Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
PH: Antonio Sempere (Melilla, luglio 2023)
/

Il rapporto di monitoraggio della frontiera euro-africana occidentale del primo semestre 2023

Caminando Fronteras: 5 persone al giorno muoiono in mare per raggiungere la Spagna

Start

Al tragico bilancio di questo rapporto si aggiunge la scomparsa di un cayuco partito il 27 giugno scorso dal sud del Senegal e diretto alle Isole Canarie con quasi 200 persone a bordo, tra cui diversi bambini.
Caminando Fronteras ne denuncia la scomparsa sulla base delle segnalazioni ricevute dalle famiglie delle persone a bordo. L’imbarcazione è partita dodici giorni fa da Kanfountine, un villaggio di pescatori nella parte del Senegal situata a sud del Gambia, a circa 1.700 chilometri da Tenerife.
Sono tutti della stessa zona, tutti molto giovani. C’è un padre che chiama ogni giorno chiedendo dove si trovino, perché ha tre figli a bordo“, dice una portavoce della ONG che ha trasmesso l’allarme alle autorità spagnole.

Sono stati pubblicati dal collettivo Caminando Fronteras i dati sul monitoraggio della frontiera spagnola del primo semestre 2023 1. In questa prima metà dell’anno sono state registrate 951 vittime. Ancora una volta la rotta delle Canarie si rivela la più pericolosa, con 778 vittime in 28 naufragi. Secondo le ricerche del collettivo spagnolo la mortalità delle persone in mare e il numero di naufragi è fortemente influenzata dalle scelte operative degli organi di soccorso istituzionali spagnoli, che in molteplici occasioni si sono resi protagonisti omissioni di soccorso.

Caminando Fronteras continua inoltre a denunciare gravi violazioni dei diritti umani, come gli arresti arbitrari allo sbarco in Spagna subiti dalle persone sopravvissute, i trasferimenti forzati, le aggressioni fisiche da parte degli agenti di polizia e la mancanza di processi per il riconoscimento delle vittime e per la loro degna sepoltura. È stata rilevata infatti la presenza di fosse comuni in cui le persone vengono seppellite ancor prima di essere identificate, impedendo arbitrariamente alle famiglie delle vittime non solo di riconoscerle, ma anche di venire a conoscenza della loro morte, compromettendo significativamente l’elaborazione del lutto dei familiari.

Violenza istituzionale

Secondo Caminando Fronteras molti naufragi si sarebbero potuti evitare, se il centro di coordinamento di Salvamento Marítimo avesse attivato i mezzi necessari per il soccorso all’avvistamento delle imbarcazioni, invece di aspettare che queste naufragassero. Uno di questi naufragi è stato documentato dall’emittente radio spagnola CadenaSER, che ha avuto accesso alle registrazioni 2 dell’operazione di “salvataggio” del 20 giugno scorso a sud di Gran Canaria, in cui 39 hanno perso la vita. Quel giorno, alle 15.15 Caminando Fronteras ha ricevuto l’allerta da parte di un’imbarcazione alla deriva con 63 persone a bordo, di cui 6 donne e 3 bambini. A meno di un’ora di navigazione un’altra nave di Salvamento Marítimo stava effettuando un altro soccorso e avrebbe potuto facilmente raggiungere l’imbarcazione alla deriva, ma – come si ascolta dalle registrazioni – il centro di coordinamento ordina alla nave di rientrare e si mette in contatto con le autorità marocchine, che rispondono solo due ore dopo accogliendo la richiesta spagnola di prendere in carico il soccorso dell’imbarcazione. La nave di soccorso marocchina arriva il giorno dopo quando l’imbarcazione si è già ribaltata, provocando l’annegamento di 39 persone.

Questo drammatico evento è unico solo perché documentato, ma rappresenta in realtà il modus operandi nella gestione dei soccorsi in mare dello stato spagnolo, come denuncia un familiare chiedendo aiuto a Caminando Fronteras poche ore prima del naufragio:

“Li lasceranno morire, per favore, non è la prima volta. Lo sappiamo bene che sono assassini, assassinano le nostre famiglie. Per loro è uguale, non hanno pietà, sono ore che sono lì in mezzo al mare, sento che moriranno. Mia moglie e mio figlio moriranno”

Come prevedibile, dopo gli accordi di riappacificazione siglati tra Spagna e Marocco, la violenza in frontiera non accenna a diminuire. Un’altra tragica testimonianza riportata nel rapporto del collettivo spagnolo dimostra che, al contrario, gli episodi di violenza fisica e istituzionale sono aumentati:

“Hanno iniziato a sparare quando eravamo già sulla patera, ho contato fino a quattro raffiche. È stato terribile, c’era un ragazzo accanto a me, mi ha afferrato e poi sono caduto con lui in acqua. Eravamo ancora vicini alla spiaggia, non so come mi sono salvato. Sulla riva ho visto il ragazzo che si era aggrappato a me, era morto. Altri due compagni accanto a me erano ancora vivi. Ho guardato i soldati e ho detto “l’avete ucciso”, tutti e tre eravamo arrabbiati, ci avevano sparato come se fossimo niente, come se la nostra vita non valesse nulla. Poi è arrivata la gendarmeria e abbiamo iniziato a raccontare, a indicare chi aveva sparato. Ho preso i documenti del ragazzo morto, aveva un passaporto del Mali, l’ho preso per sapere chi era e poterlo dire alla sua famiglia, e ho preso anche il suo telefono, ma la gendarmeria mi ha preso tutto. Ero molto arrabbiato e continuavo a dire che volevo testimoniare, che lo avevano ucciso. La gendarmeria ci ha arrestato e alla fine ci ha abbandonati nel deserto. Ancora oggi non riesco a dormire la notte, sento gli spari, vedo il suo volto, mi chiedo se i suoi genitori sanno che è morto e dove sta il suo corpo”

Altre tre persone sono morte durante il viaggio verso Gran Canaria a causa delle ferite da arma da fuoco, mentre altre due persone colpite, delle 43 sbarcate, sono sopravvissute. Tuttavia, nonostante la gravità di questa testimonianza, la polizia spagnola non ha creduto ai racconti delle persone sbarcate. Così solo il giorno dopo lo sbarco le due persone ferite sono state trasferite in ospedale dove si è potuto constatare che le ferite erano state causate da proiettili.

Maltrattamento dei familiari delle vittime

Caminando Fronteras continua a denunciare il maltrattamento istituzionale dei parenti delle vittime e la mancanza di protocolli di identificazione e riconoscimento delle vittime di cui si è trovato il corpo. La pratica di seppellire i corpi in fosse comuni è una violenza nei confronti dei familiari, non solo per il trattamento spersonalizzante dei loro cari defunti, ma anche perché ciò avviene prima del riconoscimento della vittima, lasciando molte famiglie nella condizione di non poter mai accertare (e dunque accettare) la morte di una persona cara. Così, nella quasi totalità dei casi, viene anche negata la possibilità alle famiglie di celebrare il lutto secondo le proprie ritualità e tradizioni, sottraendo loro i corpi dei loro familiari defunti.

Il maltrattamento dei familiari è riscontrabile anche nella quasi assoluta indisponibilità delle istituzioni alla ricerca dei dispersi. Nonostante siano diversi i casi di naufragi in cui ci siano le condizioni per iniziare i lavori di ricerca attuando protocolli istituzionali, 9 in questo primo semestre secondo il collettivo spagnolo, lo stato non mette quasi mai in moto azioni di ricerca attiva dei dispersi. Le poche volte che vengono ritrovati dei corpi è per casi fortuiti, come nel caso di 7 cadaveri incontrati nelle reti da pesca di pescherecci a largo delle Canarie, ancora in attesa di essere rimpatriati.

L’invisibilità della rotta algerina

In questo luogo di morte che sono le frontiere, la rotta delle canarie si è attestata negli ultimi anni come la più pericolosa. Le motivazioni sono riscontrabili nei lunghi tragitti che separano le coste africane dall’arcipelago, la conseguente alta probabilità di imprevisti e guasti durante il viaggio, oltre che perché si naviga nell’oceano e non nel mediterraneo.

Secondo il collettivo spagnolo tuttavia c’è un’altra rotta che recentemente è diventata molto pericolosa, non solo per il numero di morti ma anche l’aumento dell’impunità nelle violazioni dei diritti umani in questa zona di confine, dovuto proprio alla sua invisibilità nel discorso pubblico, ed è la rotta algerina.

Tra il 2018 e il 2022 sono state registrate 1.583 vittime e molte decine di naufragi sulle vie marittime che collegano le coste dell’Algeria all’Andalusia orientale, a Murcia, a Valencia e alle Isole Baleari. Per queste ragioni, dopo un anno di ricerche, il collettivo ha pubblicato un rapporto dal titolo «Muro de indiferencia. La ruta argelina del Mediterráneo Occidental» 3.

  1. Scarica il rapporto
  2. Está dentro de la zona SAR nuestra”: la SER accede a las grabaciones de Salvamento Marítimo del último naufragio en la ruta canaria, Cadenaser (22 giugno 2022)
  3. Scarica il rapporto

Mattia Iannacone

Mi chiamo Mattia, vengo da Novara e mi sono laureato in scienze politiche a Padova. Ho avuto diverse esperienze in frontiera come attivista in Italia, Spagna e nei Balcani. Attualmente vivo a Bologna dove studio antropologia.