Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
Ph: Silvia Collesi
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Isola di Lesbo, Grecia. Intervista all’ong Europe Cares

di Silvia Collesi, realizzata a giugno 2023

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Europe Cares è una ong che opera sull’isola di Lesbo in Grecia, in particolare nella zona marittima di Mitilene, sostenendo in maniera diretta le persone in movimento e denunciando le violazioni dei diritti umani che queste subiscono. «Crediamo in una società civile che non distoglie lo sguardo. Le violazioni dei diritti umani sono diventate la “nuova normalità” alle frontiere esterne europee. Tuttavia, in tutta Europa ci sono persone che si preoccupano e non vogliono accettare questo status quo», scrivono nel loro manifesto.

Silvia Collesi ha intervistato Silvia, responsabile di campo dell’organizzazione, che ha raccontato la situazione dell’isola e le sue contraddizioni, nonché illustrato le politiche elleniche: Lesbo, ancora oggi, rappresenta uno dei principali laboratori delle politiche europee di controllo e selezione sulle migrazioni.

Potreste fornire una panoramica dell’associazione Europe Cares e delle attività che svolgete sull’isola di Lesbo?

A maggio 2022 Europe Cares ha iniziato a operare ufficiosamente su questo spazio denominato Parèa, situato appena di fronte alla tendopoli. Si tratta di uno spazio che c’era già. In passato, era gestito da un’altra organizzazione molto attiva e conosciuta sin dal 2015, One Happy Family, che ha però ha finito col disgregarsi lentamente fino a cessare di esistere completamente in corrispondenza dell’epidemia di Covid-19 nel 2020.

La presenza pregressa di One Happy Family ha agevolato il lavoro di Europe Cares poiché abbiamo ereditato la struttura già esistente, oltre a contatti e servizi utili. Nonostante ciò, ci sono comunque alcune difficoltà nell’operare su questo territorio e con queste tematiche. Le dinamiche sono diverse e in continuo mutamento anche se la natura del lavoro rimane sempre la stessa.

Qual è lo stato attuale dei lavori del nuovo campo e cosa si sa finora a riguardo?

Nonostante le promesse di completare il nuovo campo di Moria, è importante sottolineare che nel 2023 il campo non è ancora pronto per accogliere i richiedenti asilo e ciò solleva non pochi dubbi sulla tempistica e sull’effettiva realizzazione del progetto.
Il campo sostitutivo di Moria sull’isola di Lesbo sembrerebbe finalmente in procinto di essere completato, ma vari sono stati gli inconvenienti che hanno rallentato se non bloccato questo progetto, costato al governo greco intorno agli 87 milioni di euro. Questo nuovo campo, che sarà simile a quello presente sull’isola di Samo, quindi un Centro Chiuso ad Accesso Controllato (CCAC), sarà localizzato in una zona isolata, completamente circondato da alte recinzioni dotate di filo spinato e costantemente monitorato da droni, personale di sicurezza e telecamere a circuito chiuso. A differenza della tendopoli temporanea di Kara Tepe, allestita in fretta e furia dopo l’incendio che ha distrutto Moria anni fa, il nuovo campo sorgerà a Vastria, a circa 30 chilometri a Nord di Mitilene e sarà situato all’interno di una vasta e afosa pineta.

Quali sono le problematiche che continuano ad impedire di ultimare la realizzazione del progetto?

Sono di diversa natura. Per prima cosa l’accesso: la strada di accesso al campo sembrerebbe attraversare l’habitat di un raro uccello indigeno, che è protetto e unico dell’isola di Lesbo.
Che siano scuse per temporeggiare, non è ben chiaro. C’è molta omertà riguardo alla questione.

Poi il rischio Incendi: la scelta di posizionare il nuovo campo all’interno di una pineta suscita seri timori riguardo all’elevato rischio di incendi. La presenza di alberi e vegetazione può favorire la rapida diffusione del fuoco, mettendo in pericolo la sicurezza sia dei residenti che del personale del campo. Questa situazione rappresenta un rischio significativo, considerando anche che episodi del genere sono già accaduti in passato e sarebbe auspicabile evitarli.

Quali sono le implicazioni e le considerazioni riguardo a questo “campo nascosto” sull’isola di Lesbo e la percezione che l’isola sia destinata a questa funzione?

Riprodurre un secondo campo simile a Moria non è assolutamente una soluzione adeguata per Lesbo. Quest’isola di confine è destinata a vivere tali situazioni per sempre, poiché le migrazioni in quest’area sono storicamente inevitabili. Costruire un nuovo campo all’interno di una pineta, con il solo intento di “nascondere alla vista” il problema dei migranti, è solo un modo per ignorare la realtà. Questa strategia non solo allontana il problema dalla consapevolezza dei cittadini, ma crea anche una distanza dagli aiuti umanitari necessari.

Invece, dovremmo concentrarci su altre idee: l’Europa dovrebbe impegnarsi a sviluppare un sistema rapido ed equo per l’elaborazione delle richieste d’asilo e un sistema di accoglienza che offra condizioni umane durante l’attesa di una risposta. Questo approccio permetterebbe di affrontare il problema in modo più empatico e rispettoso dei diritti umani, affrontando la questione migranti in modo responsabile e sostenibile. Questo è ciò che tentiamo di fare noi tramite il nostro lavoro con Europe Cares.

Qual è il coinvolgimento delle comunità locali nell’accoglienza e nell’inclusione dei migranti e dei rifugiati?

L’aiuto alle persone in movimento è più che altro di tipo internazionale, mentre la frustrazione degli abitanti è palpabile. Non possono più tollerare che la loro terra si sia trasformata in un punto di passaggio per migliaia di migranti, mettendo a rischio la prosperità della vocazione turistica che una volta era stata la principale fonte di ricchezza.

Ma questo movimento di protesta isolano è stato variegato, comprendendo sia gruppi di estrema destra che membri della società civile. Mentre alcuni puntano il dito contro la disumanizzazione dei campi governativi e chiedono un sistema di accoglienza più solidale, altri rivendicano un blocco totale all’arrivo di migranti. Queste posizioni nette trascendono le divisioni politiche, poiché c’è un “no” unanime che risuona.

La gente qui è esasperata e si sente abbandonata da tutte le istituzioni, sia dal governo locale che dall’Unione Europea, che sembrano trattare l’isola come una sorta di “contenitore” senza prestare un aiuto adeguato.

Quali sono i principali problemi che in generale anche voi avete riscontrato?

L’isola di Lesbo affronta un enorme problema che potrebbe essere riassunto in una sola parola: sovraffollamento. A volte, ci sono troppi rifugiati persino qui al centro di Parèa, e la situazione diventa difficilmente gestibile. Il numero di persone che hanno bisogno di assistenza è troppo elevato e, in aggiunta, gli arrivi continuano incessantemente. Questa situazione rappresenta una sfida enorme per l’isola, poiché deve far fronte alle necessità di un gran numero di persone vulnerabili. Il sovraffollamento comporta notevoli difficoltà nell’offrire adeguata assistenza e supporto a tutti, mettendo a dura prova le risorse e le infrastrutture disponibili, ma anche la sicurezza.

Troppo spesso, i rifugiati sono soggetti a violenze sia fisiche che sessuali dalle guardie di confine e sono soggetti a frequenti maltrattamenti all’interno del campo da parte di altri persone. Questa situazione è talmente allarmante che durante la notte, molte donne e uomini hanno il timore di andare al bagno da sole, temendo di essere vittime di atti violenti. Per cercare di far fronte a questa situazione critica, alcuni hanno organizzato delle ronde di controllo, ma la delicatezza della situazione persiste.
È evidente che vi è un urgente bisogno di garantire la sicurezza e la protezione dei rifugiati, sia all’interno dei campi che durante i loro spostamenti. È essenziale agire per prevenire e contrastare qualsiasi forma di violenza e abuso, assicurando un ambiente sicuro e rispettoso dei diritti umani per coloro che hanno cercato rifugio e speranza in nuove terre.

Quali sono le principali necessità mediche più frequenti?

Le richieste più frequenti in termini di assistenza sanitaria oltre ad un’infinità di incidenti ed infezioni, riguardano principalmente problemi di salute mentale: molte persone soffrono di attacchi di panico, ansia e depressione, spesso legati a situazioni traumatiche vissute nei loro paesi d’origine, durante i viaggi migratori o a causa di situazioni di tensione e violenza nel luogo in cui risiedono. Il supporto psicologico è fondamentale per aiutare queste persone a fronteggiare il loro disagio emotivo.

Secondo quanto riportato da Medici senza frontiere, si sono verificati oltre 300 tentativi di suicidio tra i rifugiati detenuti qui negli ultimi tre anni.

Quali problemi si riscontrano anche nella Grecia continentale riguardo ai campi migranti?

In aggiunta, nella Grecia continentale, sta prendendo avvio un processo di militarizzazione dei campi migranti. Vengono installate telecamere di sorveglianza, droni sorvolano costantemente l’area, e i cancelli d’ingresso sono dotati di videocamere termiche. Inoltre, muri di cemento alti oltre tre metri stanno gradualmente oscurando persino la vista dell’orizzonte. Queste misure di sicurezza hanno costi notevoli, con una stima di oltre 28 milioni di euro solo per la costruzione dei muri, dei quali il 75% sarà finanziato dall’ISF (Fondo Europeo per la Sicurezza Interna). Tale militarizzazione solleva preoccupazioni riguardo alla libertà e ai diritti dei migranti e pone una pesante enfasi sulla difesa delle frontiere a scapito di un’effettiva politica di accoglienza umanitaria.

Da quali luoghi provengono le persone presenti nel campo di Lesbo e qual è la sua capacità attuale?

La maggioranza dei rifugiati provengono da Afghanistan, Somalia, Irian e Siria. Il campo originario di Moria era stato inizialmente pensato per accogliere all’incirca 3.000 persone, ma in dei momenti sono arrivate ad essere 20.000. Lo stesso discorso va applicato al campo di Kara Tepe che si tratta pur sempre di una tendopoli temporanea, con capacità drasticamente ridotta e servizi meno adeguati performanti rispetto al precedente e al successivo.

Come funzionano gli arrivi e gli eventuali respingimenti?

Spesso vengono rimandati indietro a bordo di fragili zatteroni, non motorizzate, poco più che dei pezzi di legno lasciati letteralmente alla deriva. Questa situazione, di per sé già traumatizzante, spesso viene aggravata da abusi e violenze subite durante il viaggio. È accaduto che i migranti siano stati derubati di ogni cosa, persino dei loro abiti, lasciandoli in condizioni disperate e vulnerabili.
Solitamente, gli arrivi avvengono nella parte alta dell’isola, la zona più vicina alla costa turca, durante le ore notturne. Se per caso riescono a sbarcare sulle coste greche, inizia una vera corsa contro il tempo. Si nascondono nella foresta, cercando di evitare di essere scoperti e cercando subito di mettersi in contatto con le varie associazioni presenti sull’isola, tra cui la nostra, tramite dei cellulari che sono però facilmente intercettabili. In questa delicata fase, il primo soccorso è spesso gestito da organizzazioni come MSF, che agiscono in modo clandestino e coraggioso, rischiando molto. Queste squadre si spostano spesso con due veicoli per evitare di essere ostacolate e cercano di raggiungere i migranti prima che la polizia locale li trovi, perché in caso contrario, verranno probabilmente arrestati, o in alternativa respinti e rimandati indietro nel migliore dei casi.

Tra i racconti delle persone migranti, emergono spesso testimonianze di incontri con individui mascherati che si presentavano come medici, cercando di guadagnare la loro fiducia al fine di ingannarli e manipolarli per abusare della loro vulnerabilità.

Queste storie evidenziano la necessità di garantire la sicurezza e la protezione per coloro che cercano asilo e l’importanza di promuovere azioni umanitarie basate sulla fiducia e la trasparenza.

Quali sono i principali ostacoli alle procedure di asilo?

In Grecia, il processo di richiesta di asilo ancora incontra molteplici ostacoli strutturali ed endemici. Sulle isole, e in particolare a Lesbo e Samo, che sono nettamente più svantaggiate rispetto alla terraferma, si osserva un automatico trasferimento nei centri di identificazione e pre-registrazione delle domande di protezione. Tuttavia, la velocità di queste procedure può risultare problematica. I rischi associati a una valutazione affrettata sono evidenti, poiché potrebbe portare a decisioni sommarie, ignorando i diritti delle persone vulnerabili. Il breve tempo impiegato per analizzare le richieste di protezione potrebbe essere incompatibile con le necessarie valutazioni approfondite per riconoscere lo status di persona vulnerabile. Inoltre, anche una volta ottenuto lo status di rifugiato, a quasi nessuno è concesso lasciare l’isola di Lesbo, risultando in un totale disinteresse da parte dell’Unione Europea verso questa difficile situazione.

Nessuno ascolta sul serio le storie di dolore dei profughi di Lesbo.

In questo contesto difficile, Europe Cares continua a essere un faro di speranza, lavorando instancabilmente per offrire un futuro migliore a chi cerca rifugio e protezione. Con una combinazione di impegno umanitario e sensibilizzazione, l’organizzazione lotta per garantire dignità e diritti umani a coloro che sono in movimento verso un futuro più sicuro e sostenibile.

La missione di Europe Cares va ben oltre la mera assistenza. La nostra organizzazione si impegna a distribuire vestiti e beni di prima necessità, fornendo ai rifugiati il sostegno umano di cui hanno bisogno durante momenti così difficili. Ma non ci fermiamo qui: oltre alle attività di distribuzione, ci dedichiamo a organizzare coinvolgenti attività ludico-ricreative per offrire un po’ di svago e speranza in queste circostanze spesso avverse. Inoltre, comprendiamo l’importanza dell’aspetto nutrizionale e per questo distribuiamo pasti aggiuntivi per garantire che tutti abbiano accesso a un’adeguata alimentazione.

Il nostro impegno è quello di fornire un minimo di comfort e umanità a coloro che si trovano in situazioni di estrema vulnerabilità, dimostrando che, anche in mezzo alle difficoltà, c’è sempre una mano amica pronta ad aiutare.