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Assolti dopo esser stati ritenuti colpevoli di solidarietà

L'aiuto umanitario a connazionali o persone migranti non può essere considerato un reato

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Favoreggiamento all’immigrazione clandestina” è l’accusa che sempre più attivisti e attiviste devono affrontare nel momento in cui agiscono in nome all’umanità e alla solidarietà. Molto spesso la loro colpa è quella di aver offerto un posto letto, aver pagato un biglietto, aver fornito informazioni a persone migranti. I processi e le indagini durano anni durante i quali le persone indagate possono essere trattenute in detenzione.

Sono diversi i processi in corso che toccano il tema della criminalizzazione della solidarietà, tra questi i più conosciuti sono quelli che hanno preso di mira le Ong che operano salvataggi nel mar Mediterraneo, ma tanti altri, meno noti, colpiscono singole persone solidali o piccole associazioni che operano soprattutto nelle zone di confine europee. Recentemente in Italia si sono invece conclusi due processi che hanno assolto gli imputati.

Uno dei due processi, che si è concluso dopo 57 mesi, ovvero 5 anni, d’attesa e indagini, vede cadere le accuse di favoreggiamento all’immigrazione clandestina mosse contro don Mosè Zerai.
Ad Abba Mussie Zerai, quest’accusa, era stata notificata nell’agosto del 2017 poiché inserito nella lista degli indagati per l’inchiesta sulla nave Iuventa dell’Ong tedesca Jugend Rettet. Mosè Zerai è il fondatore dell’agenzia d’informazione Habeshia, considerata il “salvagente dei migranti”, e, da come si legge sull’Avvenire, ha da sempre offerto assistenza telefonica a coloro che partivano «avvertendo le autorità quando imbarcazioni che attraversano il Mediterraneo si trovavano in difficolta per organizzare il salvataggio»: si trattava di una pratica legale sotto ogni punto di vista.

Zerai ha sempre ribadito che «prima ancora di informare le Ong, dopo aver ricevuto le chiamate dei profughi in partenza dalla Libia, ho ogni volta chiamato la centrale operativa della Guardia costiera italiana e il comando di quella maltese. Non ho mai avuto rapporti con la Iuventa né, tantomeno, ho mai aderito a chat segrete e ho sempre comunicato attraverso il mio cellulare».

Per oltre 5 anni, Zerai è stato accusato di aver agito in complicità con i trafficanti libici contro cui ha sempre combattuto. Da un giorno all’altro è passato dall’essere ammirato per il suo impegno umanitario grazie al quale è stato candidato al premio Nobel per la pace nel 2015, all’essere accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Solo a fine maggio 2022 è stata riconosciuto il fatto che ha agito in seno alla solidarietà e all’umanità.

Un altro caso molto simile, che si è concluso con l’assoluzione degli imputati, è quello contro quattro cittadini eritrei accusati, anche in questo caso, di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Il loro processo è legato a una maxi-inchiesta avviata nel 2014 e «segnata dallo scandalo internazionale di uno scambio di persona». Ma quello dello scambio di persona, non è l’unico errore ad esser stato commesso, vi sono stati innumerevoli errori di traduzione nelle intercettazioni: l’inchiesta prende il nome di Agaish che in tigrino vuol dire “ospite”, ma che, per l’intera udienza, è stato tradotto come “cliente”.

Il tutto era iniziato nel maggio del 2016 quando la Procura di Palermo crede di aver arrestato Medhaine Yedhego Mered, considerato a capo di un’organizzazione transnazionale di traffico di esseri umani. Ma si tratta di uno scambio di persona, perché ad essere arrestato in realtà è Medhaine Tesfamariam Behre che riceve comunque una condanna in primo grado per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, perché, secondo le accuse, «avrebbe aiutato alcuni parenti a raggiungere l’Italia». Assieme a Medhaine, vengono arrestati altri quattro cittadini eritrei che trascorrono oltre 18 mesi di carcere preventivo giustificato dall’accusa di associazione a delinquere.

Dopo aver approvato che i quattro imputati non avessero nulla a che fare con una possibile cellula a Roma dell’organizzazione di traffico d’esseri umani, rimangono «le accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per l’acquisto di biglietti di autobus diretti a Roma o il prestito di modiche quantità di denaro a connazionali arrivati da poco in Italia» o per aver offerto posti letto in case o palazzi occupati.

Sebbene gli imputati non abbiano tratto alcun vantaggio economico, non è cosa sufficiente per far cadere le accuse poiché, stando alla Turco-Napolitano e alla Bossi-Fini, «il favoreggiamento d’immigrazione o emigrazione illegale è punibile anche in assenza di profitto». Nelle loro difese – spiegano le avvocate attraverso le pagine de il Manifesto – hanno sempre contestato «che normali pratiche di solidarietà, peraltro tra persone in fuga da un regime sanguinario e spesso provenienti dagli stessi villaggi o legate da vincoli di parentela e amicizia, possano costituire reato» e hanno sempre dichiarato che le azioni commesse erano esclusivamente condotte solidali. L’avvocata Montella, dopo un incontro con il suo assistito, ha dichiarato che quest’ultimo «faticava a capire perché l’aiuto ad alcuni suoi connazionali fosse considerato un crimine dal diritto italiano. Era incredulo, non riusciva a spiegarsi di cosa fosse accusato».

In ultima istanza, i quattro cittadini eritrei sono stati assolti. Questa vicenda può essere paragonata a quella di Andrea Costa, presidente di Baobab Experience, e delle due volontarie dell’associazione prosciolte da ogni accusa ”perché il fatto non sussiste”. Anche loro erano stati ingiustamente accusati di favoreggiamento dell’immigrazione illegale e per mesi controllati e intercettati perfino dalla Direzione Distrettuale Antimafia.

Tutti questi processi rientrano all’interno di un tentativo sempre più marcato dei paesi europei di criminalizzare la solidarietà. Purtroppo sempre più attivisti e attiviste si ritrovano accusate per le loro azioni umanitarie, d’accoglienza, di solidarietà: «Chi aiuta rifugiati e migranti rischia il carcere». Stando al rapporto di Amnesty international, “Punire la compassione: solidarietà sotto processo nella Fortezza Europa”, le forze politiche e le procure usano in modo inappropriato le leggi antiterrorismo e sugli ingressi illegali ai «danni di difensori dei diritti umani».

«In molti Paesi europei, negli ultimi anni i difensori dei diritti umani e le organizzazioni della società civile che hanno aiutato rifugiati e migranti sono stati sottoposti a procedimenti penali infondati, limitazioni indebite alle loro attività, intimidazioni, vessazioni e campagne denigratorie. Le loro azioni di assistenza e solidarietà li hanno messi in rotta di collisione con le politiche europee sulla migrazione, che hanno l’obiettivo di impedire a rifugiati e migranti di raggiungere l’Unione Europea, di trattenere quelli che riescono a entrare in Europa nel Paese di primo arrivo e di espellerne quanti più possibile verso i loro Paesi d’origine (…).
Tante persone in tutta Europa mostrano ben altra compassione e umanità, rispetto ai loro governi, verso le persone in cerca di salvezza. È una vergogna che i difensori dei diritti umani siano presi di mira da autorità spietate disposte a chiudere le loro frontiere a ogni costo, comprese le vite umane».

Lara Aurelie Kopp Isaia

Attivista e studentessa magistrale di Peace and Conflict studies.
Scrivo e mi interesso di diritti umani, migrazione, diseguaglianza. Collaboro con due associazioni che si occupano di educazione informale. Cerco di raccontare in modo semplice che l’Altro non fa paura, che non è diverso e che non bisogna essere indifferenti.