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Persecuzione religiosa in Cina. Due ordinanze della Suprema Corte di Cassazione

Corte di Cassazione, ordinanze n. 4137 e n. 4223 del 10 febbraio 2023

Foto di massimo sanna da Pixabay

Due ordinanze pubblicate entrambe il 10.02.23 dalla Suprema Corte di Cassazione, prima sezione civile, le quali accolgono i ricorsi di due ricorrenti cittadini cinesi i quali hanno chiesto la protezione internazionale per motivi di persecuzione religiosa nel paese di origine.

Nell’ordinanza nr. 4137/2023, la Suprema Corte accoglie il ricorso avverso la sentenza di rigetto della Corte d’appello di Roma la quale aveva escluso la persecuzione nei confronti della ricorrente in quanto il culto al quale apparteneva, il movimento religioso cristiano evangelico chiamato «Quan Neng Shen» ovvero “l’Almighty God” era considerato dallo Stato cinese tra quelli completamente illegali e quindi definiti «culti maligni» e vietati dal codice penale cinese.

La Corte di appello ha argomentato dal mancato diniego della registrazione del culto – mai chiesta – l’inconfigurabilità di una situazione di persecuzione dei suoi adepti da parte delle autorità statuali, avendo tale culto scelto di operare al di fuori della legge cinese e in modo sostanzialmente segreto sia nella pratica religiosa, sia nell’attività di proselitismo; sotto altro profilo, ha escluso la sussistenza in Cina di atti di persecuzione per motivi religiosi – ritenendo scarsamente credibile, sul punto, il racconto della richiedente – in ragione dell’avvenuto rilascio del passaporto e del visto per l’espatrio;

Ma secondo la Suprema Corte: “(…) con riferimento ai limiti alla libertà di religione e di associazione e alla loro rilevanza ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato ovvero della protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14, lett. b), d.lgs. n. 251 del 2007, questa Corte – proprio con riferimento alla verifica della effettività della libertà di culto – ha evidenziato che il giudice di merito deve valutare in concreto se l’ingerenza da parte dello Stato di origine nella libertà della ricorrente di manifestare il proprio culto sia prevista dalla legge, sia diretta a perseguire almeno un fine legittimo secondo gli artt. 9, par. 2, CEDU, e 19 Cost. e se costituisca una misura necessaria e proporzionata al perseguimento di tale fine (cfr. Cass. 1° luglio 2022, n. 20989; Cass. 25 maggio 2022, n. 16890; Cass. 24 marzo 2022, n. 9586; Cass. 17 novembre 2021, n. 35102);

  • in applicazione di tale principio è stato affermato che la repressione statuale della libertà di professare liberamente il proprio culto, anche in forma associata, non può essere giustificata per il solo fatto di essere finalizzata a vietare le associazioni a carattere segreto;
  • la sentenza impugnata non risulta coerente con il riferito principio, avendo escluso in radice la possibilità che i limiti alla libertà di culto previsti dall’ordinamento cinese possano essere privi di una giustificazione compatibile con la tutela dei diritti umani;
  • il possesso del passaporto e la partenza dal paese di origine non rilevano al fine di escludere la condizione di persecuzione riconosciuta meritevole di tutela a fronte della necessità derivante dal trattamento statuale del culto in oggetto di operare in segretezza proprio per evitare le conseguenze del predetto trattamento;“.

Nella seconda ordinanza, nr 4223/2023, la Suprema Corte di Cassazione accoglie il ricorso presentato dal ricorrente cittadino cinese il quale impugnava la sentenza di rigetto della Corte d’appello civile di Roma. La sentenza impugnata escludeva qualsiasi forma di protezione in capo al ricorrente in quanto ha pensato che egli fosse di religione cattolica ribadendo gli attuali rapporti di tolleranza nei confronti di tale religione sanciti anche recentemente da un accordo con la Santa sede ed avrebbe omesso di considerare che il ricorrente ha dichiarato di appartenere ad una chiesa evangelica denominata “Yin Xin Chen Yi”.

Nell’accogliere il ricorso la Suprema Corte così argomenta: “La Corte d’Appello ha erroneamente ritenuto che il ricorrente professasse la religione cattolica ed ha incentrato la esclusione del diritto al riconoscimento della protezione internazionale sotto il duplice profilo della persecuzione o dell’esposizione ad un regime repressivo ex art.14 lettera b) d.lgs n. 251 del 2007 su questo presupposto, anche in ordine agli approfondimenti istruttori svolti. Poiché non è messo in discussione nel provvedimento impugnato che la citata chiesa Yin Xin Cheng Yi sia tra le chiese domestiche di religione evangelica e non cattolica; l’impianto argomentativo adottato dalla Corte è fondatamente colpito dalla censura svolta. Ne consegue che la mancata esposizione del ricorrente al rischio di subire persecuzioni religiose, o trattamenti inumani o degradanti dalle Autorità statuale si fonda su presupposti del tutto erronei che necessitano di un puntuale accertamento.“.

Si ringrazia l’Avv. Ilda Hasanbelliu per la segnalazione e il commento. Le cause sono state patrocinate dall’avv. Andrea Volpini e sono state oggetto di studio insieme alla legale.


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