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Il campo visto da fuori
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Il campo di Nea Kavala nel nord della Grecia

Dove «le persone non hanno spazio per esistere»

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Il Nord della Grecia è spesso dimenticato ma, non meno delle isole, è un luogo in cui si consuma l’ipocrisia europea dei campi come strumento di gestione del fenomeno migratorio. Un esempio è ciò che accade nel campo di Nea Kavala, vicino a Polykastro, a nord di Salonicco, nonostante la situazione sia critica ovunque.

Durante l’estate 2023, come in altri stati europei, gli arrivi di persone in movimento si sono moltiplicati. Ad ora, secondo l’UNHCR 1, la popolazione migrante ufficialmente in ingresso in Grecia è stata di 42.343 persone, quando l’anno scorso gli arrivi ufficiali registrati sono stati di poco meno di 20.000 in tutto l’anno. Inoltre la Grecia, sotto pressione per le alluvioni avvenute a inizio Settembre, ha dovuto svuotare campi inizialmente pensati per richiedenti asilo per poter far stare la popolazione greca senza più un’abitazione, come ad esempio è avvenuto nel campo di Klidi Sintiki.

Di conseguenza, da inizio Luglio 2023 la popolazione del campo di Nea Kavala 2 è aumenta drasticamente, raggiungendo quasi la massima capacità di più di 1.500 persone distribuite in 280 container. Nonostante il governo greco stia affrontando il fenomeno migratorio da diversi anni, viene sempre considerato come un’emergenza e le soluzioni governative adottate sono precarie e non rispettose dei diritti umani. Non solo vengono messi fino a otto persone, incuranti delle nazionalità, negli stessi container di 24 mq pensati per massimo 6 persone, ma vengono anche mischiate persone sane con malate, famiglie con uomini singoli… ovviamente alimentando tensioni che si potrebbero evitare. 

I cancelli del campo di Nea Kavala

A., coordinatrice dell’ONG Drop in the ocean, mi descriveva la situazione di attuale sovraffollamento con queste parole “Le persone non hanno spazio per esistere”. 

Vivere in un campo in Grecia non è una questione temporanea di qualche giorno, ma possono volerci mesi e anni in base a quante decisioni negative si ricevono, e in base alla propria nazionalità e un po’ a fortuna, dato che la modalità di esaminare le richieste di asilo in Grecia presenta molte carenze e incongruenze. Le persone vedono la Grecia come passaggio, il loro obiettivo finale non è quello di rimanere, ma di ottenere i documenti di viaggio per poter chiedere asilo in un altro paese europeo, evitando così di percorrere la rotta balcanica. Nonostante gli accordi di Dublino, le persone spesso riescono a essere poi accolte in altri paesi europei in quanto riescono a dimostrare che le condizioni di vita nei campi greci sono inumane e degradanti. 

Per descrivere com’è il campo di Nea Kavala mi risuonano le parole di Shahram Khosravi in Io sono confine:

«E’ il campo stesso a produrre il profugo, o la sua condizione (…) Nessuna delle mie esperienze passate- la fustigazione, il carcere, un anno di vagabondaggi illegali- era riuscita a privarmi della mia dignità. E’ stato il campo a togliermela. Fino ad allora avevo perso uno stato di riferimento con i suoi diritti di cittadinanza, ma non avevo perso la voglia di vivere, la forza di volontà e il coraggio. ll campo mi ha tolto tutto questo».

Tra i vari effetti collaterali del sovraffollamento c’è stato anche il mancato inizio della scuola. Mentre a Settembre i bambini greci hanno iniziato a frequentarla, per chi vive nel campo di Nea Kavala si è dovuto aspettare fino a fine Ottobre. Oltre ad essere una discriminazione, i bambini nel campo non fanno nulla. Le ONG presenti sul territorio cercano di offrire lezioni e spazi gioco, ma non è abbastanza per coprire il bisogno e per poter garantire continuità educativa. 

Il campo è comunque pensato per non essere visto dalla popolazione, per essere lontano. 6 km lo separano dal centro di Polykastro in cui si trovano tutti i servizi (guardia medica, supermercato, fermata del bus, scuole…) e non c’è un servizio di trasporto pubblico disponibile. L’unica possibilità è utilizzare un taxi o una bicicletta, ma nel primo caso è costoso, nel secondo, la domanda è così alta che non ce ne sono abbastanza per tutti, nonostante l’ONG Open Cultural Center offra un servizio di noleggio 3

Il campo è circondato da un muro di cemento alto 3 metri (intervallato da porte di metallo), telecamere e sicurezza che controlla in entrata e in uscita e sembra più simile ad una prigione che ad un rifugio. Ma il problema non è solo questo, è la stessa esistenza e la funzione dei campi.

Da Settembre il governo greco ha iniziato a impedire l’entrata al campo a chi avesse ottenuto i documenti o a chi, dopo 3 decisioni negative, avrebbe dovuto lasciare la Grecia. In Grecia, quando la richiesta di asilo viene accolta in modo positivo, si ottengono documenti che permettono di viaggiare in Europa e si finisce di ricevere alcuni benefici riservati ai richiedenti asilo, come ad esempio il pocket money o il cibo.

I programmi che aiutano l’inclusione sono pochi o inesistenti, quindi le persone si ritrovano spaesate e senza sapere cosa fare. Fino a prima di Settembre, alle persone veniva almeno lasciata la possibilità di rimanere nel campo per qualche settimana in più, in modo da potersi organizzare per muoversi in un altro paese o per cercare un’ altra soluzione abitativa in Grecia. 

Attualmente invece, non solo si nega la possibilità di restare nel campo per qualche tempo, ma l’impossibilità di rientrare nel campo è comunicata senza preavviso, e senza dare l’opportunità di entrare per prendere i propri beni personali. Sono appena tornata da qualche mese lì, e nonostante diverse volte ho assistito a scene di totale disrispetto dei diritti umani fuori dal campo, ne ho una stampata in testa. Perché si tratta di persone. 

Quel pomeriggio avevamo organizzato una caccia al tesoro con i bambini che vengono al centro dell’ONG, era stato molto bello e divertente per tutti. Come ogni giorno, a fine giornata, i bambini risalgono sul pullman che Open Cultural Center mette loro a disposizione per tornare al campo di Nea Kavala. Appena arrivati tutti scendono di corsa, i più grandi si mettono in autonomia in fila per i controlli mentre i più piccoli corrono in braccio ai genitori che li aspettano e si preparano a rientrare insieme. Mi fermo a scambiare due chiacchiere con Said, perchè è il primo giorno che la piccola Nura è venuta al centro, e discutiamo di come sia andata. Lo saluto, lui si gira, fa per rientrare e la security controlla il documento ma dice no, non siete più nella lista, non potete entrare. Ma come, ci deve essere un errore, sono uscito 10 minuti fa per prendere la bambina. No, avete ottenuto i documenti e non avete più diritto a star qui.

In realtà Said e Sana, sua moglie, hanno i documenti, ma non hanno ancora lasciato la Grecia perchè la piccola Roya, appena nata, non li ha. E’ quindi impossibile per loro andarsene. Said cerca di spiegarlo alla security ma niente da fare. Gli viene anche detto che potrebbero lasciarlo entrare, ma ci sono telecamere e se qualcuno dovesse vedere poi l’operatore della security perderebbe il posto di lavoro.

Nel frattempo Nura intuisce qualcosa e inizia a piangere, perché la mamma e la sorella son dentro, ma niente da fare li han lasciati fuori dal campo. Fra l’altro Said è in infradito e maniche corte, nonostante faccia freddo, perchè pensava di essere uscito per soli 5 minuti, non per sempre. In tutto ciò io guardo la scena, cerco di supportare Said ma sono abbastanza scioccata, non ci credo che quello che vedo sta succedendo davvero.

Alla fine Said, impotente, decide di passare la notte in un Hotel a Polykastro, nonostante sia costoso, perchè fa già tanto freddo per dormire all’aperto nei prati vicino al campo, soprattutto con una bambina di 4 anni. Prima di salutarci, lui che per tutto il tempo era stato fermo e deciso e sorridente per non far preoccupare la piccola, inizia a piangere e mi dice, ma lo sai che in Afghanistan facevo il traduttore per l’esercito greco? È per questo che me ne sono dovuto andare quando sono arrivati i Talebani. 

Lascio Said, Sana e Nura quando ormai si è fatto buio. Io, con il mio carico di privilegio bianco ed europeo e il passaporto in tasca, torno a casa, sono disgustata.

Mi chiedo per quanto ancora le politiche EU e i governi continueranno a violare sistematicamente i diritti e la dignità delle persone in movimento. Mi chiedo fino a che punto sapranno spingersi, fino a quando sarà così buio.

  1. Consulta i dati.
  2. Greece: At Nea Kavala camp, ‘a concrete wall blocks the view and cuts out the sound‘, Charlotte Boitiaux – InfoMigrants (ottobre 2021)
  3. Qui il progetto

Chiara Bonfanti

Ho una laurea triennale in filosofia e una magistrale in scienze politiche. Ho scritto la mia tesi su un programma di housing per richiedenti asilo in Grecia. Negli ultimi due anni ho vissuto per alcuni periodi in Grecia e in Serbia, come attivista/tirocinante/volontaria, collaborando con alcuni collettivi/organizzazioni che supportano le persone in movimento.