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Photo credit: Bozen solidale
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A Trieste tra razzismo istituzionale e la solidarietà infaticabile di Piazza del Mondo

Un racconto dal viaggio di Bozen solidale

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Bozen solidale a inizio anno ha organizzato un viaggio solidale nei Balcani. Tra le varie tappe non poteva mancare Trieste dove l’associazione è rimasta per sostenere l’incessante lavoro di Linea D’Ombra: “La nostra presenza in quei luoghi, a partire dal Silos triestino, non rappresenta solo un momento di aiuto fattivo, concreto, militante, è in particolare un periodo in cui intessere relazioni, capire le dinamiche, stare a contatto con chi vive quotidianamente la sofferenza e la difficoltà, scambiare racconti, storie, capire il territorio. E’ una presenza che nel tempo diventerà più costante, la sentiamo oramai una presenza naturale”. Questo il reportage di Matteo De Checchi.

Mentre la vita in città scorre in un via vai a tratti frenetico, costante, quotidiano, centinaia di persone sopravvivono all’interno di una struttura fatiscente che simboleggia da vicino le politiche di marginalizzazione attuate da istituzioni sempre più razziste ed escludenti. Sullo sfondo la cosiddetta Rotta Balcanica e la violenza dei confini.

Andare a Trieste significa incontrare Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir di Linea d’Ombra, una delle pochissime realtà solidali in una città che, negli anni, ha pesantemente virato sempre più a destra; il loro lavoro di cura, all’interno della “Piazza del Mondo”, davanti alla stazione ferroviaria, è un baluardo importante da salvaguardare, una lotta al deserto che avanza; nonostante l’inverno alle porte, sono comunque molte le persone transitanti che scendono dai sentieri carsici verso la città e che trovano un primo approdo proprio in “piazza”. Tutti i giorni, con una perseveranza invidiabile, la rete creata da Lorena e Gian Andrea ha trasformato un luogo spoglio in un rifugio a cielo aperto: le panchine diventano appoggio per il lavoro di cura, grandi tavoli da campeggio fungono da cucina con pentoloni e grandi contenitori per il pane; c’è chi si avvicina, porta legna da ardere, vestiti, scarpe. Un vociare costante racconta la vitalità e la rinascita di una piazza, appunto, del Mondo.

A inizio dicembre, secondo le stime delle associazioni solidali, le persone fuori accoglienza erano più di 400. Molte di loro hanno fatto domanda di asilo, ma i tempi di attesa per accedere ai posti letto è estremamente lungo, arbitrario e varia a seconda delle disposizioni istituzionali. Tutti questi dati sono meticolosamente poi raccolti nei report “Vite abbondonate“. Nel solo 2023 sono arrivati o transitati a Trieste 2.818 minori stranieri non accompagnati.

Il Silos è proprio lì, imponente, decadente, avvolto dal rumore dello sferragliamento dei treni che, a qualche decina di metri, si fermano in una stazione sorvegliata e pattugliata, dove le persone si spostano freneticamente quasi rendendo invisibile quel luogo di dolore che una volta rappresentava la ricchezza e l’opulenza della “grande Trieste”, della città-porto imperiale.

Le persone in attesa di essere accolte vivono lì in pessime condizioni igienico sanitarie, tra cumuli di immondizia, topi, pozzanghere; piccole comunità hanno formato accampamenti informali con al centro un piccolo focolare per scaldarsi e cucinare. Le provenienze, varie, raccontano di viaggi infiniti, di vite strappate: Nepal, Pakistan, Kashmir, Afghanistan. Circa 200 le persone che vi trovano rifugio.

Ghulam, pachistano, 22 anni, ha percorso la Rotta Balcanica subendo respingimenti e torture. «E’ stato un viaggio lunghissimo e una volta arrivato in Bulgaria – racconta – la polizia di frontiera mi ha sequestrato il cellulare e i pochi soldi che mi rimanevano. Sono restato rinchiuso in un carcere bulgaro per tre settimane poi mi hanno lasciato andare; al confine tra Serbia e Bosnia sono stato respinto violentemente per quattro volte. Quando sono riuscito a passare, insieme ad un piccolo gruppo di connazionali, ho dovuto percorrere a piedi la Bosnia, la Croazia e la Slovenia con la paura di essere visto e respinto nuovamente. Arrivato a Trieste ho trovato una comunità che mi ha accolto all’interno del Silos e attivisti e attiviste che si sono presi cura di me. Tra qualche giorno tenterò il viaggio verso la Francia».

Un andirivieni di persone tra il Silos e la piazza del Mondo descrive due luoghi sospesi nell’indifferenza generale della città; indifferenza che si trasforma in criminalizzazione quando l’ennesimo blitz di inizio anno delle forze dell’ordine, al solito in stile militare, scopre “l’acqua calda”: se decine e decine di persone vivono in quelle condizioni è perché le istituzioni accettano quel luogo di invisibilità e non mettono in piedi, di conseguenza, un piano di accoglienza dignitoso. Il sindaco di Trieste ha più volte ripetuto che non è interessato a quello che succede all’interno del Silos, ha altro di cui occuparsi. Consapevole, in realtà, che quel luogo maledetto nasconde per bene il razzismo che sempre più pervade istituzioni e società.

Il nostro lavoro, di supporto, conoscenza, solo in piccola parte di aiuto, è stato una piccola goccia nel mare dell’apatia e del distacco, una piccola testimonianza che riporteremo nei nostri territori, nelle nostre città, per consolidare la rete di supporto e solidarietà e per continuare a ricordare che i confini altro non sono che invenzioni stereotipate e arcaiche.

Matteo De Checchi

Insegnante, attivo nella città di Bolzano con Bozen solidale e lo Spazio Autogestito 77. Autore di reportage sui ghetti del sud Italia.
Membro della redazione di Melting Pot Europa.