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PH: Arroi Baraket (Manifestazione a Tunisi, 14.07.23)

Tunisia: “caccia al nero”, deportazioni nel deserto, escalation di violenze contro i sub-sahariani

Con la firma del Memorandum Meloni-UE-Saied il peggio deve ancora venire

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Tunisia, 17 luglio 2023

I giochi sono fatti: dopo mesi di repressione, gli eventi recenti sono esplosi in violenze a stampo razzista contro le persone nere e deportazioni di massa nel deserto al confine libico-tunisino e con l’Algeria. La firma, il 16 luglio, dell’ennesimo Memorandum d’intesa tra Europa e Tunisia per il “contrasto dell’immigrazione irregolare”, purtroppo significa che il peggio deve ancora venire.

Le ultime settimane sono state attraversate da una recrudescenza della violenza razziale ormai da mesi dilagante nel paese. La città di Sfax, epicentro di questi avvenimenti, è diventata in poche ore un campo di battaglia. Una battaglia combattuta ad armi impari, nella quale le persone nere sono state il bersaglio di attacchi e violenze inaudite. Ricostruire la cronologia della degenerazione di questi eventi non è semplice, data la diffusione di fake news, alla grande difficoltà di accesso all’informazione e alla rapidità con cui la situazione sociale è deteriorata.

L’evento scatenante di queste violenze pare essere stata una lite tra dei sub-sahariani e dei tunisini lunedì 3 luglio 2023, lite che è sfociata nella morte di Nizar Amri, cittadino tunisino. Settimane prima, nella notte tra il 22 e il 23 maggio 2023 un evento analogo si era prodotto sempre nella città di Sfax, ma questa volta ad aver perso la vita era stato un cittadino del Benin, aggredito da un gruppo di tunisini nella sua abitazione. Accanto alla sua morte, altre 5 persone erano state ferite, ma nessuno scandalo né informazione era uscita a tal proposito. In effetti situazione di violenze di questo tipo, indirizzate verso la comunità nera, si producono nella quasi totale indifferenza da mesi. Come riportato da Le Monde, secondo “Afrique Intelligence” dal discorso del presidente del 21 febbraio scorso sarebbero almeno 268 le aggressioni documentate contro i migranti sub-sahariani.

Davanti alla morte del cittadino tunisino, le autorità locali e le diverse pagine Facebook e Twitter hanno spinto i cittadini alla vendetta, aizzando masse incontrollate di giovani uomini tunisini alla “giustizia fai da te”. In effetti la notizia della sua morte è stata rapidamente diffusa tramite un video sui diversi canali social da un deputato di Sfax, Tarek Mahdi, che ha commentato gli eventi e chiamato le autorità ad agire. Il video ha chiaramente suscitato un’ondata di reazioni da parte del “grande pubblico”, velocemente degenerando in un sentimento di odio verso le persone nere e una volontà ormai costante di espellere queste persone dal paese. La situazione è diventata in poche ore incontrollabile. Ondate di tunisini si sono riversati per le strade della città di Sfax, compiendo atti violenti e aggressioni nei confronti delle tante persone dalla pelle nera che vi abitano.

Un barchino sulla spiaggia di Sfax

Questi eventi di violenza a più livelli sono il frutto di mesi di discorsi pubblici, politici e mediatici legati a una forte stigmatizzazione delle persone nere presenti in Tunisia e dagli effetti nefasti delle politiche europee di controllo della migrazione irregolare. La città di Sfax, seconda città per grandezza nel territorio tunisino, capitale economica del paese, è diventata in questo 2023 punto di partenza privilegiata delle diverse comunità sub-sahariane aventi l’intenzione di raggiungere l’Europa. L’aumento dei controlli di polizia in mare, voluti e negoziati dal governo Meloni e dall’UE nel suo insieme, hanno di fatto impedito ogni possibilità di partenza per queste persone, riportate in territorio tunisino dalla Garde Nationale. Il deficit di accoglienza per migranti, la situazione economica tunisina vicina alla bancarotta ha fortemente toccato i più vulnerabili sul territorio: i tunisini dei quartieri più sfavoriti e i migranti neri irregolari sul territorio.

Tutto ciò accompagnato da una narrativa populista, razzista e xenofoba dei poteri politici, del capo di stato Saied e dei sempre maggiori movimenti e partiti nazionalisti tunisini, uniti nel trovare nelle persone irregolari dalla pelle nere le cause più profonde di una crisi economica, politica e sociale lancinante. Le persone migranti, già esposte a violenze e soprusi da mesi, vedendosi licenziati o sfrattati da datori di lavoro e proprietari di casa, si sono in molti casi riversati per le strade delle maggiori città tunisine senza un lavoro e una casa, in condizioni precarie e disumane. Le difficile condizioni di vita, che toccano ampie fasce della popolazione tunisina e straniera, accompagnate dal sentimento razzista e complottista, hanno di fatto creato un contesto di forte tensione e frammentarietà, spingendo una parte della popolazione tunisina all’odio verso queste persone.

E’ del 25 giugno la manifestazione cittadina, tenutasi davanti alla municipalità di Sfax, in cui migliaia di residenti chiedevano l’allontanamento delle persone irregolari dalla città, considerando la loro presenza sul territorio come minaccia alla sicurezza cittadina.

La violenza e la deportazione al confine Libico e Algerino

A seguito dell’omicidio e delle varie campagne sui social media che hanno rapidamente diffuso indignazione e rabbia verso quanto accaduto, il 4 luglio 2023 una notte di terrore e violenza ha scosso la città. Non solo, un video è stato pubblicato dal collettivo Sayeb el Trottoir, notoriamente un gruppo anti migranti, in cui si richiamava alla vendetta del fratello ucciso. Nefasto il ruolo giocato dai social network nella degenerazione di questa violenza. Da un lato l’appello a vendetta lanciato su molte pagine Facebook ha infiammato e legittimato la violenza anti-nero, dall’altra il silenzio istituzionale e politico davanti a quanto accaduto non è stato in grado di sedare questa ondata di violenza vendicativa.

Sono molteplici le chiamate ricevute da amici sub-sahariani che ci contattano da Sfax, cercando soccorso e aiuto di fronte all’esplosione di questa violenza. Inizialmente arrivano chiamate da rue de Gremda, dove un gruppo di famiglie (donne e bambini) chiuse dentro casa stava per essere aggredito. Sotto all’abitazione ci dicono esserci 100/150 persone armate di coltelli e maceti, durante la chiamata sentiamo le urla strazianti delle tante persone chiuse in quella casa. Chiedono aiuto, le autorità locali non rispondono, temono per la loro vita.

Pochi minuti dopo Denver, questa volta dal quartiere Hamid di Sfax, ci chiede assistenza. La situazione è analoga. Un gruppo di duecento persone si trova sotto casa sua, nelle vie del suo quartiere. Provano a sfondare le porte, a incendiare le macchine e qualsiasi persona dalla pelle nera si trovi sfortunatamente per strada vede la sua vita a rischio. Sono una trentina in un’unica abitazione. Il nostro amico è lì con moglie e figli, ci chiama impaurito. Sono chiusi in casa, la luce spenta per non attirare gli aggressori all’interno. Ci mostra le immagine dalle fessure della finestra. Proviamo a contattare i vari dipartimenti locali della polizia e della guardia nazionale.

La risposta è sempre la stessa: “Sono tunisini o africani?”. Davanti a molteplici segnalazioni di violenze e aggressioni alle autorità competenti da parte delle persone direttamente interessate e dei vari attivisti e membri di organizzazioni e associazioni, la risposta delle autorità rivela non solo la loro inattività di fronte a segnalazioni di violenza contro le persone nere, ma anche gli effetti di questo razzismo istituzionalizzato e legittimato. Le persone nere non sanno a chi rivolgersi. I cittadini tunisini gli attaccano indistintamente da ogni lato, le autorità non agiscono per cercare di calmare la situazione e mettere al sicuro le persone esposte a violenza. Rimaniamo molte ore al telefono con le varie persone che ci chiamano dai diversi quartieri della città. Gli attacchi non sembrano fermarsi. Le autorità reagiscono dopo ore dalle prime segnalazioni. Intervengono, sembra difficile placare una situazione ormai fuori controllo.

Diversi gruppi di persone nere vengono portate nei vari commissariati della città. Alcuni di loro vengono rilasciati, molti altri stanno per subire l’ennesima violenza e questa volta non inflitta da comuni cittadini ma dalle stesse autorità. Nabil ci aveva segnalato il pericolo davanti a cui si trovava insieme alla famiglia. Giunte sul posto le autorità lo hanno portato in commissariato insieme a un altro gruppo di persone. Cerchiamo di mantenere il contatto costante con lui, per assicurarci della sua sicurezza. Dopo qualche ora passata in commissariato ci dice: “Ci stanno mettendo su degli autobus, non sappiamo dove ci portano”. Poco dopo perdiamo i contatti con lui. Ci scrive ore dopo, ci manda la posizione, si trovano in prossimità del confine con la Libia nella città di Res Jedir, zona militare, difficilmente raggiungibile dai singoli e dalle organizzazioni presenti sul territorio.

A seguito di questa segnalazioni, nuove testimonianze a cascata arrivano confermando questa pratica illegale e disumana di deportazione ai confini con gli altri paesi Nord Africani. Prima con la Libia, poi l’Algeria. Sono varie le realtà locali, le ONG e gli attivisti e le attiviste che cominciano a ricevere questo tipo di segnalazioni. In poche ore tra le 500 e le 700 persone, tra cui rifugiati e richiedenti asilo, sono state arbitrariamente condotte alla frontiera libica, in una zona desertica completamente militarizzata. Li sono state tenute alla mercé delle forze militari e di polizia per circa 10 giorni, completamente sprovviste di ogni forma di assistenza. Tra loro bambini, minori, donne incinta. Una di loro sembra aver perso la vita a causa delle condizioni di fatica e di denutrizione imposte dalla zona di frontiera in mezzo al deserto 1.

Atti di violenza si sono susseguiti in queste giornate al confine libico, inflitti dalle autorità tunisine e dalla controparte libica. Molte donne raccontano di essere state vittime di violenza sessuali, alcuni uomini di diversa nazionalità sono stati picchiati dalle forze dell’ordine presenti sul posto. A questo si aggiunge il caldo, la mancanza di acqua e cibo che hanno aggravato una condizione già allo stremo. E’ di estrema difficoltà capire con certezza quante persone siano state deportate alla frontiera a causa dell’inaccessibilità di queste zone.

In queste lunghe e caldissime giornate, mantenere i contatti con le persone condotte al confine è stato molto difficile. Molti telefoni sono stati intenzionalmente requisiti e rotti dalle autorità, la mancanza di accesso a elettricità ha reso impossibile la comunicazione con l’esterno, isolando queste persone non solo nello spazio ma anche nel tempo.

Solo dopo qualche giorno la Mezza luna rossa è stata autorizzata dal ministero dell’Interno, all’accesso alla zona militarizzata, acconsentendo affinché potesse dare una risposta “umanitaria” portando beni di prima necessità. Ma accesso a questa zona rimane sempre fragile: bloccati sulla linea di confine, tra la guardia nazionale tunisina e la polizia libica, queste persone rimangono estremamente vulnerabili.

Meno notizie si hanno dal confine con l’Algeria, dove però la presenza di sezioni locali del Forum Tunisino per i Diritti Economici e Sociali ha permesso di portare un minimo di assistenza alle persone bloccate al confine.

Un graffito con scritto “Te ne sei mangiati di poveretti, o mare!”

Intrappolati nella violenza di Sfax

Le violenze hanno spinto un gran numero di persone nere, terrorizzate da quanto stava accadendo, alla fuga dalla città. Coloro i quali sono riusciti a sfuggire ai raid delle autorità che su bus stavano rastrellando la città, caricando persone nere (indistintamente dal loro status e dalla regolarità/irregolarità sul territorio) sui veicoli conducendoli arbitrariamente nelle zone di frontiera tunisino-libica e algerino-libica, hanno tentato di lasciare Sfax per trovare un luogo più sicuro altrove. Questo spostamento si è rivelato per la maggior parte dei casi di estrema difficoltà. Gli spostamenti con i louage 2, già antecedentemente di difficile accesso per le persone nere, sono diventati irraggiungibili. Addirittura i taxi cittadini si sono rifiutati di far salire a bordo persone nere nei giorni successivi al 4 luglio, impedendo lo spostamento “sicuro” da un luogo all’altro della città. Rappresentando, per le persone nere, un pericolo il solo fatto di camminare per le strade della città, l’inaccessibilità dei mezzi per gli spostamenti hanno ulteriormente aggravato la situazione di uomini, donne e bambini.

Credit: Refugees in Tunisia (Sfax: non hanno nessun posto dove nascondersi dal sole cocente, se non gli alberi dopo che la maggior parte di loro è stata espulsa dalle proprie case)

Kamel è stato costretto, insieme alla moglie e ai due figli piccoli, a lasciare la sua casa presa d’assedio la notte del 4 luglio, cercando il giorno successivo di lasciare Sfax per dirigersi verso la capitale. Nonostante vari tentativi di prendere un taxi per raggiungere la stazione del treno, nessun veicolo ha acconsentito a prenderlo ed accompagnarlo. Insieme alla famiglia hanno dormito per più notti di fila, nascosti in un cespuglio, in una strada appartata della città. Nei giorni seguenti la stazione dei treni di Sfax è stata presa d’assalto. Un elevato numero di persone non aveva altra scelta che la fuga e, a causa del diniego di ogni altra forma di spostamento possibile, una calca si è dispiegata all’interno della stazione. Molte persone non sono riuscite a partire e per questo costrette a cercare rifugio.

Alla stazione di Sfax in attesa di prendere il treno (sono poi stati deportati tutti nel deserto)

Un’assistenza umanitaria carente

Il discorso di Saied alla prima ministra e al direttore della croce rossa manifestano un’ipocrisia beffarda. Dopo aver trascinato a forza queste persone nel deserto, il presidente afferma non solo che la polizia e la guardia nazionale hanno protetto i subsahariani residenti nel paese, ma anche che il governo si sta sforzando di apportare un aiuto umanitario alle persone “bloccate” alla frontiera. Come se queste persone non fossero state portate lì proprio dalla stessa guardia nazionale.

Il discorso umanitario di Saied ci riporta a pensare che l’utilizzo di una retorica di assistenza può essere usata, in ogni modo e da chiunque, per giustificare o coprire le malefatte. Di più: a quanto pare, la Tunisia dà lezioni di umanità agli altri stati! Non solo il danno, ma anche la beffa. E per finire in bellezza, il presidente ha riportato anche un discorso complottista, dicendo che i tentativi di far saltare la nazione tunisina sono stati sventati. Saied porta avanti il suo discorso ad ogni occasione, anche nel mezzo di una crisi terribile, in cui delle persone stanno morendo di sete nel deserto.

Ma anche nei fatti, la risposta umanitaria non è stata eccellente. La croce rossa è arrivata in ritardo, dopo che alcune persone erano già morte. Ha curato alcuni feriti, ma ne ha lasciati altri lì. Sommariamente, senza un piano: perché evidentemente non c’è. Queste persone sono ancora al confine, strette tra la guardia nazionale tunisina e quella libica o algerina. Non possono muoversi. La croce rossa ha persino rifiutato di aiutare alcuni che si trovavano in una no-go zone all’interno del confine.

Il dieci aprile, alcune persone sono state trasportate lontano dalla frontiera. Portate a Ben Guardane, a Medenine, a Tataouine, sono state ospitate dentro alcuni licei chiusi per le vacanze estive. Anche lì, l’assistenza è stata carente, e se non ci fossero stati gli aiuti della società civile locale, queste persone sarebbero morte di sete, nel mezzo di una città.

La risposta di solidarietà

Le case saccheggiate o incendiate, lo sfratto da parte dei proprietari hanno privato un gran numero di persone vulnerabili dell’unico spazio “sicuro” costringendole alla strada e alla fuga. Molte di queste famiglie, di questi uomini e donne, si sono ritrovate nel centro città, in prossimità del mercato centrale, accampati per strada vicino alla grande rotonda. Parallelamente all’escalation della violenza cittadina, una risposta solidale verso queste persone ha preso forma all’interno della città.

E’ importante dirlo: sono in tanti che non sono totalmente o parzialmente d’accordo con quello che sta succedendo, forse sono la maggioranza. Gruppi auto-organizzati di cittadini tunisini, attiviste e attiviste tunisine e straniere hanno cercato in un contesto ostile di offrire una prima assistenza alle persone senza dimora, nel terrore di una città che li segrega, li marginalizza e li violenta. Volontari e cittadini, ha cominciato a fornire beni di prima necessità in quartieri caldi della città.

Le varie ONG locali, in un comunicato firmato di più di 50 associazioni e organizzazioni della società civile, hanno pubblicamente denunciato 3 queste espulsioni collettive 4 chiedendone immediatamente la cessazione al governo tunisino. Hanno anche cercato con i mezzi disponibili di denunciare le violenze inflitte ai migranti sub-sahariani, che ormai da anni si susseguono in territorio tunisino.

Una marcia davanti all’Unione dei giornalisti di Tunisi è stata fatta il 14 luglio 2023, in sostegno alle persone migranti di origine sub-sahariana e più in generale a tutte le persone nere razializzate. Hanno partecipato circa un centinaio di persone, tra cui attivisti tunisini di rilievo, e attivisti e attiviste internazionali residenti a Tunisi. Questa settimana, giovedì 20 e venerdì 21 luglio si incontreranno a Tunisi attivisti dal Maghreb, dall’Africa sahariana a sub-sahariana e dall’Europa.

PH: Arroi Baraket (Manifestazione a Tunisi, 14.07.23)

I giochi sono fatti

Ma i poteri forti hanno firmato, e forse è troppo tardi. Ieri, domenica 16 luglio 2023, si sono incontrati a Tunisi ospitati dal presidente Kais Saied, la prima ministra italiana Meloni, il presidente olandese Rutte, la presidente della commissione europea Von der Leyen. Un accordo è stato firmato per supportare la Tunisia economicamente, verso “una crescita egalitaria e sostenibile”. Un modo per aiutare la Tunisia a uscire dalla crisi senza aspettare il credito dell’FMI. Ma altrettanti soldi, circa 100 milioni, sono stati dati per la seconda parte dell’accordo, che è in fin dei conti la sua causa scatenante: il contrasto dell’immigrazione irregolare. Il contenuto è il solito: finanziamenti alla guardia costiera, accordi di riammissione di cittadini tunisini irregolari, sostegno per il rinvio dei subsahariani residenti in Tunisia nei loro paesi di origine.

Dopo mesi di contrattazioni, dichiarazioni, e gioco di potere, Saied ce l’ha fatta: sulla pelle di migliaia di persone nere innocenti, riceverà i tanto voluti soldi europei. Chissà che uso se ne farà?

Credit: Refugees In Libya
  1. Tunisia: Crisis as Black Africans Expelled to Libya Border, HRW (6 giugno 2023)
  2. Principali mezzi di trasporto in Tunisia, furgoncini a otto posto che ti permettono di raggiungere la maggior parte delle città tunisine
  3. Tunisia: Anatomia di una deportazione forzata in Libia
  4. Mass expulsions and mistreatment of migrants reported in Tunisia as tensions spike in port city, AP (6 luglio 2023)

Mem.Med

Mem.Med - Memoria Mediterranea si occupa di ricerca e identificazione delle persone disperse nel Mar Mediterraneo, fornendo supporto legale e psico-sociale alle famiglie che cercano verità e giustizia. Mem.Med si occupa di monitorare e denunciare le violenze della frontiera e di costruire una memoria collettiva su quanto accade alle due sponde del Mediterraneo.

Ludovica Gualandi

Ricercatrice e attivista per i diritti umani e la libertà di movimento, studio la mobilità umana nell'area mediterranea, specializzata della frontiera italo-tunisina. Sono molto interessata alle questioni di genere, alla ricerca militante e ai movimenti sociali in Italia e Tunisia. Sono laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e sto frequentando il master in Mediazione Inter-Mediterranea delle Università Ca' Foscari e Paul Valéry di Montpellier. Faccio parte dell'associazione Mem.med: memoria mediterranea.