Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
PH: Antonio Sempere (Melilla, 2023)

Il Patto UE sulla migrazione e l’asilo: la stretta costante sui diritti

Ancora isolamento, sofferenza e respingimenti al centro della politica migratoria dell'UE

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Il 2023 non ha soltanto registrato il numero di morti nel Mediterraneo più elevato degli ultimi anni 1, ma – dulcis in fundo – ha visto anche l’approvazione della riforma del sistema europeo comune di asilo (CEAS). E mentre la Presidente del Parlamento europeo, Roberta Mestola, ha parlato di un giorno storico, aumentano le preoccupazioni e l’indignazione delle organizzazioni per i diritti umani per quello che potrebbe rivelarsi un patto fatale con conseguenze disastrose per la tutela dei diritti delle persone in cerca di protezione.

La storia del CEAS risale al Trattato di Amsterdam del 1997, che ha stabilito una base giuridica comune per la cooperazione in materia di asilo tra gli Stati membri. Nel corso degli anni, questo sistema è stato ampliato tramite l’adozione di diverse direttive e regolamenti, tra cui il Regolamento di Dublino III, che stabilisce lo Stato responsabile per l’esame delle domande di asilo.

Il 20 dicembre 2023, dopo anni di lavoro e mesi di negoziati, il Consiglio UE e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo sulla proposta della Commissione europea per una riforma del CEAS.

Uno degli elementi fondamentali del nuovo Patto UE sulla migrazione 2, riguarda l’introduzione di procedure di frontiera per l’esame delle domande di asilo.
Queste procedure saranno principalmente applicate alle persone provenienti da Paesi con un tasso di riconoscimento dello status di rifugiato inferiore al 20%, persone che costituiscono un pericolo per la sicurezza pubblica e persone prive di documenti di identità o che si suppone abbiano intenzionalmente distrutto i propri documenti e si rifiutino di cooperare con le autorità.

L’allontanamento dell’UE dai diritti stabiliti dalla Convenzione di Ginevra sul rifugiato, che sancisce il  diritto della persona a vedere esaminata la propria domanda di asilo su base individuale, rappresenta un significativo passo indietro per il diritto di asilo.

Sottoporre le persone a una procedura di frontiera unicamente sulla base della provenienza da Paesi  con un basso tasso di riconoscimento, senza tenere conto degli aspetti e dei motivi individuali, è infatti in netta contraddizione con quanto stabilito dalla Convenzione e viola la libertà e i diritti fondamentali della persona.

Le persone sottoposte a una procedura di frontiera saranno detenute in appositi centri per un periodo  massimo di sei mesi.

Ciò può accadere se, a seguito dell’esame con esito negativo della domanda di asilo, viene avviata la procedura di rimpatrio. Durante l’esame della domanda di asilo (12 settimane), le persone saranno ufficialmente considerate non entrate nel Paese europeo di destinazione e quindi costrette a vivere in uno stato giuridico incerto, nella maggior parte dei casi senza un adeguato sostegno legale, psicologico e sanitario, come già  condannato più volte dalla Corte  europea dei diritti dell’uomo. 

Il patto esclude dalla procedura soltanto i minori non accompagnati (a patto che non rappresentino una minaccia per la sicurezza nazionale), mentre famiglie con figli a carico, anche se minorenni, potranno essere sottoposte a tale prassi.

Altro punto saliente del Patto riguarda il cosiddetto meccanismo di solidarietà che dovrebbe garantire un’adeguata ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri.

I confini di questa clausola e soprattutto il modo in cui gli Stati possono decidere di contribuire sono tuttavia molto labili e variabili. Chi infatti non vorrà accogliere le persone migranti potrà contribuire  versando un contributo in denaro oppure finanziando progetti di contenimento dei flussi migratori negli Stati terzi.

Non è ancora chiaro quale forma prenderanno concretamente tali progetti, ciò che è certo è che muri, recinzioni e militarizzazione dei confini potranno diventare ordinaria realtà, normalizzando e intensificando l’esternalizzazione dei confini e la sistematica violazione dei diritti umani già in corso da decenni.

Dunque, diversamente da quanto sostenuto dalla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, questo accordo di solidarietà ne ha davvero ben poca. Soprattutto perché il principio del primo Stato di arrivo responsabile per la domanda di asilo del Regolamento di Dublino non è stato modificato: gli Stati di primo arrivo come Spagna, Italia e Grecia, continueranno a essere i principali responsabili per l’attuazione delle procedure di frontiera.

Il nuovo Patto prevede inoltre un ordinamento speciale che scatta in caso di situazioni di emergenza, come ad esempio “strumentalizzazione dei migranti da parte di Paesi terzi“. In tali situazioni verrebbero  meno le regole stabilite dal Patto stesso, permettendo agli Stati di adottare misure eccezionali che potrebbero sfociare nella detenzione dei richiedenti asilo, indipendentemente dal Paese di origine o dei motivi di fuga. Ciò comporterebbe concretamente una grave limitazione del diritto di asilo e il rischio di respingimenti collettivi per interi gruppi di persone.

Altro punto preoccupante della riforma riguarda il concetto di Paesi terzi sicuri. Il Patto rende ancora più semplice e svincolata la definizione di Paese terzo sicuro con il rischio che sempre più richiedenti asilo, indipendentemente dai motivi che li hanno spinti alla fuga, potrebbero essere respinti in Paesi in cui non sono rispettati i diritti fondamentali.

Più che un patto di solidarietà, il nuovo accordo sembra piuttosto l’emblema perfetto della politica di esternalizzazione europea. Il coronamento del sogno della fortezza Europa, non certo di quella Europa che sostiene di fondarsi sui valori di libertà e dignità umana.

La messa in discussione del diritto di asilo e la criminalizzazione delle persone in cerca di protezione non rappresenta un serio pericolo solo per le persone che ne sono direttamente colpite, ma per la democrazia stessa. Con le sue tendenze securitarie e lesive della dignità umana, l’Unione Europea ha spalancato ancora di più le porte al conservatorismo e al razzismo, che rischiano di minare la base democratica del collante sociale.

  1. I dati diffusi da UNHCR
  2. Nuovo patto sulla migrazione e l’asilo sul sito della Commissione Europea

Liliya Chorna

Nata in Ucraina, cresciuta nel Sud Italia, da anni vivo in Germania, dove lavoro a diversi progetti nel campo della migrazione. Nel 2020 ho conseguito a Napoli la laurea in Comunicazione interculturale in area euro mediterranea con una tesi in Tutela internazionale dei migranti. Guardare alle migrazioni da diverse angolature, in particolare dalla prospettiva post coloniale, mi offre lo spazio per pensare e lavorare ad una collettività più giusta e solidale. Per me l'impossibile è reale.