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Uno sguardo sul Sudan: speranza, rivoluzioni e sacrifici nella lotta del popolo

Un'intervista di LiberaLaParola Padova a tre studenti sudanesi

Photo from Wikimedia Commons

Dal 15 aprile di quest’anno, in Sudan è in atto una guerra di potere che sembra lontana e quindi trascurabile. Si parla di migliaia di morti solo tra i civili, di bombardamenti e di fuochi anti-aerei nel cuore delle città, di quasi 3 milioni di sfollati tra cui 1 milione di persone fuggite nei Paesi confinanti.

Per capire cosa sta succedendo in Sudan con una prospettiva decoloniale, proponiamo alcuni stralci dalla lunga intervista della puntata del podcast di Radio Sherwood “Words from the World” dello scorso 15 maggio, rilasciata da Majid, Amro e Yazeed, ragazzi sudanesi che frequentano LiberaLaParola Padova, scuola di italiano libera e gratuita.

Nell’intervista, ripresa da Globalproject.info, si parla di controllo e di schieramenti, di risorse in mano ai soliti pochi, di immigrazione e di esternalizzazione delle frontiere tra biopotere e necropolitiche. Inoltre, di intrecci e interessi internazionali, di rivoluzione e di criteri rivoluzionari di riorganizzazione del potere dal basso.


«Il 15 aprile, è iniziato un conflitto tra le Forze di Supporto Rapido (RSF) e l’Esercito Sudanese (SAF). In realtà è una battaglia tra i rispettivi generali, Hemedti e Burhan – che sono i leader del Consiglio Sovrano di transizione – e si tratta di un puro scontro per il potere, per il controllo delle enormi risorse del paese. Sui media si dice che non c’è niente di chiaro, come se le due parti sostenessero cose diverse. Per esempio, il generale Burhan ha detto che Hemedti sta cercando di assumere il comando non pensando ad alcuna democrazia, ma solo per il potere, mentre il generale Hemedti dice lo stesso di Burhan. Non c’è niente di vero, ma il fatto è che ora i civili sono sotto pressione perché i due eserciti stanno combattendo a Khartoum e Al-Ubayyid, le due città principali del Sudan, e Merowe. Soprattutto il centro di Khartoum, adesso, è come una città fantasma, letteralmente, non c’è connessione internet, non c’è elettricità e non c’è acqua. Le nostre famiglie a Khartoum stanno subendo questa situazione da circa cinque giorni. Non abbiamo potuto parlare con le nostre famiglie ed è così solo perché due uomini, due uomini diversi bramano lo stesso potere.

La nostra generazione ha vissuto troppe cose: guerre civili, rivolte, conflitti e colpi di stato militari. Un’intera generazione ne ha sofferto e ora vorremmo solo avere stabilità nel nostro paese, solo un semplice periodo di stabilità», spiegano Majid, Amro e Yazeed.

Prima di entrare nei dettagli di ciò che sta avvenendo ora, riteniamo sarebbe utile fornire una breve introduzione alla storia e agli eventi recenti che sono accaduti in Sudan.

Il Sudan è un paese ricco di storia antica, a partire dal Regno di Kush, uno dei regni più potenti dell’area intorno all’800 a.C. e ciò che testimonia l’enorme potere di quel periodo sono più di 200 piramidi, costruite sul territorio dove prima c’era il Regno. Tuttavia, se parliamo della storia contemporanea del Sudan, dopo l’indipendenza dal Regno Britannico del 1956, vedremo solo conflittualità e guerre civili. Sì, conflitti, guerre civili e situazioni instabili fino all’azione più significativa, la rivolta del 2018. Per capire di più i due lati del conflitto, dobbiamo dare uno sguardo agli accordi e agli incarichi definiti durante il periodo rivoluzionario.

Nel 2019, quando i movimenti rivoluzionari pacifici sono riusciti a rovesciare il regime e a rimuovere il capo del sistema dittatoriale che abbiamo avuto per più di 30 anni (il generale Omar al-Bashir), è stato stipulato un accordo tra il settore militare (che è una sorta di avanzo del regime precedente e che contiene anche il gruppo RSF) e i rappresentanti di una parte del movimento rivoluzionario che in quel momento stava guidando la protesta nelle strade, che comprendeva anche la maggior parte dei partiti politici, delle associazioni dei lavoratori, dei Comitati di Resistenza e dei gruppi giovanili. Quest’accordo portò a un nuovo governo, con un Primo Ministro civile, che ha assunto il controllo per un periodo di transizione previsto di 2-3 anni (fino al raggiungimento di un’elezione), mentre il controllo effettivo del potere è stato affidato a un Consiglio Sovrano composto dai leader delle SAF e delle RSF, e anche da parti della comunità civile.

Nell’ottobre 2021, anche questo periodo di transizione è stato interrotto con un colpo di stato militare dallo stesso personale militare al potere. Hanno arrestato il Primo Ministro civile e il suo gabinetto, gli altri membri civili del Consiglio Sovrano e molti attivisti e politici. Le proteste di massa organizzate in tutto il Paese sin dal primo giorno del golpe, hanno spinto il personale militare ad accettare un accordo con i partiti politici che in qualche modo rappresentavano la voce dei cittadini e il trattato si sarebbe dovuto firmare proprio lo scorso aprile, ma pochi giorni prima della firma la guerra, o il conflitto, è ricominciata. 

Uno dei dettagli principali di quel patto prevedeva la fusione dei diversi gruppi armati in Sudan, compresi le RSF e i ribelli del Darfur, esclusi due gruppi che non vi avevano aderito, ma avevano accettato di interrompere qualsiasi attività di combattimento già dalla rivoluzione del 2019. Le due parti, quella civile e quella militare, non si sono accordate su alcuni dettagli riguardanti la fusione delle milizie e della RSF in un unico esercito, ed entrambe le parti sono sostenute da gruppi e Paesi esterni, come lo sono anche le RSF e le Forze Armate Sudanesi.

Sembra che i militari non fossero seriamente intenzionati a passare il potere e stessero manipolando i civili. Hanno acconsentito a firmare l’accordo, ma era ovvio che non volessero davvero firmarlo, ecco il perché dell’inizio della guerra.

Qual è il motivo per cui le Forze di supporto rapido (RSF) non fanno formalmente parte dell’esercito sudanese e cosa c’è dietro l’attuale conflitto che le coinvolge?

Le RSF, le Forze di Supporto Rapido, sono una delle realtà più complesse in Sudan ora, perché non si tratta solo di qualcosa di interno, ma sono coinvolti anche molti altri attori e comunità internazionali. Sono state regolarizzate durante il conflitto in Darfur 1, per sostenere il governo o, diciamo, l’esercito nazionale, per combattere i ribelli lì, ma purtroppo provengono da tribù specifiche e avevano iniziato chiamandosi con il nome “Janjaweed“, che può essere tradotto con “un diavolo che sta sopra a un cavallo” perché usavano i cavalli per i loro trasporti e per attaccare e derubare le persone nei villaggi del Darfur. In realtà non solo rubavano, ma uccidevano, quindi avevano già pistole e altre armi. Quell’area era fuori dal controllo del governo a causa dei conflitti con i ribelli, quindi approfittavano della situazione per derubare e uccidere i civili in Darfur senza alcuna pietà, semplicemente uccidevano e razziavano, anche se la gente del posto è molto povera, ma diciamo che arrivavano a uccidere per 1 dollaro o meno, un asino, una mucca o qualunque cosa tu possedessi e non uccidevano solo te, ma tutta la famiglia e bruciavano il villaggio per questo. Dobbiamo dire che le persone in Darfur, come in molti altri territori del Sudan, usano capanne come alloggio, che sono fatte di bastoncini di legno secchi, quindi è molto facile bruciarle e se una capanna o una piccola parte del villaggio viene bruciata, può portare all’incendio di tutto il villaggio e a loro non importava delle persone o altro. In ogni caso hanno compiuto un vero e grande genocidio in Darfur.

Dopo un po’ di tempo, il precedente regime li ha inseriti ufficialmente nella costituzione e ha dato loro un ruolo ufficiale in Sudan, per coprire il genocidio e le atrocità che hanno compiuto.

Il regime ha cercato di convincere la comunità internazionale giocando la carta degli immigrati e questo è un argomento molto interessante per le persone che non sono del Sudan. Per rispondere alle indagini e alle preoccupazioni della comunità internazionale su RSF, il governo ha affermato che quelle forze ci stavano aiutando a impedire ai migranti di andare in Europa, in particolare quelli provenienti dal Corno d’Africa, come Eritrea, Etiopia, Kenya, Somalia e Sud Sudan, perché il Sudan è di dimensioni molto grandi, con confini molto lunghi ed estese aree aperte disabitate e tutti questi migranti passano quindi attraverso il Sudan.

Per capire questo argomento, c’è un tema molto interessante chiamato “Processo di Khartoum”2. Si tratta di un accordo firmato tra l’ex governo dittatoriale sudanese e altri governi africani da una parte e l’Unione Europea dall’altra, e Khartoum è il nome della capitale del Sudan. Questo accordo è stato stipulato per fermare i movimenti migratori, formalmente doveva servire a migliorare la vita dei migranti nei loro Paesi, per fermarli, per non farli andare in Europa, ma in realtà il governo usa questa milizia per bloccarli senza curarsi delle conseguenze, anche se questo porta a ucciderli lungo il percorso, che è per lo più desertico. Questo è il punto, c’è un termine per questa cosa che è NIMBY, not in my backyard, non nel mio cortile. Quindi NIMBY è un’espressione usata per descrivere le azioni che la gente vuole, ma che non compie in prima persona: invece di fare le cose brutte vicino a te, le fai fare lontano da te.

E poiché tutti i media si concentrano su Italia, Spagna e Germania, che sono i paesi in cui i migranti cercano di entrare, se succedesse qualcosa in quei luoghi, i media ne parlerebbero subito dopo, ma se ciò accade in un posto molto lontano come il Sudan, dove i fatti rimangono più nascosti, nessuno se ne occuperà o ne parlerà. Quindi sì, sulla carta gli europei hanno pagato circa 150 milioni di euro a queste Forze o al governo in nome del miglioramento della vita dei migranti e della realizzazione di alcuni progetti nei loro Paesi, ma ci sono molti rapporti che dicono che questo denaro viene utilizzato per armare le RSF di più e per addestrarle di più, per fermare i migranti nel deserto del Sahara in ogni modo possibile. Tenendo conto che queste Forze stanno già uccidendo la loro stessa gente in Sudan, potete immaginare cosa possano fare agli stranieri sotto la copertura del governo e della comunità internazionale.

Infine, tenendo conto che ora siamo in Italia, voglio ricordare che in una delle ultime interviste di Hemedti alla BBC – prima della recente guerra – gli è stato chiesto se avesse qualche sostegno o coordinamento con l’Unione Europea nella loro lotta contro l’immigrazione clandestina e lui all’inizio ha risposto con “non c’è alcun tipo di sostegno da nessun parte” poi ha riconosciuto e ha aggiunto “tranne che dagli italiani che ci sostengono tecnicamente e con l’addestramento” e questa intervista risale esattamente a 8 mesi fa.

Quindi sì, le Forze Rapide RSF hanno molte cose da dire e su cui cercare, ma in generale è per tutto questo che ora sono grandi e potenti come l’esercito nazionale in Sudan.

Inoltre, le Rapid Support Forces (RSF) sono direttamente collegate al conflitto in Medio Oriente tra l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti e altri da una parte e Yemen e Iran dall’altra. L’Arabia Saudita e soprattutto gli Emirati pagano le RSF per combattere per loro conto in Yemen. Anche negli anni precedenti le RSF si sono unite alla lotta in Libia con il generale Haftar, anch’egli sostenuto dagli Emirati.

Le Rapid Support Forces sono una specie di circolo vizioso senza fine.

Non meno importante, sono anche legati alla guerra che si sta svolgendo ora in Ucraina tra Ucraina e Russia, e soprattutto ai gruppi Wagner che le ha addestrate negli anni precedenti. Ora c’è un rapporto che afferma che i combattenti dei gruppi Wagner sono in Sudan per dare supporto alle RSF nella guerra.

Un aspetto essenziale che dovremmo analizzare è da dove traggono i fondi che le rendono così grandi e potenti, persino più potenti dell’esercito sudanese in alcune aree, tranne per il fatto che l’esercito sudanese dispone di forze aeree. La fonte principale è l’oro del Sudan, controllano quasi tutto il commercio dell’oro in Sudan. E come ho detto, hanno ricevuto fondi dall’Unione Europea nell’ambito del Processo di Khartoum, anche gli Emirati li pagano per la loro guerra in Yemen e in Libia e per i loro altri interessi nell’area.

Dalla Russia, in realtà, non ricevono direttamente, ma al contrario. Dopo l’inizio della guerra in Ucraina, l’anno scorso, e quando quasi tutto il mondo ha smesso in qualche modo di connettersi con la Russia, Hemedti – il leader delle RSF- è stato uno tra le prime alte figure ufficiali non solo dell’Africa, ma anche a livello internazionale, a visitare la Russia. Il Telegraph ha riferito che le tonnellate di oro sudanese consegnato alla Russia attraverso le RSF sono state il motivo per cui la Russia ha potuto affrontare le sanzioni occidentali con effetti minimi sulla sua economia. In cambio, la milizia ha ricevuto addestramento e sostegno.

Bisogna inoltre ricordare che i due gruppi che si stanno combattendo ora sono l’Esercito Nazionale sudanese e le Forze di Supporto Rapido, che sono stati la migliore accoppiata in assoluto negli ultimi 15 anni, da quando sono state create le Forze Rapide. Perché in realtà le RSF sono state create dallo stesso esercito sudanese e Burhan, che ora è il capo dell’esercito sudanese, era il supervisore nella fase di creazione di questa milizia durante il conflitto in Darfur, e nell’ottobre 2021 hanno fatto insieme il colpo di stato militare contro la parte civile del governo.

Erano in luna di miele per tutto questo tempo e cosa è successo poi? Sai, quando hai molti nemici, farai delle alleanze contro di loro per sbarazzartene, ma quando si resta gli unici due in campo, inizierai a pensare di controllare tutto da solo, perché entrambi hanno il loro interesse a governare il Sudan. Hanno cacciato tutti gli altri e ovviamente nessun paese può essere governato da due dittatori diversi nello stesso momento. Quindi molte persone ritenevano che questa guerra, prima o poi, sarebbe scoppiata. Era solo una questione di tempo. 

Fino a questo momento abbiamo parlato di eserciti, gruppi paramilitari e dittatori, ma pensiamo sia essenziale considerare anche le opinioni e le richieste del popolo sudanese. Quando si parla dei conflitti in corso nel paese, cosa ne pensano?

Quando parliamo del popolo sudanese, possiamo dire che la maggior parte delle persone che hanno partecipato alla rivoluzione nel 2018 e nel 2019 hanno rivendicazioni chiare, che sono state rappresentate nelle strade e durante le manifestazioni con slogan e scritte sui muri. Lo slogan principale era “Libertà, pace, giustizia, rivoluzione è la scelta del popolo“. E anche che l’esercito, tutti i gruppi armati e le milizie devono essere esclusi dal controllo politico ed economico del Paese, come diceva un altro slogan “Il potere è per il popolo e le risorse sono per il popolo“.

Inoltre, possiamo dire che il periodo della rivoluzione ha portato ad accrescere la consapevolezza, nei dibattiti politici, di dover spostare l’attenzione dal controllo del sistema esistente alla possibilità di poter cambiare l’intero sistema, non solo le singole persone che assumono il potere, perché i leader amano soprattutto rappresentare una minoranza e possiamo dire una classe alta, con i loro privilegi storici, come i privilegi sociali, religiosi, militari e possiamo dire anche privilegi economici, a volte ottenendo il sostegno, come abbiamo detto, da paesi esterni. 

Personalmente, ritengo che questa sia una delle ragioni principali per cui le persone al potere hanno iniziato questa guerra assurda: poter fermare la diffusione della consapevolezza e la circolazione di persone che pensano al “perché” tutta la storia del Sudan è controllata dagli stessi gruppi e dagli stessi sistemi che usano le armi e fanno di tutto per avere il controllo. Sono solo dittatori, che vogliono fermare anche una parte importante dei Comitati di Resistenza in Sudan. Non abbiamo parlato dei Comitati di Resistenza finora, ma all’inizio si trattava principalmente di piccoli gruppi di persone che uscivano insieme per protestare contro l’ultimo regime, prima che la dittatura di Al-Bashir cadesse, e iniziarono a creare le loro piccole reti all’interno dei loro quartieri, dei loro paesi e delle loro città. Così, la maggior parte di questi Comitati di Resistenza diffusi nel Sudan, ha iniziato a discutere su cosa poter fare per rompere questo percorso, di come il Sudan sia controllato sempre dagli stessi gruppi di minoranza di livello superiore che stanno solo perseguendo i loro profitti. 

Per costruire una linea comune su come uscire da tutti questi problemi, cioè il controllo del potere da parte di una minoranza, i Comitati di Resistenza in tutto il Sudan hanno raggiunto un punto di sintesi e hanno iniziato la Carta Rivoluzionaria per l’Istituzione del Potere Popolare, che secondo me è un modo diverso di gestire il potere, di assumere il potere e darlo al popolo. Questa Carta Rivoluzionaria parla di come possiamo prendere il controllo del potere e del Paese, del Governo, delle risorse e delle istituzioni creando piccoli Parlamenti o Consigli locali eletti in due modi e in due luoghi, sia nei luoghi di residenza che in quelli di lavoro, rappresentando così i lavoratori e la società civile in ogni comunità, paese, città e località per poi salire di livello in livello per raggiungere quello statale.

E poi eleggere un Parlamento o un Consiglio Nazionale che assuma il controllo di tutto il governo e di tutte le istituzioni e questo sarebbe effettivamente sostenuto dalla maggioranza stessa, perché proveniente dallo strato più basso del sistema, o diciamo dal sistema gerarchico che funziona, per raggiungere il vertice. Non come il modo opposto, cioè assumere il potere dall’alto verso il basso, che è stato applicato in tutta la storia del Sudan, in tutti i diversi sistemi che si sono succeduti in Sudan e credo anche in tutta la storia dei Paesi che hanno sofferto e soffrono tuttora a causa della dittatura. Per me questa rappresenta la principale differenza tra la vera democrazia e la falsa democrazia. 

Voglio aggiungere qualcosa perché, come ho accennato all’inizio, siamo di fronte a questo fenomeno che chiamiamo “il ciclo del diavolo“. Democrazia dei civili, colpo di stato militare, rivoluzione contro i militari, poi governo civile e così via. Diciamo che siamo arrivati al punto in cui abbiamo imparato la lezione che in tutta la storia precedente, dopo la rivoluzione, ci siamo limitati a cambiare il vertice del governo o il livello superiore del sistema, ma durante le dittature i regimi cercano di mettere il loro personale nelle profondità del sistema quindi, anche se si cambiano i leader, loro continueranno a controllare il Paese, ecco perché avvengono i colpi di stato militari e perché il governo civile non può durare o essere permanente. Nell’ultima rivoluzione, penso che una delle cose migliori create siano i Comitati di Resistenza, che questa volta hanno cercato di risolvere il problema dal basso. Sì, potremmo eliminare il presidente precedente, ma crediamo che questo non rappresenti la fine della rivoluzione, sarebbe come dire “Ok, wow, ci siamo riusciti, festeggiamo“.

Per questo motivo i Comitati di Resistenza hanno organizzato sin dal giorno dopo l’ultima rivoluzione, e anche da prima, a stabilire questo tipo di sistema di cui parlava Amro, per trovare un modo di raggiungere una democrazia stabile permanente, diciamo per la rappresentanza delle persone reali del paese, non solo cambiando il primo strato e dicendo “ok, sì, va bene“. 

In questi quattro anni è stato fatto molto lavoro e devo dire che Amro è stato uno dei membri di questi Comitati di Resistenza, sempre più coinvolto, come molte persone che hanno dato tutto il loro tempo e la loro libertà a questi Comitati di Resistenza e anche molti altri che hanno perso la vita, perché anche durante e dopo la rivoluzione e prima di questa guerra, non si poteva dire che il Sudan fosse stabile.

Più di 200 o 300, non so il numero esatto, ma 200 o 300 persone sono morte durante le proteste, perché dalla rivoluzione in poi le proteste sono andate avanti, perché si sa che quando si ha un qualche beneficio dal regime precedente, anche solo economico o sociale o altro, si cerca di difendere i propri benefici in qualsiasi modo, fino ad arrivare a uccidere le persone, quindi molte persone hanno perso la vita durante queste proteste dei Comitati di Resistenza. Molte persone si sono liberate completamente dai loro impegni, molte persone dall’estero, che possiamo chiamare emigrati sudanesi, sono tornati in Sudan e hanno lasciato i loro lavori e tutte le cose che stavano facendo solo per costruire questo nuovo sistema ed è anche molto importante ribadire che questo potrebbe essere un altro motivo per cui è iniziata questa guerra, perché i Comitati di Resistenza hanno raggiunto un livello molto alto di organizzazione e hanno iniziato anche a fare una specie di bozza di Costituzione che in qualche modo nessuno può rifiutare, perché solo le persone o le minoranze che stanno beneficiando del privilegio del sistema esistente la rifiuterebbe.

Ecco perché pensiamo che questa sia una delle ragioni per cui hanno accelerato la guerra, di certo non è l’unica, ma è importante menzionare che i Comitati di Resistenza sono stati aggiunti molto tardi alle discussioni e alla stesura delle bozze di Costituzione e sì, all’improvviso tutto si è incasinato e la guerra è iniziata. Prima o poi questa guerra finirà, spero che sia presto, ma credo che le persone nei Comitati di Resistenza siano ancora in cammino e ora stanno facendo riunioni e stanno procedendo in parallelo.

Sì, chiedono prima di tutto di fermare la guerra, ma stanno anche lavorando sul loro percorso per completare tutte le bozze della Costituzione e dell’organizzazione del sistema, di come risolvere il problema del Sudan questa volta dalle sue radici, e sappiamo che quando si risolve il problema dalla sua radice sarà più costoso, diciamo, ma siamo stufi di questo tipo di soluzioni temporanee e fasulle, o della democrazia per due o tre o quattro anni e poi del governo militare.

Quindi penso che la maggior parte dei sudanesi coinvolti nelle proteste e nella rivoluzione del 2019 credano che qualsiasi cosa possa essere utile a questo tipo di rivoluzione, anche se ora non è nelle strade ma con il lavoro, la faranno, anche se dovessero dare la vita, e già alcuni di loro o molti di loro hanno già dato la vita per questo.

  1. «Il Darfur si trova nella parte occidentale del Sudan e da quando abbiamo ottenuto la nostra indipendenza, quelle aree sono rimaste emarginate, non hanno un buon sistema sanitario e non ci sono buone infrastrutture. Gli abitanti mai hanno avuto alcun ruolo anche nelle strutture di potere e alcuna voce nel governo, quindi hanno deciso di combattere, combattere contro il governo centrale». Motivazioni simili hanno portato alla secessione del Sud Sudan.
  2. Il Processo di Khartoum è stato avviato nel 2014 dal governo Renzi (con Gentiloni Ministro degli Esteri e Mogherini Alto Rappresentante per gli esteri dell’Unione Europea) nel corso del semestre italiano di Presidenza dell’Unione Europea, dopo la chiusura dell’operazione Mare Nostrum. Proseguito con il governo Gentiloni e con Minniti Ministro dell’Interno, si può considerare l’inizio dello “schema Minniti” per l’esternalizzazione delle frontiere Europee in Africa, tuttora in uso. Per approfondire: I fondi europei per il Sudan potrebbero peggiorare il destino dei rifugiati