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Brevi note sul DL 20/2023 (artt. 7, 7-ter, 7-quinquies e 9-ter) e possibili orizzonti giuridici

Contributo degli avv.ti Daniele Casola e Violetta Lamberti del Foro di Napoli

Photo credit: Giovanna Dimitolo - 6 maggio, Milano

La Legge 50/2023 di conversione del cd. decreto Cutro presenta alcune norme sulle cui rilevanti – e verosimilmente immediate – ricadute pratiche il presente testo, senza ambizioni di esaustività, si propone di alimentare una riflessione, finalizzata alla condivisione di idee, strumenti giuridici ed orizzonti di intervento.

1. Protezione Speciale e convertibilità del permesso di soggiorno

Non diversamente dai provvedimenti degli ultimi anni, l’intervento che ha avuto maggiore eco, anche nel dibattito pubblico, è costituito dalla modifica della cd. protezione complementare 1 e, nello specifico, della disciplina della protezione speciale, ad opera dell’art. 7 del decreto:

  1. soppressione del 3^ e del 4^ periodo del comma 1.1 dell’art. 19 del T.U. Immig., che prevedevano il rilascio – sia all’esito del procedimento di asilo 2, che di istanza diretta al Questore 3 – di un permesso di soggiorno per protezione speciale (biennale e convertibile) qualora l’espulsione del cittadino straniero risultasse lesiva del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare;
  2. soppressione del 2^ periodo dell’art. 19, comma 1.2, T.U. citato, ovvero la possibilità per il cittadino straniero di avanzare direttamente al Questore (ex novo o nell’ambito di una richiesta di soggiorno già pendente) un’autonoma richiesta di permesso per protezione speciale;
  3. eliminazione, infine, della convertibilità del titolo per protezione speciale in permesso per motivi di lavoro, mediante abrogazione della lettera h-bis dell’art. 6, co. 1-bis, del T.U. citato;
  4. il tutto con la previsione di un regime intertemporale/transitorio, ove, per quanto qui di interesse, è stabilito che “per le istanze presentate fino alla data di entrata in vigore del decreto, ovvero nei casi in cui lo straniero abbia ricevuto l’invito alla presentazione dell’istanza da parte della Questura, continua ad applicarsi la disciplina previgente” e che “i permessi di soggiorno già rilasciati ai sensi del citato art. 19, co. 1.1, 3^ periodo, in corso di validità, sono rinnovati per una sola volta e con durata annuale”, salva la facoltà di conversione in permesso per lavoro (art. 7, commi 2, 2-bis e 3).

Al riguardo, sorgono le seguenti riflessioni e proposte interpretative

In primis, si osserva che il diritto del cittadino UE o extra UE al rispetto della propria vita privata e familiare è imposto, non già dai soppressi periodi dell’art. 19 citato, bensì dall’art. 8 della CEDU e dall’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione: esso, in effetti, è obbligo sovranazionale pienamente cogente dello Stato, la cui potenziale violazione tuttora integra un divieto di espulsione a mente del 2^ periodo del co. 1.1 dell’articolo 19, non modificato, che continua a vietare l’espulsione, tra l’altro, “qualora ricorrano gli obblighi di cui all’art. 5, comma 6” (obblighi costituzionali o internazionali, per l’appunto).

Di conseguenza, si ritiene certamente utile e proficuo, nonché pienamente in linea con la vigente protezione speciale, invocare, sia in sede amministrativa che giurisdizionale, la tutela della vita privata e familiare (allegando e documentando quei profili di radicamento personale, sociale, lavorativo e familiare prima enucleati nell’ultimo periodo del comma 1.1 dell’art. 19) anche di coloro le cui domande di asilo o istanze di protezione speciale risultino assoggettate al nuovo quadro normativo.

Quanto al regime transitorio, si condivide il pensiero di quanti hanno sottolineato che il riferimento del comma 2 dell’art. 7 alla “disciplina previgente” vada inteso necessariamente in senso ampio e, quindi, non soltanto al novero di situazioni sostanziali tutelate, ma anche alle facoltà connesse e consequenziali all’accertamento di un diritto. In altre parole, se è pacifico che le domande di asilo o di protezione speciale pendenti alla data di entrata in vigore del decreto (10/03/2023) vadano esaminate applicando la precedente formulazione dell’art. 19 del testo unico (come già opportunamente chiarito dalla CNA 4), deve essere convintamente sostenuta anche l’ordinaria rinnovabilità e la piena convertibilità di tutti quei permessi di soggiorno ex art. 32, comma 3, d.lgs. 25/08 in corso di validità o in corso di rilascio: difatti, in assenza di indicazioni di segno contrario nella norma, anche in tema di conversione dei titoli di soggiorno deve continuare “ad applicarsi la disciplina previgente” (art. 7, co. 2, citato) e, quindi, la versione del comma 1-bis dell’art. 6 del T.U.I. antecedente alla decretazione de quo, che prevedeva la convertibilità della protezione speciale in lavoro, salve le ipotesi di esclusione della protezione internazionale.

Oltre alla “posizione” della norma transitoria, posta immediatamente dopo tutto il pacchetto di modifiche alla protezione speciale, deve pure evidenziarsi che il principio di non-refoulement è espressione del diritto, anche costituzionalmente garantito, del cittadino straniero ad essere protetto da situazioni potenzialmente lesive dei propri diritti inalienabili e, come già affermato dalla Cassazione a seguito dell’abrogazione della protezione umanitaria, “il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile” (cfr. Cass. Civile, SSUU, sentenze n.29459-29460-29461 del 2019).

L’unica deroga alla “disciplina previgente” è rappresentata, come da dato letterale, da quei permessi per protezione speciale rilasciati ai sensi dell’art. 19, comma 1.1, 3^ periodo, che sono rinnovati “per una sola volta e con durata annuale, a decorrere dalla data di scadenza, ferma la facoltà di conversione del titolo di soggiorno in permesso di soggiorno per motivi di lavoro” (comma 3 dell’art. 7 del decreto). Anche per tali ipotesi, tuttavia, resta il dubbio di un Legislatore abbastanza lontano dalla realtà, poiché, molto spesso, in capo ad un individuo, coesiste un coacervo di esigenze di protezione che, solo se valutate in modo comparativo e complessivo, delineano una condizione personale di non-refoulement meritevole di tutela e conducono le autorità al riconoscimento del diritto al soggiorno.

Chi accerterà, in sede di rinnovo, quale aspetto è stato prevalente? Chi deciderà a quale periodo dell’art. 19 del testo unico “appartiene” una posizione? La discrezionalità attribuita alle Questure appare onestamente eccessiva – pure tenuto conto che, trattandosi di diritti soggettivi, il potere amministrativo andrebbe più attentamente perimetrato – e metterà in difficoltà le stesse autorità di polizia, chiamate a compiere, a posteriori, complicate attività di classificazione, esposte all’incremento del contenzioso giudiziario: meriterà, evidentemente, di essere impugnata una decisione di rinnovo annuale, disposta ai sensi dell’art. 7, comma 3, DL 20/2023, qualora la tutela della vita privata e familiare del cittadino straniero non sia stata la sola (ed esclusiva) ragione di tutela.

Di conseguenza, non appaiono in linea con il ricostruito quadro normativo (e inutilmente faziose, aprendo la strada a prassi opinabili) le indicazioni fornite dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno (circolare dell’1.06.2023) circa la non convertibilità tout court dei permessi per protezione speciale (ad eccezione dei soli casi in cui la richiesta di conversione sia stata avanzata prima del 4/5/2023) e l’estensione della rinnovabilità annuale (unica) di tutti i permessi rilasciati ex art. 19, comma 1.2, testo unico, senza le specificazioni che lo stesso testo di legge espressamente presenta.

2. Decisioni “negative” e attestazione di rimpatrio

Altra rilevante novità, inserita in sede di conversione in legge ed in continuità con l’abrogazione del 2^ comma dell’art. 12 del d.p.r. 394/1999 5, è rappresentata dalla previsione, introdotta all’art. 32, comma 4, d.lgs. 25/08, che le decisioni “negative” delle Commissioni Territoriali rechino anche un’attestazione dell’obbligo di rimpatrio e di divieto di reingresso in territorio nazionale, producendo gli effetti di un provvedimento di espulsione ed autorizzando il questore a procedere agli opportuni atti di esecuzione, salvi gli effetti sospensivi conseguenti alla proposizione del ricorso o alla concessione di tutela cautelare in sede di impugnazione.

La norma delinea, in effetti, una nuova tipologia provvedimentale che le Commissioni – verificata l’assenza delle cause impeditive dell’espulsione di cui all’art. 19, commi 1-bis e 2 6, T.U. Imm., tramite apposita informativa del Questore 7 – sono tenute ad adottare automaticamente in presenza di una deliberazione negativa sulla domanda di protezione, ma appare, tuttavia, fortemente contraddittoria e rischia, soprattutto, di comportare serie restrizioni dei diritti dei richiedenti.

Difatti, nonostante il nuovo 4^ comma dell’art. 32 faccia salvi gli effetti cd. sospensivi conseguenti alla proposizione del ricorso o alla concessione di tutela cautelare 8 appare contraddittoria e risulterà di difficile tenuta la coesistenza di un provvedimento equivalente all’espulsione ed il diritto, riconosciuto al richiedente, di soggiornare nel territorio dello Stato fino a che la sua domanda non si definita: diritto che, come noto, consegue ex lege in caso di ricorso avverso una decisione negativa “semplice” 9 o può essere riconosciuto concesso dal Tribunale, dietro istanza di parte, qualora ricorrano gravi e circostanziate ragioni 10 attribuendo all’interessato, in entrambi i casi, il diritto ad ottenere un permesso per “richiesta asilo”, rinnovabile fino alla decisione definitiva (art. 4, comma 1, d.lgs. 142/2015).

Ad una prima lettura della norma, si ritiene che l’attestazione di rimpatrio, al netto dei vizi specifici che, nel caso concreto, saranno ravvisabili ed eccepibili col ricorso “unitario”, possa legittimamente sopravvivere solo in assenza di effetti cd. sospensivi del ricorso proposto ai sensi dell’art. 35-bis d.lgs. 25/08, rivelandosi probabilmente opportuno avanzare in ricorso apposita istanza “cautelare” volta a far affermare la prevalenza del diritto a restare in territorio nazionale sull’obbligo di rimpatrio, nonché specifica richiesta istruttoria diretta a verificare l’accuratezza degli accertamenti svolti tramite la Questura ai sensi del richiamato art. 27, comma 2-bis, d.lgs. 25/08.

Si rischia, altrimenti, di far ritrovare i richiedenti esposti, sine die, ad un provvedimento di allontanamento e rimpatrio che, quand’anche non posto in esecuzione, ne pregiudicherebbe regolarità di soggiorno ed accesso a diritti e servizi essenziali.

3. Cessazione della protezione internazionale

Risulta, poi, di interesse l’art. 9-ter del d.l. 20/2023, con il quale è stato sostituito il comma 2-ter degli articoli 9 e 15 del d.lgs. 251/2007 con l’introduzione di ulteriori restrizioni in tema di applicazione delle cd. clausole di cessazione della protezione internazionale. Si tratta, come noto, delle ipotesi in cui la protezione internazionale riconosciuta non risulta più necessaria o giustificata e il rifugiato (o il titolare di protezione sussidiaria) cessa di essere tale 11.

La novella è apparentemente di lieve entità poiché, alla già affermata rilevanza di “ogni rientro, anche di breve durata, nel Paese di origine, ove non giustificato da gravi e comprovati motivi12si limita ad aggiungere che il rientro in patria debba essere avvenuto per il “periodo strettamente necessario”.

È però evidente che, a dispetto dell’esiguità lessicale, la norma introduce, nuovamente, valutazioni fortemente discrezionali e disancorate da parametri oggettivi circa la “necessarietà” del periodo di permanenza nel Paese di origine: si pensi ai rientri, molto frequenti nella prassi, per far visita ad un familiare malato. Come stabilire i tempi più o meno necessari per assistere un genitore malato o anziano?

La modifica, peraltro, appare poco conferente alla clausola di cessazione cui si riferisce 13, che richiede uno stabile, sicuro e volontario reinsediamento del rifugiato nel territorio precedentemente abbandonato per il timore di persecuzioni, e non può che auspicarsene l’equilibrata applicazione e la futura abrogazione.

4. Procedura decisoria semplificata dei ricorsi proposti ante 31/12/2021

L’ultima norma che, in questa sede, si segnala è l’art. 7-quinquies del d.l. 20/2023, con cui è stata introdotta una procedura semplificata per la definizione dei giudizi pendenti in materia di protezione internazionale, introdotti con ricorso depositato entro il 31 dicembre 2021.

Si prevede, in estrema sintesi, che il difensore, munito di procura speciale, fino al momento della rimessione della causa al collegio, possa presentare istanza di esame in via principale della domanda di protezione speciale e in via subordinata di quella di protezione internazionale. L’istanza, a pena di inammissibilità, deve essere corredata di tutta la utile a dimostrare il ricorrere dei presupposti per l’accoglimento della domanda di protezione speciale e, previo contraddittorio documentale con la competente commissione territoriale, è esaminata in via prioritaria.

Se accolta, il giudice pronuncia decreto non reclamabile e dichiara l’estinzione della domanda subordinata, provvedendo sulle spese, altrimenti rimette la causa al collegio per la decisione.

La norma possiede un rilievo evidentemente pratico ed un altrettanto significativo potenziale deflattivo dei ritardi accumulati dai Tribunali a causa della pandemia, oltre a codificare una prassi già in uso in numerose Sezioni Specializzate in materia di protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, che disponevano, su istanza di parte, la trattazione prioritaria dei ricorsi in cui, medio tempore, venivano meno esigenze di approfondimento istruttorio per rinuncia alle domande volte al riconoscimento delle protezioni “superiori”.

L’indubbia utilità della disposizione rischia, tuttavia, di essere depotenziata (e l’effetto deflattivo del contenzioso fortemente limitato) qualora le autorità amministrative optassero per un’interpretazione non corretta del regime transitorio e in contrasto col dato normativo di cui all’art. 7, commi 2 e 3, del decreto 20/2023, specie in ordine alla convertibilità dei permessi per protezione speciale in titoli per motivi di lavoro: l’orizzonte di un permesso senza sbocchi che non consenta di proseguire la propria vita sul territorio italiano evidentemente scoraggerà numerosi ricorrenti dall’aderire alla procedura decisoria semplificata e frenerà i difensori dal suggerire tale strada processuale.

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  1. art. 6 par. 4 della direttiva 115/2008: “In qualsiasi momento gli Stati membri possono decidere di rilasciare per motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura un permesso di soggiorno autonomo o un’altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare a un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare”.
  2. art. 32, comma 3, del d.lgs. 25/2008.
  3. art. 19, comma 1.2, T.U. citato.
  4. circolari del 13.03.2023 e del 06.06.2023.
  5. Con il provvedimento di cui al comma 1, il questore concede allo straniero un termine, non superiore a quindici giorni lavorativi, per presentarsi al posto di polizia di frontiera indicato e lasciare volontariamente il territorio dello Stato, con l’avvertenza che, in mancanza, si procederà a norma dell’articolo 13 del testo unico”.
  6. a) straniero minorenne; b) straniero in possesso della carta di soggiorno; c) convivente con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana; d) donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio; d-bis) stranieri che versano in condizioni di salute derivanti da patologie di particolare gravità.
  7. art. 27, comma 2-bis, d.lgs. 25/08.
  8. art. 35-bis, commi 3 e 4, d.lgs. 25/08.
  9. art. 35-bis, comma 3, d.lgs. 25/08: “La proposizione del ricorso sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento”.
  10. art. 35-bis, comma 4, d.lgs. 25/08.
  11. Cap. III, Par. A, Pag. 27, Manuale UNHCR su procedure e criteri, settembre 1979
  12. Norma introdotta dal DL 113/2018, convertito in L. 132/2018.
  13. Art. 9, lett. d, d.lgs. 251/07.