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Baba Chams, il nuovo film su Zarzis di Walid Falleh

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A Zarzis, nel sud della Tunisia, il regista Walid Falleh racconta la storia della sua città tra emigrazione e immigrazione. Al cuore del documentario, in via di realizzazione grazie ad un crowdfunding, si trova Chamseddin Marzoug, un pescatore in pensione, che ha dato vita al famoso Cimitero degli Sconosciuti dove riposano i corpi dei migranti senza nome.

L’obiettivo del regista Walid Falleh è narrare la migrazione da un punto di vista inedito, scoprendo angoli nascosti e denunciando, attraverso le immagini, l’ingiustizia e la repressione. In Tunisia ora più che mai, dove le conseguenze drammatiche e spaventose del sistema dei confini sono evidenti. Le partenze per mare dalla Tunisia all’Italia nel 2023 sono aumentate a dismisura rispetto agli anni scorsi, anche rispetto alla Libia. In parallelo con l’aumento delle partenze, si è riscontrato un incremento delle intercettazioni e dei naufragi, che hanno causato la tragica perdita di quasi 500 vite tra gennaio e aprile 2023. Le politiche di controllo della migrazione tendono ad occultare queste morti, sottraendo umanità ai migranti: è proprio questo aspetto umano che Falleh intende mettere in luce. Il regista-attivista, 38 anni e originario di Zarzis, è conscio dell’importanza del cinema nel mostrare la realtà che la politica tende a nascondere, soprattutto in questo momento storico di repressione della migrazione.

Tra cadaveri spiaggiati e manifestazioni delle famiglie dei dispersi, questa città di frontiera è tornata ad occupare il centro del dibattito. Imbevuta di una fervente tradizione politica e studentesca, già protagonista della rivoluzione dei gelsomini, Zarzis riveste nuovamente un ruolo affascinante nel contesto della vita di frontiera.

Racconta Falleh: «Nel 2011 a Zarzis, abbiamo vissuto in prima persona la rivoluzione. Ma poco dopo, la maggior parte dei giovani ha deciso di lasciare la città per cercare un futuro in Europa. Poi, dopo alcuni mesi, abbiamo iniziato ad assistere all’arrivo dei rifugiati provenienti dalla guerra in Libia. Zarzis è diventata un crocevia per queste persone in fuga, ma purtroppo anche il luogo dove si ammassavano i corpi riportati dal mare». A causa delle politiche italo-tunisine di ritenzione della migrazione, le persone sono costrette a partire per viaggi pericolosissimi per arrivare dall’altro lato del mediterraneo. Dal naufragio di una barca con a bordo 18 persone, tra cui donne e bambini, il 21 settembre 2022, la città è esplosa in manifestazioni, scioperi e sit-in, che continuano fino ad oggi.

L’attivismo a Zarzis non è cosa nuova. La famiglia di Falleh, come molti altri abitanti della città, non hanno mai sostenuto la dittatura di Bourguiba né quella di Ben Ali. Suo fratello Ali, oggi direttore di un istituto culturale a Tunisi, aveva animato le piazze durante la rivoluzione dei gelsomini. Walid ha deciso di utilizzare la telecamera per portare avanti il suo messaggio politico di resistenza.

Il suo primo documentario, Liberté 302, parlava di una barca di migranti di Zarzis, affondati dall’esercito durante una partenza clandestina. Quest’esperienza fu per il giovane documentarista un cambio di rotta nel modo di pensare, vedere e descrivere la migrazione. Inizialmente, Falleh si chiedeva incessantemente il motivo per cui quelle persone non avevano fiducia nella rivoluzione, perché se ne volessero andare. Ma col tempo comprese che le ragioni che spingono le persone a lasciare la propria terra sono molteplici, profonde e viscerali: «La ricerca della libertà, della vita stessa, è ciò che ci spinge a intraprendere viaggi incerti verso l’ignoto, cercando una speranza che talvolta può sembrarci tra le dita». Come l’attivismo politico, la migrazione è lotta per la libertà, è resistenza contro l’autoritarismo.

E oggi, proprio a Zarzis, mentre i Tunisini se ne vanno in cerca della vita, altri arrivano in fuga dalla morte. Rifugiati e migranti libici, siriani, ivoriani, sudanesi, eritrei, etiopi, somali. Dal 2011, la Tunisia è diventata un luogo di passaggio per molte persone dirette in Europa. Ma la società Tunisina non è pronta, né economicamente né socialmente ad accogliere gli immigrati da altri paesi africani.

Come dice Falleh: «Le persone in Tunisia hanno paura. C’è una totale mancanza di empatia che impedisce una buona accoglienza, soprattutto nei confronti delle persone nere. Recentemente, c’è anche un partito che dice che gli Africani vogliano colonizzare la Tunisia. Questo discorso è strumentalizzato dal presidente per rafforzare il proprio controllo sulla società».

Attraverso la manipolazione emotiva e il populismo xenofobo, il governo tunisino, non diversamente da quello italiano, legittima le proprie azioni repressive contro gli stranieri, ma anche contro i suoi stessi abitanti. Questo nella mancanza di una legge sull’immigrazione e di possibilità effettive di inserimento economico e sociale nel tessuto tunisino. Ma nel frattempo le persone continuano a venire, alimentando così un conflitto sociale.

E’ per questo che Falleh sta concentrando i suoi sforzi per raccontare la storia di Zarzis, città di solidarietà e accoglienza. La storia di Chams, protagonista del documentario dal nome che parla da sé (significa in arabo “sole“) è quella di chi decide di superare le barriere sociali e culturali. Mentre il governo tunisino sembra disinteressarsi della migrazione subsahariana – se non che per reprimerla – Chamseddine ha reagito prontamente. Ha subito compreso l’importanza di dare degna sepoltura alle vittime delle frontiere, creando un cimitero, noto come il “Cimitero degli Stranieri“.

In arabo, straniero e strano, sono la stessa parola (gharib), ma questo per Chams e per Walid non cambia. Tutte le persone devono vivere e morire con dignità. Così, nel Cimitero degli Stranieri vengono seppelliti i cadaveri dei migranti ripescati, da Chams e da altri pescatori. Come dice Walid, queste persone «hanno trovato la loro morte nel pericoloso viaggio verso l’Europa. Bisogna seppellirli con dignità, anche se non sono cittadini di questo paese. Chams annota scrupolosamente i dati personali di ciascun cadavere sapendo che le loro famiglie li avrebbero cercati».

L’obiettivo della camera di Falleh inquadra anche la gioia e la sofferenza dell’uomo che c’è dietro la personalità, ormai famosa, di Chams: «Ama la pesca e si compiace della sua routine e della vita a Zarzis, così ha scelto di restare nel Paese, nonostante la sua famiglia abbia preso il largo con una imbarcazione. La sua storia, come quella di molte altre persone a Zarzis, è triste: da un giorno all’altro, sua moglie e i suoi nipoti se ne sono andati, e lui è rimasto da solo». Da quel momento, si dedica all’attivismo politico, offrendo aiuto e sostegno ai migranti in giro per la città. Nella sua dimora attuale, vive una nuova famiglia: alcuni migranti subsahariani che hanno trovato rifugio da lui, in attesa della loro partenza.

Baba Chems non è il primo documentario di Falleh sui confini e le migrazioni. Nel 2015, mentre faceva il volontario al campo dei rifugiati di Choucha, gli venne in mente di girare un film sulle lotte per la libertà vissute dai migranti in giro per il mediterraneo. Il film Boza, nel quale si narra la resistenza dei migranti in Tunisia, Marocco e in varie città Europee, ne è il risultato.

Un film potente e sovversivo, che mostra la forza delle persone che, malgrado represse e costrette a un’esistenza ai margini, riescono ad andare avanti. Il loro obiettivo: passare la frontiera, un gesto politico e simbolico, ma anche un momento di cambiamento radicale per le loro vite. Il titolo, Boza si riferisce all’urlo di vittoria gridato da alcuni migranti nel momento di passare il confine, come a dire: ce l’abbiamo fatta!

I film di Falleh parlano da sé. Le riprese lasciano spazio ai protagonisti, inquadrati in lunghi primi piani. Le espressioni, gli sguardi, i movimenti del viso e delle mani, sono evidenziati, come mostrare, calcandola, l’umanità di ciascuno. Ma Falleh non è solo un grande regista indipendente, con un’ottima visione della fotografia e un montaggio dai tempi perfetti, allo stesso tempo enormemente soddisfacente ma inaspettato. Falleh è anche un viaggiatore che non si dimentica delle persone che ha incontrato. Con ognuno dei personaggi, stringe una relazione di amicizia, di fratellanza. Passa molto tempo con loro facendosi coinvolgere nelle loro vite. Così, riesce a raccontare veramente le loro speranze e i loro sogni: «Filmavo solo quando le persone lo volevano. A volte mi chiedevano loro stesse di riprendere. Danze, pianti, risate, sofferenza, canti: ho ripreso tutto, mostrando tutti i lati della realtà migratoria. Io stesso ho vissuto questa realtà, vivendo in Italia, Marocco, Francia, Germania. Ora che sono tornato in Tunisia, vedo che c’è bisogno di quello che faccio. Ci credo». Falleh ha fiducia nel cambiamento. Attraverso i suoi film, vuole mostrare ciò che non si vede, e ridare fiducia a chi ne ha persa. Come all’alba della rivoluzione, il percorso è lungo, e speranza è fondamentale.

Vincent Bianco

Arabista e ricercatore di scienze politiche e antropologia delle migrazioni nel mediterraneo.