Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
Lampedusa, Molo Favaloro (25 agosto 2023)
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Fermata Lampedusa

Monitoraggio delle acque e pratiche di lotta. Un dialogo con Maldusa

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Il progetto Maldusa, attraverso il monitoraggio del funzionamento reale del sistema Hotspot a Lampedusa, ha cominciato a denunciare il fallimento di questo sistema ben prima della scorsa estate.

Se questo dispositivo è stato istituito con il preciso obiettivo di far fronte a situazioni emergenziali, nei fatti la logica dell’eccezionalità legittima una violazione sistematica dei diritti fondamentali, con il trattenimento forzato delle persone all’interno di spazi chiusi e presidiati dalle forze dell’ordine, un’assistenza medico-sanitaria insufficiente per far fronte a tutte le esigenze, un’informativa legale inadeguata.
Tra il molo e l’hotspot, le persone sbarcate attendono per ore o giorni senza una spiegazione di cosa si stia aspettando, senza possibilità di uscire, sotto il sole cocente dell’estate siciliana.

Il 25 e 26 luglio scorsi a Lampedusa sono stati registrati rispettivamente 65 e 53 sbarchi; a fine luglio l’hotspot dell’isola, della capienza teorica di 500 persone, ne ospitava circa 4500. Per alleggerire la situazione a Lampedusa, la Prefettura di Agrigento ha predisposto l’avvio del cantiere per un “hotspot di riserva”, da realizzare in fretta e furia nell’area portuale di Porto Empedocle, sulla costa meridionale della Sicilia. Il prefabbricato di Porto Empedocle, della capienza di circa mille persone, costituito da due tendoni, bagni chimici e docce esterne, riproduce le stesse procedure di pre-identificazione e smistamento che Lampedusa non ha abbastanza spazio e risorse per effettuare da sola. 

Felice, coordinatore nella stazione di Lampedusa, ci ha raccontato alcune pratiche di Maldusa sull’isola durante la scorsa estate.

PH: Maldusa
In che modo Maldusa opera e ha operato a Lampedusa in questi mesi particolarmente intensi per gli sbarchi sull’isola?

Il monitoraggio è una delle attività principali di Maldusa a Lampedusa; tenere gli occhi aperti sul reale funzionamento delle istituzioni legali al funzionamento dell’Hotspot. Sulla base delle osservazioni sul territorio, pubblichiamo regolarmente articoli e report sul nostro sito con l’obiettivo di informare, condividere e soprattutto rovesciare le retoriche e le narrazioni dominanti.

In tal senso l’hotline, il numero di telefono con cui Maldusa tiene un contatto con le persone appena arrivate, è di fondamentale importanza, ci permette di avere il punto di vista di chi arriva su come vanno realmente le cose, ma soprattutto di condividere informazioni utili a chi viaggia: le informazioni legate a domande d’asilo e protezione internazionale o alla procedura Dublino, o i contatti di associazioni e collettivi solidali con le persone in movimento.

Naturalmente oltre a fare un monitoraggio ci proponiamo di rappresentare un punto di riferimento su un luogo di frontiera come Lampedusa anche per associazioni e famiglie che vivono in Tunisia e con le quali abbiamo un contatto regolare. Infine, l’altra pratica sviluppata da Maldusa negli ultimi mesi è quella anticarceraria: molte forme di criminalizzazione iniziano proprio dalle prassi di alcuni uffici nell’Hotspot di Lampedusa; monitorare queste prassi e dedicare attenzione ed energie a queste dinamiche è fondamentale.

Puoi spiegarci meglio?

Ad esempio, ci siamo trovatə molto vicinə a pratiche di criminalizzazione di pescherecci e di scafismo [ne abbiamo parlato approfonditamente con Deanna Dadusc qui, ndr]. Di fronte a queste pratiche, cerchiamo di dare sostegno giuridico alle persone criminalizzate “rompendo le mura della prigione” per comunicare con le persone recluse e per facilitare la comunicazione delle persone recluse con familiari che vivono dall’altra parte del mare. Ecco, stare in mezzo a dinamiche complesse significa questo, e Maldusa ha intercettato questa complessità già prima dello scorso 12 settembre. La situazione è divenuta ingestibile a metà settembre, ma non è stata una crisi o un’emergenza puntuale; le fratture responsabili di quello che è accaduto a settembre erano già in atto nei mesi precedenti. 

In cosa vi siete impegnatə negli ultimi mesi a Lampedusa?

Ad agosto abbiamo fatto un monitoraggio all’hotspot di Porto Empedocle. In quel periodo, questa grande tendata – un prefabbricato in cui le persone stazionano in attesa del trasferimento verso centri di prima accoglienza e di identificazione – era sovraffollata e contava all’incirca 1.000 persone, di fatto detenute in uno spazio chiuso e senza riparo da sole e precipitazioni; questo ha generato degli episodi di violenza: alcune delle persone in attesa in questa tensostruttura sono state picchiate dalla polizia, che tentava di contenerle con metodi violenti.

Le stesse cose sono successe il 12 settembre a Lampedusa, al molo Favaloro, giorno in cui il molo era pieno di gente appena arrivata da una traversata del Mediterraneo in barchini in ferro! Nonostante la quantità di persone, i problemi logistici e l’afa di quelle giornate, la soluzione delle autorità è stata costringere le persone nel molo Favaloro, uno spazio del tutto insufficiente a contenerle. C’è in tutto questo una dimensione costrittiva che riflette il razzismo strutturale del sistema Hotspot.

Ci hai parlato di assistenza legale. L’hotspot è uno spazio in cui le persone che ne hanno l’intenzione possono fare richiesta di asilo? Voi avete un ruolo in questa fase?

Noi come Maldusa non possiamo svolgere un ruolo di mediazione in questa fase, dal momento che non abbiamo accesso ai luoghi preposti per la richiesta d’asilo. In ogni caso, di fatto l’hotspot è soltanto un luogo di passaggio, un luogo di filtro in cui succede di tutto: c’è chi viene arrestato, chi passa senza destare particolari attenzioni, chi viene categorizzato come più o meno vulnerabile, rispetto a parametri che diventano sempre più dettagliati e restrittivi, e con cui ci si illude di prendere in carico le persone in un’ottica di cura. E poi l’hotspot non è il luogo adatto per gestire le richieste di asilo, a maggior ragione in periodi come questo, in cui gli sbarchi sono molto frequenti. Di fatto l’Ufficio immigrazione all’interno dell’Hotspot ha un ampio margine di discrezionalità e pochi contrappesi, come potrebbero essere le forme di monitoraggio da parte di associazioni indipendenti. 

Luglio 2023. Trasferimenti da Lampedusa con la nave militare Cassiopea. I trasferimenti sono iniziati alle 12 e la nave è partita alle 16. Le persone sono state esposte al sole con le sole coperte termiche come protezione. Durante l’operazione diversi sono stati i casi di malore/svenimento.
Cosa ha colpito di più voi che eravate sull’isola questa estate nella gestione degli sbarchi?

Nel mese di giugno, con l’intensificarsi degli arrivi, il discorso politico si è focalizzato sull’efficienza dei dispositivi di filtraggio e di trasferimento delle persone appena sbarcate; ad esempio, si è continuato a elogiare la Croce Rossa [ente gestore dell’hotspot a partire da maggio 2023, ndr] per il suo impegno nel trasferire le persone nella maniera più rapida possibile nel resto d’Italia, verso altri hotspot, centri per minori, luoghi adibiti a persone con determinate vulnerabilità tramite i voli della IOM… secondo me c’è stata una lettura sbagliata rispetto a quello che stava succedendo nei luoghi di origine delle persone migranti.

Ridurre tutta la questione a logiche di efficienza dei dispositivi di frontiera nel garantire il ricambio nell’hotspot non fa che assecondare le dinamiche violente presenti nel Mediterraneo centrale, è un modo per non mettere in discussione il ruolo della frontiera come filtro e come barriera. Significa rispondere a un fenomeno, non alle ragioni di questo fenomeno.

Quanto accade nel 2023 è invece generato da un insieme di cause, dalla crisi economica in Tunisia ai rapporti neocoloniali tra paesi occidentali e paesi di migrazione, agli squilibri di potere perpetrati tra sponde opposte del Mediterraneo. Ma non si tratta soltanto di questo. A contribuire alla partenza delle persone c’è anche il desiderio di spingersi al di là del mare: l’elemento della volontà non è di secondaria importanza. Anche distinguere tra migranti “economici” e “non economici” in base alle ragioni della loro partenza è una sovrascrittura tutta occidentale della realtà, non fa che alimentare al suo interno delle divisioni profonde tra chi avrebbe il diritto alla regolarità e chi no.

Quando siamo stati a Palermo, nella sede di Maldusa c’erano più senegambiani [i compagni del collettivo BayeFall] che italiani. Questa grande orizzontalità mi ha colpito. La discussione e l’attuazione delle pratiche di lotta mette insieme tuttə, coinvolgendo anche chi le frontiere ha dovuto attraversarle e subirle personalmente. In che modo la militanza al fianco di queste persone può arricchire la vostra resistenza?

Se non ci fosse stata questa impostazione, probabilmente non ci sarebbe stata neanche Maldusa: partiamo dal presupposto che la lotta e l’attivismo si costruiscono insieme, e mettiamo al centro del discorso le priorità di chi subisce quotidianamente sulla propria persona gli effetti delle frontiere e dei razzismi.

I soggetti politici protagonisti di questa lotta non siamo noi (bianchi attivisti contro le frontiere), ma chi tra noi ha vissuto e vive la frontiera, e le pratiche più interessanti su cui formulare qualsiasi tipo di sostegno non sono quelle che noi occidentali pensiamo siano quelle giuste.

Agire, discutere, negoziare i significati delle esperienze ponendoci a difesa e non in alleanza delle persone in movimento non fa altro che rafforzare il razzismo strutturale in cui viviamo e aumenta lo squilibrio dei rapporti di potere che intercorre tra bianchi e non-bianchi, rendendoci protagonisti di una storia in cui non siamo noi l* protagonist*.

La loro prospettiva è fondamentale, ad esempio, se vogliamo valutare in maniera davvero critica la questione del cosiddetto scafismo. Molte persone vicine a Maldusa sono arrivate in Sicilia alla guida di imbarcazioni e sono state accusate ingiustamente di scafismo, scontando anni di detenzione per questo.

È attraverso le loro esperienze che la “parte bianca” di Maldusa riesce a maturare consapevolezza su quanto succede davvero in mare e dalla parte opposta delle nostre coste e a organizzare una lotta di senso contro le narrazioni politiche prevalenti e contro le dinamiche oppressive nei confronti delle persone in movimento.

Rossella Marvulli

Ho conseguito un master in comunicazione della scienza. Sono stata a lungo attivista e operatrice nelle realtà migratorie triestine. Su Melting Pot scrivo soprattutto di tecnologie biometriche di controllo delle migrazioni sui confini europei.