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Diritto d’asilo: costituzionalmente garantito, ma nella pratica?

L'art. 10 comma 3 della Costituzione e la sua (non) applicazione

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«Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».

Il comma 3 dell’articolo 10 della Costituzione italiana, sopra citato, riguarda il diritto d’asilo ed è l’unico diritto degli stranieri ad essere costituzionalmente garantito. Almeno lo è sulla carta.

Si tratta di un articolo molto bello, storicamente rilevante e unico nel suo genere dal momento che non trova un così ampio riscontro in altre costituzioni europee. È importante sottolineare che l’ampiezza di tale articolo deriva proprio dalla storia italiana e dal periodo storico dei costituenti: quando moltissimi italiani avevano abbandonato il paese, in cerca di un futuro migliore, e avevano fatto domanda d’asilo in altri paesi. Possiamo dunque dire che, con questo articolo, i costituenti abbiano voluto dare l’opportunità a stranieri bisognosi di giungere in Italia a cercare un futuro migliore e a fare domanda d’asilo, così come quest’opportunità era stata data agli italiani negli anni precedenti.

Il diritto d’asilo è riconosciuto allo straniero a cui, nel suo paese d’origine, non sono riconosciute le libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana. Con questo articolo non si richiede che lo straniero sia perseguitato, subisca minacce alla propria vita, nel proprio paese d’origine; elemento invece richiesto per fare richiesta d’asilo in Francia o per ottenere lo status di rifugiato stando alla Convenzione di Ginevra.

Inoltre, con questo articolo si vuole guardare al dato concreto. Non è sufficiente che la Costituzione di un paese contenga un ampio catalogo di diritti o che abbia firmato diverse dichiarazioni Universali volte a garantire i diritti umani. Quello che si deve guardare è se il paese in questione effettivamente garantisce tali diritti e libertà. A contare non è la teoria bensì la pratica.

L’espressione «libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana» riguarda senza dubbio le libertà civili e i diritti politici. Ma in queste libertà vengono garantiti anche i diritti sociali? Nell’articolo non viene specificato, ma dalle leggi applicate, si può notare come tali diritti siano tendenzialmente esclusi se si vuole fare richiesta d’asilo, questo perché se fossero compresi, verrebbe meno la distinzione tra richiedente asilo e migrante economico.

Il migrante italiano era un migrante economico, un migrante che decideva di lasciare il proprio paese per cercare opportunità che in Italia non aveva, non si trattava in una persona che scappava a causa di persecuzioni o minacce alla propria vita. I Costituenti, mentre redigevano la Costituzione, avevano in mente proprio quel tipo di migrante: è il migrante, anche economico, a cui volevano dare un’opportunità così com’era stata data ai migliaia di italiani che avevano deciso di emigrare. Ma ora, nel nostro secolo, la situazione è completamene diversa. L’Italia, e la maggior parte dei paesi occidentali, non solo rifiuta i migranti economici, ma li criminalizza, li considera una minaccia, un pericolo per la sicurezza pubblica. Il migrante diventa il nemico e su di lui vengono scaricate le tensioni e il conflitto sociale.

A partire dalla seconda metà degli anni ’90, in Italia, la legislazione in materia di immigrazione s’intreccia con quella in materia di sicurezza: il migrante viene criminalizzato. Negli ultimi anni, soprattutto con il decreto-legge n°113 del 2018, il cosiddetto decreto-legge Salvini, la criminalizzazione si estende anche alla figura del richiedente asilo che viene visto come un truffatore, un clandestino irregolare che sfrutta l’asilo per entrare in Italia. L’atteggiamento dello Stato nei confronti del richiedente asilo non è di accoglienza, come richiederebbe la Costituzione, ma di diffidenza.

Il diritto d’asilo viene dunque visto come un escamotage. Ma è necessario ricordare che l’asilo è il diritto di chi diritti non ha.

Tale diritto è una forma di garanzia dei diritti universali ma se nemmeno il diritto d’asilo viene riconosciuto, si può ancora parlare di un diritto universale a tutti gli uomini e a tutte le donne?

Con il decreto-legge Salvini, veniva, tra le altre cose, previsto un allargamento delle possibilità di trattenimento per il richiedente asilo. Tale trattenimento può essere effettuato all’interno di Hotspot o nei Centri Governativi di Prima Accoglienza, per un periodo massimo di 30 giorni, oppure in un Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR), per un totale di 180 giorni. Il decreto Lamorgese (DL 21 ottobre 2020, n. 130 | L 18 dicembre 2020, n. 173) ha in parte modificato criteri e tempi, e riallineandosi alla Direttiva Procedure e alla Direttiva Accoglienza dell’UE ha ridotto a 90 giorni il tempo di permanenza massimo nei CPR. Tuttavia, ha inserito una clausola securitaria che prevede la flagranza differita per i richiedenti asilo che compiono atti di danneggiamento o vandalismo dei centri di accoglienza.

In generale, la detenzione amministrativa introdotta con il Testo unico sull’immigrazione (d.lgs. 286/98), è frutto dell’ansia del legislatore di distinguere il richiedente asilo dal migrante economico, quest’ultimo oggetto di rimpatrio immediato. Il richiedente asilo, richiuso in centri appositi, viene visto con sospetto perché potrebbe essere un migrante economico che si camuffa in richiedente asilo, persona che ha diritto a restare sul territorio. Nel corso degli anni si sono attuate prassi illegittime che puntavano a individuare i migranti economici. Attraverso le verifiche d’identità, le autorità chiedevano al richiedente i motivi dell’ingresso in Italia. Se il richiedente rispondeva “per lavorare”, veniva automaticamente considerato un migrante economico rischiando dunque il trattenimento e il rimpatrio. Ora tale prassi è diventata una procedura e viene attuata in base al paese di origine del richiedente. Ad esempio, è quanto avviene con le persone migranti tunisine che a seguito degli accordi bilaterali tra Italia e Tunisia subiscono al loro arrivo un trattenimento sulle navi quarantena, un trasferimento e ulteriore trattenimento nei CPR e infine un rimpatrio forzato.

Mentre i costituenti definivano il diritto d’asilo un diritto sacro dell’ospitalità e ragionavano di animo fraterno nel riconoscere l’asilo a tutti, le autorità e le legislazioni contemporanee vedono nel richiedente asilo una persona che cerca un escamotage per poter entrare in Italia, in Europa.

Come scrive l’antropologo Inda Jonathan nel suo saggio Targeting immigrants: government, technology and ethics, «il governo mediante criminalizzazione si auto-giustifica sostenendo la necessità di proteggere i cittadini dalla minaccia degli anti-cittadini». Stando alle parole di un’altra antropologa, Pratt Anna, «la penalizzazione dell’immigrazione costituisce e impone confini, sorveglia i non-cittadini, li bolla come pericolosi, malati, disonesti o diseredati, li espelle o nega loro l’accesso».

Sulla distinzione tra richiedente asilo e migrante economico si basa gran parte della legislazione in materia di immigrazione dell’Unione Europea. Sono molte le persone che si chiedono quanto sia ragionevole tale distinzione. Quanto è ragionevole attribuire trattamenti diversi e distinguere chi fugge per le persecuzioni e le minacce alla propria vita da chi fugge perché non ha di quel di che vivere? Non si tratta, in fondo, per entrambe le tipologie, di persone che fuggono da situazioni disperate, che si lasciano alle spalle tutta la loro storia, la loro vita, per cercare un futuro migliore, più dignitoso? È necessario attuare una così netta distinzione? E soprattutto è necessario criminalizzare questi esseri umani?

L’articolo 10 comma 3 è un articolo, ritenuto da molti giuristi, molto bello proprio per la sua ampiezza e per la sua “accoglienza”, ma tuttavia non ha mai avuto una legge d’attuazione. È un articolo che, se venisse realmente applicato potrebbe rendere l’Italia un paese più accogliente, più Umano nei confronti di tutte le persone che decidono di lasciare il loro paese, per qualsiasi ragione.

Lara Aurelie Kopp Isaia

Attivista e studentessa magistrale di Peace and Conflict studies.
Scrivo e mi interesso di diritti umani, migrazione, diseguaglianza. Collaboro con due associazioni che si occupano di educazione informale. Cerco di raccontare in modo semplice che l’Altro non fa paura, che non è diverso e che non bisogna essere indifferenti.