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Ultima tappa: Rosarno

Report dall'incontro della carovana di Gemini network all'ostello Dambe-sò

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Si è conclusa la “Ca-Radio-vana” della rete network che collega luoghi e storie molto differenti e che insieme racconta e resiste: Gemini Network. Si tratta di una rete di radio libere e indipendenti nata nel 2020, a seguito di un bisogno post-Covid di solidarietà e vicinanza, e racchiude realtà quali quelle che vivono insieme l’ultima tappa: Radio Sherwood, emittente padovana nata nel 1976, Radio Sonar (nata a Roma nel 2003) e, proprio ospitati nella loro sede a Cosenza, Radio Ciroma.

Avendo conosciuto da vicino la sede e il territorio così complesso vale la pena di spendere due parole sulla storica emittente nata nel 1989. La radio nasce dopo un’occasione colta al volo, acquistando radio e attrezzatura da un’associazione di volontariato femminile, e così le lunghe chiacchierate e dibattiti che a fine anni ’80 animavano il gruppo vanno in onda, dopo aver montato antenna e ripetitore sulle colline. “Ciroma” in dialetto calabrese significa “caos”, etimologicamente deriva dal greco ed evoca raduni di piazza, ed è proprio questo caos a venire raccontato: dalla criminalizzazione della Calabria alla Guerra del Golfo. Punto in comune di tutte queste radio, pur essendo nate in tempi storici tra loro molto differenti, è disprezzare la fame famelica del potere e rimanere “duri e puri, e anche poveri”.

Le radio hanno girovagato incontrando volti e storie, partendo da Bolzano e passando dal Piemonte, Schio e Forlì, per poi concludere l’esodo nella terra che è diventata metafora di sfruttamento: la Calabria. L’esperienza si conclude in data 1 novembre a Rosarno, luogo che fin dai fatti del 2010 risuona nelle menti e ricordi di tutti, di chi ha vissuto la rivolta e degli interessati che hanno recepito l’urgenza e si sono incamminati. È un luogo con connessioni simboliche ma anche fisiche, essendo ancora oggi tacciato da complessità apparentemente irrimediabili.

Abbiamo invece scoperto, nel corso di questa giornata, che le difficoltà più impellenti possono essere rimediabili. È possibile creare alternative. Rosarno è un luogo di pochi abitanti e tanta criminalità organizzata. È un luogo dove in Piazza Valarioti, a fianco all’ufficio delle Poste Italiane, tra l’insegna gialla e blu, cittadini in coda fuori e le macchine parcheggiate è intravedibile un murales, una riproduzione del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo ma in versione contadini e contadine, che scalpitano per sopravvivere tra un albero di agrumi e uno di ulivi.

Rosarno è un luogo dove nel 2010 si è consumata quella che The Economist definì qualcosa di non molto distante da una “pulizia etnica”. Rosarno è anche un luogo in cui se si chiede a un signore dov’è il supermercato più vicino ti ci accompagna in macchina senza pensarci due volte.

In mezzo a questa contraddizione la carovana è andata alla scoperta di una delle realtà che si stanzia tra gli esempi di economia circolare e solidale: il Dambe-Sò. All’interno di questo luogo Radio Ciroma ha montato microfoni e videocamere ed ha lasciato spazio alle parole di chi lo abita e lo costruisce.

Mimma Spizzi (Mediterranean Hope) racconta che cos’è Dambe-sò, che letteralmente vuol dire “restituire dignità”, un ostello che è un esempio di turismo solidale volto ad abbattere le problematiche legate al sistema abitativo dei lavoratori agricoli. Un esempio di circolarità dell’economia che parte dal lavoro bracciantile e finisce per restituire dignità al lavoro bracciantile stesso. SOS Rosarno confeziona e vende i prodotti della terra calabra e parte dei proventi, uniti ai finanziamenti della Chiesa Valdese, ritornano per sostenere gli alloggi. Non si tratta di accoglienza farcita da eccessiva apprensione e paternalismo ma si tratta di un’abitazione volta a dare indipendenza ai lavoratori. Oltre a questo, come spiega Antonella Belfiore (Mediterranean Hope), «insieme di può fare», sfruttando le risorse del luogo e di chiunque voglia contribuire: l’ostello è aperto nei mesi estivi per turisti, famiglie, tesisti, ricercatori, interessati e fin dalla Germania e dal Canada le persone sono approdate all’ostello per conoscere la realtà e lasciare un contributo.

Mimma Spizzi spiega anche che si spera che questo possa essere un progetto pilota, non sostenuto dalla Grande Distribuzione ma da una comunità ben precisa. Lo stesso viene messo in atto da altre realtà agricole della zona, che mettono in circolo a livello regionale o nazionale i prodotti ottenuto dalle risorse del proprio territorio. Si chiamano GAS (Gruppi d’Acquisto Solidali) ed è così che insieme, unendosi e connettendosi con altre realtà in tutt’Italia questi GAS riescono a creare filiere alternative, filiere scevre dalle costrizioni e dai costi e contributi imposti dalla GDO, libere da sfruttamento bracciantile (i prezzi sono giusti sia per consumatori che per lavoratori) e attente all’ambiente (filiere corte che non implementano modalità di produzione e trasporto eccessivamente invasive per l’ambiente). Una di queste realtà è presentata da Mimmo Tramontana (EquoSud) che spiega in modo schietto e diretto l’ideologia dietro quest’idea: «Per noi la scelta è stata molto semplice. Siccome la GDO in Calabria è tutta in mano della mafia, se non volete finanziare l’ndrangheta sostenetevi con i piccoli produttori, fate rete tra di voi». Stare fuori dai finanziamenti, alternative prive di intermediazione. I piccoli vengono schiacciati dai grossi, ma i piccoli esistono e resistono, implementando modelli nuovi, diversi, sociali e solidali.

Intervengono anche Ibrahim Diabate (MH) e Sekou (bracciante lavoratore). Ibrahim, attraverso il racconto della sua storia, analizza criticamente anche le motivazioni che spingono i lavoratori africani ad arrivare in Italia. Racconta: «Veniamo qui perché siamo già [implicitamente] sfruttati nel nostro paese d’origine, perché siamo vittime di una guerra che non è nostra, quella che sfrutta per le ricchezze del nostro sottosuolo. Veniamo qui per prendere quello che toccherebbe noi per diritto. La povertà non è mancanza di soldi, la povertà è mancanza di giustizia». Ci chiede poi, «come possiamo capire cos’è questa realtà?” – «venendo al Dambe-so, dove ci sono testimoni delle calamità del mondo, dovuto a guerre, cambiamento climatico», li definisce “sotto-uomini” che abitano e lavorano queste terre. Quanto riescono a “riprendersi” però, è spesso la realizzazione di una realtà che non conosce umanità.

Ulteriori contraddizioni vengono brillantemente spiegate da Peppe Marra (USB) nei pressi della Tendopoli di San Ferdinando. Ci troviamo di fianco a una delle costruzioni fatiscenti costruite spendendo ben 10 milioni di euro di fondi regionali, 12 milioni di PNRR e qualche milione di progetti europei. Dispendi onerosi per costruire e mantenere luoghi che rappresentano tutt’altro che dignità umana, costruiti seguendo una logica che è sempre quella di ghettizzare le persone, in luoghi inospitali nella speranza di intimarli a non rimanere una volta finita la loro utilità. Luoghi ai quali viene dato ogni volta un nome diverso, come racconta Peppe, “villaggio felice, villaggio sorridente”, ma ciò che succede è che spostano le tendopoli, aggiungono al massimo un campo da calcio e tanto basta a rinominarlo “villaggio felice”. La Calabria ha uno dei tassi più alti di vuoti abitativi: case costruite dalle famiglie per i figli, come da tradizione per retaggio culturale. Figli che poi migrano lontani al nord o all’estero lasciando dietro interi appartamenti inutilizzati. Una delle soluzioni abitative simile a quella di Dambe-so è stata proprio, nel paese di Drosi, di utilizzare queste case vuote e inutilizzate e metterle a disposizione dei lavoratori e persone in difficoltà.

Un’altra delle problematiche è l’approccio delle politiche che, a prescindere dall’oscillazione tra destra e sinistra, si sono sempre stanziate in un continuum che vede da un’estremità un approccio “ruspa” e dall’altra un approccio “biberon”; come descriveva Antonello Mangano in uno dei suoi libri intitolato Ruspa o biberon. Da una parte vi è il razzismo sfrenato, dall’altra la logica dell’assistenza sfrenata data a persone considerate incapaci di intendere e volere; o iniziative quali trasporto per i braccianti contro il caporalato – in un luogo dove nemmeno i calabresi possono usufruire di trasporto pubblico. Facile immaginare i malcontenti e i conflitti.

Insieme a questo vi è l’asimmetria contrattuale che non si è mai provato a risolvere con l’unione delle piccole imprese in consorzi o cooperative – “se 10 aziende hanno 10 trattori, 10 contratti con i fornitori è più ciò che la GDO risucchia loro che quello che guadagnano. Se si mettessero insieme e invece di 10 contratti ce ne fosse uno solo i costi si abbatterebbero drasticamente”. Il potere contrattuale sarebbe così più equo tra GDO e piccole aziende. Le diverse realtà agricole in Calabria non sono mai riuscite ad unirsi in questo modo e l’unico modo continua ad essere quello di intervenire sulla manodopera.

Un aneddoto raccontato da Peppe Marra spiega un altro problema. Ci racconta che a Gambarie, un paesino di 35 abitanti che ospita una pista sciistica, viene aperto un CAS non molto tempo fa. Un CAS che avrebbe ospitato 120 stranieri in un paese di 35 abitanti, la preoccupazione della risposta del territorio era alta. Con grande sorpresa alla domanda “come va? Ci sono tensioni?”, la risposta ricevuta fu “ma quali tensioni, finalmente ci hanno riattivato le corse degli autobus che prima con 35 persone l’avevano tagliata”. E questo ci porta al problema: non riconoscere i lavoratori come parte della popolazione. Se a San Ferdinando venissero riconosciuti gli esseri umani, se invece di 4 mila abitanti se ne considerassero 5.500, tutto verrebbe pensato sulla base di un numero più alto, e a un numero più alto corrispondono determinate e diverse esigenze.

La giornata termina con un gesto simbolico che possiede il monito di diventare passo concreto verso la realizzazione di una realtà che si racconta con la propria voce. Questo filo rosso che collega le realtà presenti nella rete Gemini vorrebbe allargarsi sempre di più, e in data 1 novembre viene lasciata all’ostello Dambe-Sò l’attrezzatura necessaria affinché possa questo luogo diventare ulteriore antenna in grado di unirsi al racconto, con la propria voce.


Dalla prossima settimana su Radio Gemini Network troverete i podcast e tutti materiali multimediali della “Ca-Radio-vana”.

Selene Lovecchio

Laureata in Linguaggi dei Media, attualmente attivista e studentessa magistrale di Scienze Internazionali, Human Rights and Migration Studies. Aspirante ricercatrice e giornalista.
Sono interessata alle migrazioni, all'agribusiness e ai temi politico-sociali. Viaggio tra i confini, mi sporco le mani e scrivo.