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Iran – Status di rifugiato all’intero nucleo familiare a rischio di persecuzione a causa delle opinioni politiche del padre

Tribunale di Bologna, decreti del 19 maggio 2023

Il Tribunale di Bologna con tre separati decreti del 19 maggio 2023 ha riconosciuto lo status di rifugiato ad un nucleo familiare composto da padre, madre e figlia maggiorenne, proveniente dall’Iran ai quali la Commissione Territoriale bolognese aveva nel settembre 2019 accordato solo la protezione speciale ai sensi dell’art. 19 co. 1 T.U.I. per il rischio di subire atti di natura persecutoria. L’organo ministeriale aveva ritenuto l’esistenza di tale rischio solo con riguardo ad un eventuale rimpatrio dei richiedenti verso l’Iran in assenza di passaporto e dopo il diniego della loro domanda d’asilo e non invece per i fatti posti a fondamento della loro domanda di protezione internazionale. Il Tribunale felsineo ha invece correttamente riscontrato il rischio di persecuzione che l’intero nucleo familiare correrebbe in caso di rientro nel Paese d’origine, a causa delle opinioni politiche del padre.

Il richiedente infatti lavorava per anni per un’importante azienda portuale iraniana, la Tidewater Middle East Co., che a partire dal 2011 è stata sanzionata dagli Stati Uniti per la sua presunta proprietà da parte del Corpo della Guardia Rivoluzionaria Islamica (IRGC), e per essere stata utilizzata da quest’ultimi per spedizioni illecite di armi nelle zone di conflitto in Medio Oriente. Dopo aver scoperto le attività illecite messe in atto dall’azienda per la quale lavorava, il richiedente, insieme ad alcuni suoi colleghi, ha provato in diversi modi ad oporsi anche tramite astenensioni ripetute dal lavoro nei giorni in cui le spedizioni di armi avvenivano, non essendo possibile in Iran una vera e propria attività sindacale e non essendo garantito il diritto allo sciopero. Conseguentemente, lui e i suoi colleghi venivano ripetutamente arrestati e torturati – alcuni addirittura uccisi – dai servizi segreti iraniani. Avendo dimostrato il suo dissenso in ambito lavorativo ed avendo messo in atto attività “contrarie” alle direttive imposte dai vertici dell’azienda, il richiedente era considerato a tutti gli effetti un dissidente politico e traditore della Repubblica Islamica.

Il Tribunale di Bologna, dopo un’attenta analisi delle COI che documentano la situazione dei lavoratori in Iran, il divieto di sciopero e di attività sindacali, le conseguenze in caso di dissenso, l’inesistenza di un giusto processo e la possibilità per i cittadini iraniani di essere controllati anche fuori dal Paese, ha affermato: “Orbene, è evidente che dalle COI sopra riportate non è consentito ad un cittadino iraniano di esprimere un dissenso politico in relazioni ad attività poste in essere dalle autorità statali, pena il rischio di essere percepito e trattato come un traditore e sottoposto a continui monitoraggi, pestaggi, torture, arresti arbitrari, e condanne anche alla pena capitale all’esito di processi sommari, nei quali non è assicurato il diritto di difesa. L’istante ha chiarito come la società presso la quale lavorava era una delle aziende principali dell’Iran, in un settore strategico come quello del trasporto aeroportuale; per tali motivi la società era controllata dal governo, prima direttamente e poi tramite istituti bancari che hanno solo una veste formale apparente per celare l’effettiva proprietà […] È chiaro dalle COI sopra indicate che il ricorrente possa essere percepito in patria come un nemico dello Stato, un traditore, per il semplice fatto di opporsi alle politiche di vendita di armi a Stati in guerra. […] Il richiedente è stato già vittima di arresti arbitrari, interrogatori e pestaggi, tanto da ritenersi comprovato che abbia subito atti persecutori per le sue convinzioni politiche. Inoltre, dal suo racconto si evince che le sue proprietà sono state sequestrate successivamente alla sua partenza dall’Iran. Ciò costituisce senza dubbio alcuno persecuzione per motivi politici nei confronti del ricorrente ai sensi dell’art. 7 D.Lvo 251/07”.

Per quanto riguarda il riconoscimento dello status di rifugiate alla moglie e alla figlia del ricorrente, il Tribunale felsineo ha fatto riferimento all’art. 4 Direttiva UE 2011/95 e alla sua interpretazione nella giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, sottolineando che: “si deve tener conto delle minacce di persecuzione e di danni gravi incombenti su un familiare del richiedente, al fine di determinare se quest’ultimo, a causa del legame familiare con detta persona minacciata, sia a sua volta esposto a dette minacce. []In applicazione del disposto della CGEU nella sentenza Ahmedbekova, si deve valutare la specifica situazione della ricorrente, coniuge/figlia di un oppositore politico, già arrestato e torturato in quattro occasioni, e il rischio che correrebbe in caso di suo rientro in Iran.Le COI consultate danno atto che in Iran i familiari di persone perseguitate per il loro credo religioso o per motivi politicipossono essere anch’esse sottoposte a misure repressive.

Infine, il Collegio bolognese nei provvedimenti riguardanti la moglie e la figlia maggiorenne del richiedente si è concentrato anche su una breve analisi delle COI disponibili riguardanti l’attuale situazione “di palese discriminazione” delle donne in Iran, riconosciuta come ulteriore aggravante della situazione individuale delle richiedenti, arrivando alla conclusione che: “in caso di rientro in Patria, sarebbe esposta al rischio fondato ed attuale di subire – quale familiare di una persona perseguitata – gli stessi atti di persecuzione subiti dal marito/padre per motivazioni politiche, e ancora più a seguito del netto peggioramento della situazione in Iran, in particolare quella delle donne, come attestano le COI ora riportate”.

Si ringrazia l’Avv. Ivana Stojanova per la segnalazione e il commento.


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