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Trento – L’accoglienza negata: tra prassi illegittime e razzismo istituzionale

La denuncia dell'Assemblea Antirazzista Trento: oltre 60 richiedenti asilo lasciati in strada

Un riparo improvvisato - Foto dell'Assemblea Antirazzista di Trento

L’Assemblea Antirazzista Trento denuncia che oltre 60 richiedenti asilo arrivati soprattutto dalla Rotta balcanica sono in strada da mesi in attesa di entrare nel sistema di accoglienza nel silenzio generale di istituzioni ed enti del terzo settore. Questo il comunicato stampa che illustra la grave situazione di abbandono.


La questura di Trento riprende il solito stile di alzare le barriere immateriali per rendere complicata la vita ai richiedenti asilo e così filtrare le domande di protezione internazionale.

Stiamo incontrando sempre più persone richiedenti protezione internazionale che da  mesi stanno dormendo all’aperto in posti di fortuna e sotto i ponti dopo aver raggiunto la città di Trento. Ci sentiamo di dire che sono almeno 60 le persone che non hanno ancora una risposta al loro bisogno. Sono tutte in attesa di essere chiamate per entrare nell’unico  dormitorio disponibile in città o direttamente nei progetti di accoglienza. 

Nonostante la normativa sia chiara (dovrebbe esser data loro la possibilità di richiedente asilo entro pochi giorni dal proprio arrivo e contestualmente garantito l’ingresso nel sistema di accoglienza) i giorni d’attesa si stanno dilatando sempre di più.
Il tempo fra la presentazione della richiesta di protezione e l’ingresso nei percorsi ministeriali a cui hanno diritto sta raggiungendo 2 mesi di attesa. Di conseguenza le richieste di accesso ai dormitori aumentano in maniera esponenziale. 

Denunciamo questa prassi della Questura e del Commissariato del Governo come del tutto illegittima e, pur consapevoli che non sia una novità e che la Provincia in tutto questo ha un ruolo di connivenza delle violazioni, ci domandiamo perché periodicamente si ripeta e quali siano le reali motivazioni. 

In questo quadro desolante, continuano altre prassi illegittime già sanzionate dai tribunali ma che i funzionari dell’Ufficio immigrazione continuano a mettere in pratica. 

Abbiamo conosciuto persone in procinto di fare domanda di asilo a cui viene chiesta la dichiarazione di ospitalità per formalizzare la loro pratica e che impossibilitati a esibirla si trovano con gli appuntamenti posticipati, generando ulteriori ritardi. Anche questo aspetto non è una novità, è già successo in passato e ha provocato l’emergere di un mercato nero di dichiarazioni di ospitalità pagate dai richiedenti anche 300 euro. La questura dovrebbe saperlo ma imperterrita continua a richiederla. I tribunali sul punto sono stati chiari riconoscendo chel’imposizione del requisito della dichiarazione di ospitalità, oltre che illegittimo, finirebbe per rendere impossibile, o eccessivamente oneroso, l’esercizio del diritto di asilo riconosciuto e tutelato nel contesto normativo europeo e a livello costituzionale italiano“.

Abbiamo raccolto la storia di un ragazzo a cui il Commissariato del Governo ha negato in modo del tutto illegittimo l’ingresso nel progetto di accoglienza perché non ha risposto tempestivamente alla chiamata poiché aveva il telefono rotto. E’ paradossale che una persona che ha fatto richiesta di accoglienza venga lasciata in strada perché le istituzioni non hanno trovato un modo efficace per comunicarle il suo ingresso. In generale negli uffici di viale Verona ogni piccolo errore, ogni ritardo, ogni titubanza legittima delle persone migranti, che non sono a conoscenza delle normative che potrebbero tutelarli, viene utilizzata per metterli in difficoltà e per rendere difficile l’ottenimento di questi diritti. È infine paradossale che un ritardo di un richiedente asilo sia considerato ostativo e punibile in questo modo quando invece la Questura e il CdG possono ritardare diversi mesi per espletare delle pratiche o per il rilascio di un permesso di soggiorno, i cui tempi di attesa si aggirano ormai sui 6-7 mesi.

E’ ipocrita riconoscere il diritto di asilo e all’accoglienza solamente ai profughi ucraini e nel contempo marginalizzare altri profughi semplicemente perché vengono da altri Paesi. Le normative internazionali sulla carta non discriminano in base alla provenienza e al Paese di origine, sono appunto le prassi locali che classificano i profughi in base al colore delle pelle, razzializzandoli. Tutto ciò si chiama razzismo istituzionale.

Ci domandiamo, infine, come mai nessuno tra gli enti del privato sociale che gestiscono l’accoglienza in Trentino denunci pubblicamente una situazione così grave che a loro, compilando le liste di attesa, dovrebbe essere ben nota. Perché l’Unità di strada che opera a Trento e monitora il territorio non si è espressa tempestivamente a riguardo?

Facciamo appello a tutte le associazioni, agli operatori e operatrici, alla pubblica amministrazione e a tutto il mondo del volontariato a rompere questo assordante silenzio. Solo la denuncia pubblica e la mobilitazione a sostegno delle persone può garantire il pieno rispetto dei loro diritti fondamentali.