Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Oltre alla retorica intergovernativa: alimentare prospettive nuove sulla questione migratoria

Alla conferenza “sviluppo e migrazioni” risponde il controvertice promosso da Refugees in Libya e Mediterranea

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Presentata come successo diplomatico e di politica estera del governo italiano, la conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni ospitata il 23 luglio alla Farnesina è l’ennesimo sfoggio del linguaggio tecnico con cui si parla di migrazioni a livello intergovernativo. Un linguaggio apparentemente neutro, ma che nella sua neutralità si pone lontano dalle situazioni reali di sofferenza e resistenza, sfruttamento e morte vissute ogni giorno dalle persone che attraversano i confini in cerca di condizioni di vita dignitose.

Ciò che forse può colpire è che il linguaggio usato da Meloni per parlare di “soluzioni” al fenomeno migratorio metterebbe virtualmente d’accordo non solo tutte le forze politiche dell’arco parlamentare, ma anche tutti i governi partecipanti. Abbandonati i toni apertamente provocatori sul tema delle migrazioni che hanno contribuito fortemente alla sua ascesa al governo, la premier usa una “lingua di cotone”, infarcita di parole che hanno il potere di anestetizzare ogni contraddizione e assicurarsi un consenso ampio 1.

Nel suo discorso, la premier ha parlato di cooperazione strategica e inclusiva, sviluppo, aiuti per creare possibilità economiche e favorire il “diritto di restare” delle persone oggi costrette a lasciare le proprie terre. Questa prospettiva, così pervasiva nei discorsi istituzionali a livello globale e apparentemente così condivisibile, si basa in realtà sul presupposto per cui l’immobilità dovrebbe essere la norma: il movimento di persone – soprattutto non ricche – è una condizione temporanea che va limitata e controllata.

In più, non va dimenticato che da decenni, sotto la retorica degli aiuti, della cooperazione e dello sviluppo si celano rapporti asimmetrici tra paesi, accordi tra élite economiche e politiche, interessi di multinazionali potenti e spesso predatorie, e non da ultimo una spirale di dipendenza che ha portato all’esplosione della crisi del debito in Africa. Non basta enunciare, come fa Meloni, le buone intenzioni di una politica “alla pari” e non paternalista: i bisogni e i diritti delle persone sono sempre rimasti in secondo piano, nell’illusione che una crescita economica dei guadagni di pochi possa avere effetti benefici anche sulle masse. La realtà è che, seguendo questa concezione di sviluppo, le disuguaglianze hanno continuato a crescere: una realtà che chi dichiara di voler guardare alle cause delle migrazioni non può ignorare.

L’immigrazione illegale e le reti di trafficanti

La conferenza ha insistito molto sul contrasto all’immigrazione illegale, identificata principalmente con l’esistenza di reti di trafficanti. Questo approccio non è soltanto proprio di questa destra al governo – che pure ne ha fatto una bandiera, con le pompose dichiarazioni di Meloni sulla ricerca degli scafisti “lungo tutto il globo terracqueo”, all’indomani della strage di Cutro. È un punto su cui si è soffermata molto anche Von der Leyen, presidente della Commissione europea, e vari capi di stato e di governo intervenuti al vertice.

Anche in questo caso, quale governo non si dichiarerebbe d’accordo con l’impegno a fermare i trafficanti? Ma ancora una volta, si punta al dito e non alla luna. I trafficanti lucrano proprio perché le leggi europee, e in misura crescente anche quelle dei paesi africani, precludono la possibilità di spostarsi legalmente alla maggioranza delle persone.

È proprio la chiusura che crea percorsi pericolosi, illegali, che alimentano forme di criminalità e traffico organizzato.

Fino ad arrivare all’immagine capovolta delle nazioni come “vittime del fenomeno migratorio, se non viene gestito, e particolarmente delle reti di trafficanti”. Come hanno mostrato alcune inchieste giornalistiche, l’insistenza sui trafficanti spesso cela la volontà di trovare un capro espiatorio ad ogni costo, anche arrivando a incriminare persone che si sono ritrovate per caso a condurre le imbarcazioni alla deriva al momento della traversata.

Vale la pena ricordare che, con chi davvero lucra sugli esseri umani, i nostri governi hanno firmato degli accordi: è emblematico il caso delle forze libiche, che collaborano attivamente con i trafficanti 2 e gestiscono in un sistema per niente trasparente numerosi campi di internamento per gli stranieri. L’Italia e l’Europa finanziano il potenziamento di questo sistema, chiudendo gli occhi di fronte alle evidenze di violazioni dei diritti umani e sfruttamento delle persone recluse.

La promozione di “percorsi sicuri e legali”: ma il modello proposto non funziona

Meloni ha poi parlato vagamente di promuovere percorsi sicuri e legali, proponendo l’approccio del decreto flussi come modello da espandere in Europa. In realtà, diverse voci avevano già sottolineato i limiti di questo presunto modello: eccezionalità della pratica, quote ampiamente insufficienti a coprire il fabbisogno espresso dai datori di lavoro, mancanza di riflessione sulle tutele per i lavoratori stranieri e sulla regolarizzazione di chi è già presente sul territorio. Senza contare le implicazioni che un modello basato sull’utilità e su una permanenza limitata a periodi ristretti – ti faccio entrare finché mi servi – ha non solo sul piano simbolico, ma delle relazioni concrete tra persone. Resta il potere asimmetrico tra chi può spostarsi virtualmente ovunque e chi no, si continua a dare spazio a forme di irregolarità vecchie e nuove che generano gerarchie e sfruttamento.

Abbiamo bisogno di poter ripensare gli approcci ai movimenti di persone radicalmente, non di toppe che non cambiano la struttura di un sistema in cui i confini continueranno a essere, per la stragrande maggioranza delle persone, chiusi.

E per farlo, occorrono sicuramente nuovi linguaggi basati sulla capacità di immaginare relazioni diverse. Non solo tra gli Stati, come presagito dal “percorso” che il governo Meloni dichiara di voler instaurare. Sappiamo infatti che sono gli Stati stessi a stipulare accordi per respingere le persone, a gerarchizzare e selezionare il movimento.

Serve invece un cambiamento di prospettiva nei rapporti tra le persone, in grado di mettere al centro la libertà di movimento, la garanzia di uguali diritti, il valore della vita umana prima che degli interessi economici. Non possiamo aspettarci risposte illuminate da un sistema che non funziona: occorre ripensare, ascoltare chi vive gli effetti delle politiche migratorie, fare rete per proporre linguaggi e pratiche nuove.

Il controvertice della società civile

Proprio in opposizione all’autoreferenzialità dei vertici governativi, Mediterranea Saving Humans e Refugees in Libya hanno promosso l’Africa Counter Summit, che si è svolto a Roma proprio in concomitanza con la conferenza promossa dal governo italiano. L’obiettivo dell’iniziativa era proprio quello di proporre un’analisi critica dei vari accordi tra Europa e paesi africani e degli effetti che questi hanno sui diritti delle persone che vivono e transitano in quei territori.

Al controvertice sono intervenuti attivisti provenienti da diversi paesi africani: Sudan (Kalid Abaker, Lam Magok), Egitto (Noureldein Khalil, Ahmed Arafa), Tunisia (Majdi Karbai), Gambia (Sullay Jallow), Sud Sudan (David Yambio), Benin (Koffi Michel Fadonougbo), Burkina Faso (Abu Traore), Senegal (Ibrahima Lo), Marocco (Hassane Ammari), Niger (Moctar Dan Yayé), Eritrea (Desemble).

L’assemblea, registrata, è accessibile sul canale Youtube di Mediterranea.

I partecipanti hanno portato il punto di vista della realtà di provenienza e della propria esperienza migratoria, ma anche del lavoro di movimenti e associazioni che resistono alle politiche istituzionali e supportano le persone in movimento. Un tema centrale alla discussione è stata la denuncia delle pratiche repressive messe in atto dai governi che sono visti come partner strategici dall’Europa. Oltre a colpire direttamente rifugiatə e migranti, questo ha effetti sull’attività di chi esprime dissenso nei confronti di queste politiche. Le voci critiche finiscono quindi per essere spesso isolate, se non silenziate: per questo iniziative di incontro e confronto di queste realtà come è stato l’Africa Counter Summit vanno promosse, sostenute e amplificate.

  1. François-Bernard Huyghe, La Langue de coton (Robert Laffont, 1991).
  2. Esperti Onu: «Provata la complicità delle autorità nel traffico di persone» – Avvenire.it

Laura Morreale

Sono laureata in Mediazione linguistica e culturale all'Università per Stranieri di Siena e in Scienze delle lingue, storia e culture del Mediterraneo e dei Paesi Islamici presso l’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”.
Mi interessa di mondo arabo-musulmano, migrazioni e contesti multiculturali.