non vi è un diritto del lavoratore alle dimissioni? Sarà costretto a continuare il suo rapporto di lavoro ad ogni condizione?

Ricordiamo la circolare Ministero dell’Interno del 20 agosto 2007 che, per quanto riguarda l’ingresso tramite flussi, in caso di sopravvenuta indisponibilità (nelle more della procedura) del datore di lavoro ad assumere il lavoratore, stabilisce la possibilità del lavoratore di ottenere un permesso di soggiorno per attesa occupazione, o, nel caso vi sia un nuovo datore di lavoro disposto ad assumerlo, l’implicità possibilità di perfezionare direttamente un diverso contratto di soggiorno che garantisca un permesso di soggiorno per lavoro subordinato.
Potremmo quindi dedurre (ma forse avrebbe dovuto farlo il Ministero) che la stessa possibilità dovrebbe essere garantita a chi, in attesa della convocazione, vedesse mutate le condizioni lavorative.

Ma appunto il Ministero dell’Interno non ha specificato nulla sull’argomento.

Il diritto alle dimissioni volontarie o a risolvere il contratto di lavoro non può essere messo in discussione.
Auspichiamo ovviamente che il Ministero dell’Interno voglia precisare questa possibilità che risponderebbe ad un fondamentale diritto del lavoratore come pure del datore di lavoro.

Nicola Grigion
Progetto Melting Pot Europa