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Terra e mare. Critica di una riflessione sulla storia del mondo tra territorio e spazi globali

Tesi di Laurea Magistrale in Filosofia politica di Marco Sbardella

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Università La Sapienza di Roma
Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di laurea in Filosofia

Terra e mare. Critica di una riflessione sulla storia del mondo tra territorio e spazi globali

di Marco Sbardella (Anno accademico 2021-2022)

Introduzione

«L’uomo è […] un essere che non si esaurisce completamente nel suo ambiente. Egli possiede la forza di conquistare storicamente la sua esistenza e la sua coscienza […]. In questo senso egli ha correttamente inteso, come dice il poeta, la libertà di incamminarsi dove vuole» 1

Il titolo di questa tesi, Terra e mare. Critica di una riflessione sulla storia del mondo tra territorio e spazi globali, richiama direttamente due testi di Carl Schmitt, in particolare, Terra e mare e Il nomos della terra. Si è voluto infatti impostare un‘analisi critica di questi testi poiché l’intento è di trattare il tema delle identità politiche e collettive, dunque sostanzialmente di gruppi umani. In particolare, si vuole sottolineare la necessaria problematicità di dare una definizione delle identità politiche e collettive e di sottolinearne la necessaria dimensione contingente, mutevole, e mai pienamente omogenea.

Gran parte della teoria schmittiana è rivolta alle dinamiche che dominano i rapporti tra gruppi, in special modo nel suo teso più famoso, Il concetto di politico, con la distinzione fondamentale amico-nemico, e più precisamente con la necessaria dimensione pubblica del nemico. Costui, infatti, non è mai un nemico individuale, ma sempre pubblico, e cioè ha a che fare con i gruppi, non con le individualità.

È proprio questa dimensione plurale che permette di cogliere il contenuto specifico del politico. Non è infatti solo una questione di numeri, il nemico diviene la messa in questione della propria esistenza, la negazione del proprio concreto modo di essere e vivere. È così che si pone la questione delle identità, che è sempre una questione sull’alterità e sulla mediazione.

Si definisce così anche il motivo per cui si è voluto impostare una tesi a partire dai testi Terra e mare 2 e Il nomos della terra 3. Innanzitutto, la teorizzazione del nomos sembra essere un tentativo di rispondere, almeno parzialmente, alla questione dei motivi e delle modalità per cui gli uomini si uniscono in gruppi.

La propria collocazione nel mondo, la propria contingenza spaziale, fisica e temporale, riesce a spiegare, almeno in parte, perché gli uomini si uniscono in gruppi e perché non si uniscono in un unico gruppo. Riesce così ad individuare una base comune per la definizione delle identità politiche e collettive nello spazio fisico in cui queste sono inscritte. Chiaramente, per condivisione dello spazio non si intende solo lo spazio fisico in sé ma anche, e soprattutto, il mondo umano in esso contenuto.

Inoltre, l’impostazione schmittiana del discorso pone la questione da un punto di vista giuridico-politico, il che permette di cogliere l’importanza della questione per la formazione di un ordine, e per la necessità di fondare un ordine. Non solo, un’impostazione del genere permette al contempo di cogliere la centralità della questione per un contesto moderno e contemporaneo, dove l’ordine non è dato o da imitare, ma è da creare. Non a caso il discorso schmittiano si incentra principalmente sui periodi delle rivoluzioni spaziali e quando la convivenza diviene globale. Il contesto storico risulta dirimente per la definizione della questione.

Dunque, si è voluto cercare di comprendere che cosa si intendesse con identità di terra e di mare, e popoli di terra e di mare. Si è voluto fare un’analisi critica che mettesse in dubbio in particolare la definizione unitaria, stabile ed omogenea, come al contempo, e in particolare modo, la rappresentazione storica in cui queste sono inserite nei testi di Schmitt. Sono, infatti, da un lato il corso degli eventi, e dall’altro lo sviluppo degli universalismi contemporanei (politici e tecnici), che permettono di riconfigurare il nomos, e di criticare la rappresentazione storica fornita da Schmitt.

Al contempo, però, ci si potrebbe chiedere perché parlare di identità a partire dalla trattazione schmittiana se viene così criticata. Gli universalismi politici e l’universalismo tecnico sottintendono una soggettività astratta che si pone oltre i limiti naturali. La tecnica contemporanea in particolare ha aperto a nuove possibilità di relazione tra esseri umani che permettono non solo di oltrepassare i confini politici, ma anche gli stessi limiti naturali. Ad oggi lo stesso spazio non è più necessariamente solo uno spazio fisico e, in egual modo, le attività, le pratiche e le abitudini non sono più necessariamente legate ad uno spazio fisico.

Le stesse identità politiche e collettive definite dagli universalismi si fondano su soggettività astratte di questo genere – i progressisti, gli umanisti, i socialisti o il proletariato internazionale, come anche il soggetto universale del contrattualismo liberale, o il soggetto del cosmopolitismo contemporaneo. Queste sembravano essere delle obiezioni fondamentali alle identità politiche e collettive particolariste o intese come fortemente connotate, ed erano il frutto di una società divenuta globale.

È in questo contesto che risultano utili le teorizzazioni schimittiane e in particolare il concetto di nomos, anche se parzialmente riconfigurato. Le identità politiche e la soggettività astratta tipica degli universalismi contemporanei tendono infatti ad ignorare la determinazione contestuale. La particolare situazione storica, sociale e naturale in cui sono inscritti ogni soggettività e gruppo non può non essere dirimente e decisiva per la formazione delle identità, e rende impossibile pensare una soggettività realmente astratta, e quindi dei gruppi la cui identità non è condizionata dalla loro particolare contingente collocazione nel mondo. Il nomos, infatti, evidenzia la caratterizzazione fornita dall’alterità naturale (territorio e ambiente) e dall’alterità umana (società e diritto), che risultano comunque essere delle condizioni non trascendibili.

Inoltre, anche un’analisi degli universalismi contemporanei riesce a mostrare la problematicità, e in finale l’impossibilità, di intendere una soggettività astratta e delle identità politiche e collettive di questo tipo. Sono infatti le fratture interne agli universalismi stessi che mostrano come sia dirimente la particolare situazione sociale per la formazione delle identità. La società globale e l’apertura generalizzata delle possibilità di partecipazione del progresso divengono il modo per massimizzare le potenzialità soggettive, e quindi di esprimere il massimo potenziale umano, ponendosi come destino, per lo meno auspicabile, dell’umanità intera. Nonostante ciò, però, vi sono delle fratture che si aprono inevitabilmente al proprio interno: dipendenze di vario genere; il fatto che il benessere di alcuni si fonda sulla subalternità di altri, oltre l’impossibilità di universalizzare le possibilità e disponibilità che si aprono in alcune zone del mondo, pena l’insostenibilità ambientale e del sistema. La determinazione contestuale, per quanto non totalizzante, non può comunque essere ignorata o esclusa.

Del resto, la stessa teorizzazione del nomos si è formata in funzione anti-universalista, solo che la forte volontà di mostrare la possibilità, mai eliminabile, del politico ha portato a delle identità fortemente connotate e definite in modo stabile, fisso ed omogeneo, il che risulta problematico nella stessa ricostruzione storica svolta. In questo senso, dunque, si è voluto mostrare come entrambi i modi di intendere le identità politiche e collettive, e di conseguenza la soggettività, riescono comunque ad evidenziare delle dimensioni ineliminabili – da un lato la caratterizzazione contestuale, dall’altra la possibilità di definirsi oltre di essa – ma risultano entrambe problematiche. Esse, infatti, cercano di dare una rappresentazione dell’essere umano e dei gruppi umani, e tendono a considerare le identità come qualcosa di stabile e fisso – il ‘radicamento’ contrapposto all’uomo come soggetto astratto. Solo che entrambe sono delle costruzioni contingenti e storiche.

Le soggettività astratte, e le identità politiche fondate su di esse, si pongono come astrazioni di una particolare e concreta soggettività, ed è dunque una costruzione. Al contempo, la tesi multiculturalista, o particolarista, tende ad ignorare che lo stesso ‘radicamento’ e le stesse culture non sono per nulla naturali, oltre al fatto che è sempre possibile che l’identità di gruppo si determini contro lo stesso ‘radicamento’ o la stessa cultura.

Per questo si è voluto sottolineare la dimensione contingente e storica di ogni decisione, in modo tale da evidenziare la necessaria contingenza e mutevolezza di ogni identità, la cui rappresentazione non può che fondarsi su un momento di chiusura arbitraria.

Queste concettualizzazioni, infatti, anche se non esauriscono le dimensioni dell’individuo, non solo si pongono come definizioni dell’identità, e quindi come descrizioni dell’essere umano, ma inoltre sottintendono un particolare modo di concepire la mediazione.

Se per la definizione identitaria, o particolarista, la mediazione diventa un fine auspicabile, ma non sempre possibile, e questo ne fonda la necessità; per la costruzione universalista e astratta, invece, la mediazione diviene un’eventualità sempre possibile, poiché gli uomini possono elevarsi oltre le condizioni oppositive specifiche.

È, dunque, da questo ragionamento che si può riconoscere che non tutte le identità devono necessariamente giungere a mediazione, e che anzi lo scontro è sempre possibile. D’altra parte, però, è necessario riconoscere che ogni opposizione e un’opposizione di un determinato momento storico, che determina le identità, le quali non possono mai fissarsi secondo caratteri stabili, fissi ed omogenei.

Se ne evince dunque la necessaria dimensione contingente, storica e mutevole delle identità politiche e collettive, da che ne consegue la possibilità di oltrepassare i confini tra gruppi umani. Dunque, se la dimensione del politico, ovvero dello scontro, non può mai essere esclusa, al contempo le inimicizie di oggi non è detto non possano divenire amicizie di domani, ma soprattutto si può evincere come ciò si ponga come una vera e propria garanzia di pluralismo.

  1. C. Schmitt, Terra e mare, Milano, Giuffrè editore, 1986, p. 36
  2. La scheda del libro
  3. La scheda del libro