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I centri di accoglienza in Sicilia sono sempre più isolati

di Giuseppe Platania, Borderline Sicilia

Mappa heat-wave stradale dei CAS in Sicilia

Nel febbraio 2022 Bordeline Sicilia ha fatto richiesta, con istanze di accesso civico generalizzato, di informazioni alle prefetture delle provincie siciliane sulle varie tipologie di centri presenti nell’isola.
In questo articolo si analizzano i dati ottenuti ed elaborati sui CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria).


Sin dalla sua nascita Borderline Sicilia si è occupata di monitorare il sistema di accoglienza per richiedenti asilo implementato dal governo Italiano. Negli anni abbiamo potuto appurare e denunciare le mancanze del sistema e il trattamento riservato alle persone in movimento.

Nel 2008 sono stati istituiti i CARA sostituendo i CID che rappresentavano i primi mega centri per richiedenti asilo. Nel 2011, durante la cosiddetta Emergenza Nordafrica, la gestione del sistema di accoglienza emergenziale è stato affidato alla Protezione civile e sono stati aperti alcuni centri, tra cui il CARA di Mineo, famosi per le indecenti condizioni di vita e per gli scandali giudiziari che hanno mostrato come negli anni la criminalità organizzata sia riuscita ad infiltrarsi all’interno della gestione di molte strutture. La malavita che lucra sulla pelle delle persone in arrivo non poteva che generare un sistema di malaccoglienza, come spesso lo abbiamo (e viene) definito.

Diversi procedimenti giudiziari e diverse inchieste giornalistiche hanno mostrato come il CARA di Mineo, che veniva spacciato per il fiore all’occhiello dell’accoglienza all’italiana, sia stato luogo di elezione per le mafie locali. Passerà alla storia probabilmente, l’affermazione di Buzzi, socio all’interno della cordata che gestiva il centro, per la quale i migranti rendono più della droga, intercettata durante l’operazione Mafia Capitale. Non solo malavita locale, ma anche straniera, con la gestione interna del centro lasciata alla mercé della mafia nigeriana. Ci sono decine di articoli di denuncia da parte di media locali, nazionali e rapporti di organizzazioni, che mostrano come il CARA fosse il centro di un giro di spaccio, prostituzione, in vari casi anche minorile, e di tratta di essere umani. Lo stesso vale per altri CARA, al di fuori della Sicilia, come il CARA di Bari, finito anche in una sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani, che lo reputò inadatto ad ospitare richiedenti asilo con vulnerabilità particolari, annullando il trasferimento di un richiedente asilo e quindi derogando il Regolamento Dublino, per gravi mancanze all’interno del sistema di accoglienza italiano.

La situazione non è cambiata quando nel 2014 sono stati istituiti i CAS (centri di accoglienza straordinari) che da lì a poco diverranno la forma primaria di accoglienza. Contraddicendo il suo stesso acronimo, l’accoglienza straordinaria diviene ordinaria, superando di gran lunga i numeri all’interno dei CARA e anche dei progetti SPRAR. Infatti, in meno di cinque anni, i CAS sono arrivati ad accogliere l’80% dei richiedenti asilo e nonostante il sistema SPRAR sarebbe dovuto essere il sistema principale di accoglienza e integrazione, in realtà, e anche a seguito di interventi normativi gravemente peggiorativi come il decreto sicurezza del 2018, il sistema risulta quello con minore capienza.

I CAS sono così diventati, e continuano ad essere oggi, il fondamento su cui si basa l’accoglienza dei richiedenti asilo in Italia. Abbiamo spesso denunciato come questi centri siano diventati dei meri dormitori dove non vengono forniti servizi volti all’inserimento all’interno della società, anche a causa di politiche migratorie sempre meno accoglienti. Si tratta di centri spesso isolati, dove le persone vivono in situazioni abitative precarie, costretta alla coabitazione forzata in container merci e recintati da lamiere. Piccoli ghetti che costellano i paesaggi italiani, situati in luoghi difficili da raggiungere senza mezzi propri, collocati all’interno di geografie economiche, fatte di campi arati e coltivazioni, dove i richiedenti asilo vengono sfruttati per poche decine di euro al giorno. Di fatti si tratta di un’inclusione all’interno del mercato irregolare del lavoro che viene generata dall’esclusione di questi soggetti dalla società civile, dal mondo urbano, confinati e reclusi ai margini delle città. Il caporalato contemporaneo è una produzione delle politiche migratorie e riguardanti l’asilo, tanto quanto le morti in mare nel Mediterraneo.

Come ogni anno, Borderline Sicilia ha richiesto, tramite istanze di accesso civico generalizzato, informazioni sulle varie tipologie di centri presenti in Sicilia.

I dati in nostro possesso fanno riferimento agli atti predisposti dalle prefetture delle provincie siciliane forniteci a Febbraio 2022, rappresentando perciò una fotografia del momento, per cui è possibile che ci siano specifiche differenze con la situazione odierna.

In questo articolo, analizziamo i dati che abbiamo ottenuto ed elaborato per quanto riguarda i CAS. Nello specifico abbiamo inserito i CAS all’interno di una mappa in modo tale da mostrare l’isolamento in cui tende ad essere inserita questa tipologia di centro. Abbiamo adottato una mappa heat-wave stradale, per mostrare ad occhio nudo il contesto urbano e rurale in cui riversano molti dei centri. In totale contiamo 68 centri, con una capienza totale di 2.929 posti, rendendo il sistema siciliano il secondo più capiente dopo quello lombardo (che però ha un numero di abitanti doppio rispetto alla Sicilia).

I CAS sono categorizzati in base all’isolamento complessivo: quelli centrali si trovano all’interno di città superiori a 5 mila abitanti, situati nei centri storici o in quartieri forniti di servizi; quelli isolati si trovano all’interno di paesi con meno di 5 mila abitanti le cui infrastrutture non permettono l’erogazione di servizi base (come il rinnovo del permesso di soggiorno). I CAS periferici sono situati al di fuori delle città, ma ancora capaci di usufruire del servizio urbano. Invece i CAS rurali sono collocati al di fuori del contesto urbano, in contrade e campagne, caratterizzati da una quasi impossibilità di movimento tramite trasporto pubblico e dall’assenza di servizi.

Come è possibile notare, più della metà dei centri risulta essere in una posizione periferica o rurale. I CAS situati in posizione centrali sono per lo più nel palermitano e nel ragusano e in qualche sparuta città sia in provincia di Messina che di Agrigento. Occorre notare che la provincia di Caltanissetta releghi qualunque tipo di accoglienza al centro polifunzionale “Pian del Lago” in cui è inserito il CPR, che ospita anche l’ufficio immigrazione della Questura, implicando che per qualunque servizio bisogna recarsi in questo luogo abbastanza isolato rispetto alla città. La provincia di Catania dopo la chiusura del CARA di Mineo nel luglio 2019, ha iniziato lentamente a emanare bandi e promuovere le gare di assegnazione per la gestione di CAS, ma al momento di questa fotografia, solo due CAS risultano aperti in provincia di Catania.

Basterebbe che il ministero guardasse gli stessi dati che fornisce per comprendere che il grande problema legato alle carenze di reali percorsi di inserimento e dello sfruttamento si annida all’interno di una gestione dell’accoglienza miope – o forse, al contrario, troppo lungimirante – che ha generato una costellazione di campi-ghetti nelle periferie e campagne della Sicilia e dell’Italia, drenando soldi pubblici nelle mani di soggetti privati poco trasparenti e ledendo in modo gravissimo i diritti delle persone venute in Europa in cerca di protezione e rifugio.