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PH: Mem.Med

Razzismo “democratico” e frontiere morali

Come viene legittimata la violenza razzista?

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di Daniel Buraschi 1 e María José Aguilar Idáñez 2

PH: Antonio Sempere (Manifestazione a Melilla della Carovana Abriendo Fronteras, 24 giugno 2023)

Di fronte alle migliaia di vittime mortali nelle rotte verso Europa, numerosi mezzi di comunicazione rappresentano questi naufragi come un esempio di fallimento della politica migratoria e del diritto d’asilo dell’Unione Europea. Tuttavia, queste morti non sono espressione di un fallimento ma del successo della necropolitica europea. La sistematica violazione dei diritti umani è stata l’asse centrale della gestione delle migrazioni in Europa.

Tutta questa quotidiana e persistente violenza istituzionale contro le persone migranti non sarebbe possibile senza la complicità o, quanto meno, l’apatia e l’indifferenza di gran parte della società civile. Richiede che gran parte della società la giustifichi e la consideri moralmente accettabile, nonostante viva in uno stato liberal-democratico.

Il recente arrivo di rifugiati dall’Ucraina ha anche dimostrato che, pur rivendicando l’universalità dei diritti umani, la maggioranza dell’opinione pubblica sembra avere una “empatia selettiva”: solidale con la popolazione ucraina, ma disposta a respingere persone di altre origini, specialmente se si tratta di persone africane. Questa empatia selettiva è legittimata dalla politica migratoria europea di esternalizzazione dei confini e contenimento dei flussi a tutti i confini, tranne nel caso ucraino.

Per comprendere questo paradosso morale è utile ricorrere al concetto di esclusione morale, proposta negli anni Novanta dalla psicologa sociale Susan Opotow 3: le norme, le regole morali e le preoccupazioni sui diritti e l’equità che governano la nostra condotta non si applicano universalmente, ma solo a coloro che consideriamo parte della nostra comunità morale. Le persone che collochiamo al di fuori di questi confini sono “sacrificabili”, indegne della nostra preoccupazione, della nostra empatia e non sono titolari di diritti. I confini della comunità morale sono vere e proprie frontiere morali, cioè “linee simboliche di separazione che collocano alcuni gruppi al di fuori dei margini in cui ci sentiamo obbligati ad applicare norme morali e di giustizia4. Proviamo empatia, siamo disposti a mostrare solidarietà solo con le persone che sono all’interno delle nostre frontiere morali, mentre la violazione dei diritti di coloro che poniamo al di fuori del nostro spazio morale non genera indignazione. Questi confini ci consentono di accettare e acconsentire ad atti che sarebbero inconcepibili all’interno della nostra comunità morale.

Le scienze sociali si sono occupate per decenni di studiare come le persone giustificano moralmente atti che vanno contro i propri valori etici. Tra le proposte più proficue ci sono le teoria della neutralizzazione morale di GreshamSykes e David Matzae 5 o i meccanismi disimpegno morale identificati da Albert Bandura 6.

Numerosi studi recenti 7 hanno mostrato come le frontiere morali vengano costruite attraverso i discorsi sociali: nei discorsi politici, nei media, nei social network o nelle interazioni quotidiane. Questi discorsi sono forme d’interazione sociale che spesso hanno la funzione principale di dare significato ai fenomeni, costruendo versioni coerenti come giustificazioni. Le frontiere morali sono legittimate attraverso discorsi, conversazioni e interazioni sociali in cui le persone discutono e giustificano la violenza. In questa prospettiva, i pregiudizi nei confronti della popolazione migrante non sono una semplice espressione di atteggiamenti individuali, ma sono argomenti pubblici, il risultato di un processo sociale di costruzione e definizione della situazione.

Tutte le dinamiche razziste sono sempre accompagnate da processi discorsivi di giustificazione, normalizzazione e legittimazione dell’esclusione, cioè da processi di costruzione di frontiere morali. Tuttavia le frontiere morali non si costruiscono solamente nel discorso dell’estrema destra, ma anche tra persone che si definiscono come progressiste, tolleranti. Questa nuova “retorica” dell’esclusione e del razzismo è ciò che viene denominato razzismo “democratico”: “La pratica dell’esclusione, della criminalizzazione, della violenza, dell’espulsione, della segregazione e dello sfruttamento giustificata utilizzando un quadro di riferimento che appella a valori democratici come la libertà e l’uguaglianza8. La moralizzazione del rifiuto basata sul buon senso 9 è evidente nei discorsi dei politici che cercano di prendere le distanze dal razzismo, che negano che il loro discorso sia xenofobo, perché per loro la violazione dei diritti dei migranti è una questione di buon senso, ragionevole, giustificata in un quadro democratico.

PH: Antonio Sempere (Manifestazione a Melilla della Carovana Abriendo Fronteras, 24 giugno 2023)

In uno studio recentemente pubblicato 10 abbiamo analizzato le strategie discorsive di esclusione morale e i repertori interpretativi utilizzati dai partecipanti alle manifestazioni anti-immigrazione tenutesi alle Isole Canarie alla fine del 2020 e all’inizio del 2021. Alcune di queste manifestazioni non erano organizzate da partiti di estrema destra e non contavano con una partecipazione significativa di attivisti o simpatizzanti di questi partiti, il profilo di persone partecipanti era molto eterogeneo, con una amplia presenza di associazioni locali e famiglie. I manifestanti hanno moralizzato il rifiuto e giustificato la violazione dei diritti delle persone migranti (compresa la morte in mare) facendo appello al buon senso e a valori come l’uguaglianza e la sicurezza. Per esempio, un aspetto centrale delle strategie discorsive utilizzate per giustificare l’esclusione delle persone migranti è che il governo non rispettava il principio di uguaglianza e trattava queste persone meglio della popolazione canaria. I manifestanti avevano una percezione generale di aver subito un’ingiustizia, di essere cittadini di seconda categoria, di essere “stranieri nella propria terra”, di non avere ciò che meritavano. 

È importante notare che quando le persone dovevano giustificare azioni immorali come le deportazioni, costruivano le frontiere morali integrando tre argomenti: la descrizione di un problema che stavano soffrendo (mancanza di aiuti economici per gli effetti della pandemia, difficoltà di accesso a servizi fondamentali, difficoltà economiche); l’ingiustizia che rappresenta il fatto che, diversamente da loro, le persone migranti, ricevono molti aiuti; la giustificazione di misure estreme (per esempio, non soccorrere un’imbarcazione che sta naufragando) appellandosi a valori morali “democratici”. 

Queste strategie di costruzione delle frontiere morali sono molto più efficaci dei discorsi esplicitamente razzisti o delle narrazioni stereotipate dell’estrema destra. La loro efficacia dipende dal fatto che il loro punto di partenza sono difficoltà reali della popolazione, situazioni per le quali è legittimo indignarsi e con le quali è facile sentire empatia e l’argomento finale, la giustificazione “morale” dell’esclusione, si ancora al “buon senso” e richiama valori e principi democratici. 

L’aspetto chiave del razzismo “democratico” è che risignifica questi valori democratici. Tolleranza, pari opportunità, libertà di espressione hanno un significato che viene distorto per giustificare la violazione dei diritti umani. In questo senso, le strategie discorsive individuate nella nostra ricerca e l’evocazione del senso comune come repertorio interpretativo consentono azioni moralizzanti che sarebbero inaccettabili in un altro contesto. È interessante notare come certi settori dell’estrema destra hanno compreso l’efficacia di queste strategie discorsive e stanno integrandole nel loro repertorio discorsivo.

La costruzione di frontiere morali è fondamentale per comprendere come il razzismo sia legittimato in un quadro liberal-democratico, giustificando la violenza appellandosi a valori considerati “democratici”. I risultati delle ricerche che stiamo sviluppando negli ultimi anni contribuiscono ad approfondire la conoscenza e la comprensione dei processi psicosociali attraverso i quali si costruiscono le frontiere morali e si articola il discorso di rifiuto nei confronti dei migranti. Questi studi evidenziano che il discorso dell’esclusione non proviene solo dall’estrema destra, ma anche da settori liberali o progressisti. L’identificazione di strategie discorsive e di repertori interpretativi è fondamentale per progettare efficaci strategie di intervento sociale e politico, perché la solita strategia di controargomentazione 11, basata sul (falso) presupposto che i dati oggettivi sono sufficienti per combattere i discorsi razzisti, non è sufficiente.

PH: Antonio Sempere (Manifestazione a Melilla della Carovana Abriendo Fronteras, 24 giugno 2023)
  1. PhD in Psicologia Sociale presso l’UNED e PhD in Diritto presso l’Università di Castilla La Mancha. Laurea in Scienze dell’Educazione (Università di Padova), Laurea Magistrale in Ricerca in Psicologia (UNED). Professore del Master in Migrazioni e Interculturalità presso l’Università di Castilla-La Mancha e professore tutore di Pedagogia Sociale presso l’UNED de La Laguna. È coordinatore dell’area ricerca e progettazione partecipata della R.A.I.S. (Red de Acción e Investigación Social) e membro di Mosaico Acción Social, dove svolge diversi progetti di consulenza, ricerca, facilitazione e formazione in educazione interculturale e processi comunitari
  2. Universidad de Castilla-La Mancha
  3. Moral Exclusion and Injustice: An Introduction – Susan Opotow
  4. Fronteras morales: la construcción psicosocial de la indiferencia frente al racismo di Daniel Buraschi e María José Aguilar Idáñez (maggio 2022)
  5. Techniques of Neutralization: A Theory of Delinquency di Gresham M. Sykes and David Matza
  6. Moral Disengagement in the Perpetration of Inhumanities di Albert Bandura
  7. Dinámicas racistas y prácticas discriminatorias. La realidad en España, Francia, Italia, Dinamarca y Finlandia, un volume di Angeles Solanes Corella
  8. Racismo “democrático” y fronteras morales: ¿cómo construir una ciudadanía insurgente? di Daniel Buraschi e María José Aguilar Idáñez
  9. ‘It’s not racist. It’s common sense’. A critical analysis of political discourse around asylum and immigration in the UK di Rose Capdevila, Jane E. M. Callaghan
  10. Construcción discursiva de fronteras morales en manifestaciones anti-inmigración di Daniel Buraschi e María-José Aguilar-Idáñez
  11. Racismo y Antirracismo. Comprender para transformar