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Il protocollo Italia-Albania è legge: tra (nuovi) vuoti normativi e (vecchie) violazioni di diritti

Un approfondimento di Fatima Zahra El Harch

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1. Il protocollo

Lo scorso 15 febbraio il Senato italiano, con 93 voti favorevoli e 63 contrari, ha approvato il disegno di legge di ratifica ed esecuzione del Protocollo Italia-Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria 1, concordato lo scorso 6 novembre tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il suo omologo albanese Edi Rama.

Com’è ormai noto, questo Protocollo – di durata quinquennale, rinnovabile tacitamente per un ulteriore periodo di cinque anni – prevede la concessione gratuita all’Italia da parte dell’Albania di due aree demaniali per l’istituzione di altrettante strutture destinate al trattenimento di stranieri irregolari e richiedenti asilo. Tali strutture dovrebbero essere realizzate a spese dell’Italia, gestite “secondo la pertinente normativa italiana ed europea” (art 4, co. 2 Prot.) e collocate nell’area portuale di Shëngjin e nella città di Gjadër. Come specificato dalla Presidente del Consiglio dei ministri in occasione della conferenza stampa successiva alla firma del Protocollo 2, a Shëngjin si prevede l’attivazione di un centro di prima accoglienza (hotspot) dove le autorità italiane provvederanno alle procedure di sbarco e di identificazione, mentre nella seconda città verrà realizzata una struttura sul modello dei centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) in cui saranno accolti i migranti non aventi diritto all’ingresso e alla permanenza nel territorio italiano.

Entrambe le aree, pur essendo locate in territorio albanese, saranno sottoposte alla giurisdizione italiana. Tale previsione, unica nel suo genere nel panorama degli accordi in materia di immigrazione conclusi dagli Stati Membri dell’Ue e dall’Unione stessa, determina un’inedita gestione extraterritoriale dei migranti che, seppur trasferiti in territorio albanese, si vedranno applicata la normativa italiana e quella dell’Unione europea. Difatti, questo Protocollo, a differenza dell’accordo tra Regno Unito e Rwanda 3 – dichiarato illegittimo dalla Corte suprema britannica sulla base della circostanza che il Rwanda non possa essere considerato un paese terzo sicuro in quanto non tutela adeguatamente il diritto di asilo e il principio di non refoulment 4 – non prevede il trasferimento della responsabilità sui migranti in capo ad un paese terzo. In altre parole, la collocazione in Albania delle strutture detentive non implica l’applicazione della normativa albanese; al contrario, alle persone ivi detenute si applicherà la disciplina italiana e dell’Unione europea concernente i requisiti e le procedure relativi all’ammissione e alla permanenza degli stranieri nel territorio nazionale, come se i centri fossero localizzati in Italia.

2. Iniziali ritardi nella sua attuazione

I centri di detenzione previsti dall’accordo avrebbero dovuto essere operativi entro la primavera del 2024. Tuttavia, le vicissitudini del Protocollo, sia in territorio italiano che in quello albanese, ne hanno rallentato l’entrata in vigore. Difatti, il Protocollo, sulla falsa riga della maggior parte degli accordi in materia di rimpatrio e riammissione, nasceva come un accordo informale che sarebbe entrato in vigore con un semplice scambio di note tra Italia e Albania, senza la necessità di sottoporlo al vaglio del Parlamento. Tuttavia, a seguito di critiche a più voci che evidenziavano l’incostituzionalità di tale decisione 5 (ai sensi dell’art. 80 Cost.), il Governo è tornato sui propri passi presentando il disegno di legge di ratifica alla Camera dei deputati, la quale lo ha approvato il 24 gennaio 2024.

Il problema del deficit democratico si è posto, seppur in termini diversi, anche in Albania dove l’opposizione di centro-destra ha ritenuto che il trattato sia stato concluso in violazione della Carta costituzionale, la quale per la sua negoziazione e firma avrebbe richiesto l’autorizzazione del Presidente della Repubblica. Trenta deputati dell’opposizione hanno quindi sollevato un conflitto di attribuzione in merito all’accordo, sostenendo che il Protocollo, rientrando nella categoria di trattati che incidono sul territorio dello Stato e sui diritti e le libertà delle persone, dovesse essere concluso nel rispetto dei principi di trasparenza e democraticità che l’autorizzazione del Presidente della repubblica avrebbe garantito. Tuttavia, il 29 gennaio la Corte costituzionale albanese ha dichiarato la natura costituzionale dell’accordo, dando il via libera alla sua ratifica da parte del parlamento albanese. La Corte ha infatti ritenuto che il protocollo non compromette l’integrità del territorio della Repubblica d’Albania né che impone restrizioni aggiuntive ai diritti e alle libertà umane esistenti, al di là di quanto previsto dall’ordinamento giuridico albanese 6.

Per quanto entrambe le statuizioni della Corte pongano dei dubbi, l’ultima è la più preoccupante. Difatti, sia il Protocollo che il successivo disegno di legge di ratifica segnano indubbiamente una regressione nel rispetto e nella garanzia dei diritti delle persone che saranno interessate dall’applicazione del protocollo.

3. I soggetti che potranno essere detenuti nei centri in Albania

Nonostante nelle prime dichiarazioni successive alla firma del protocollo il Ministro degli esteri Tajani avesse sostenuto che “nella struttura in Albania non potranno in nessun caso essere accolti soggetti vulnerabili, quali, ad esempio, minori e donne in gravidanza7, tale statuizione non trova riscontro né nel testo del Protocollo né in quello del disegno di legge di ratifica. Anzi, un emendamento proposto dal Partito Democratico diretto proprio a riconoscere tale esclusione è stato bocciato con la scusa che si preferisce mantenere un testo snello. Con tale imbarazzante giustificazione, il testo definitivamente approvato dal Senato conferma che nel modello del protocollo la detenzione è l’unica opzione considerata sia per gli individui considerati trattenibili, ossia i migranti che non hanno manifestato la volontà di richiedere l’asilo o che, pur avendola manifestata, sono considerati pericolosi o provengono da Paesi terzi sicuri, sia per i migranti non trattenibili, quali i minori non accompagnati, i soggetti vulnerabili e i richiedenti asilo a cui non può essere applicata la procedura di frontiera. È quindi altresì evidente la deliberata scelta di non individuare una normativa in materia di screening dei soggetti vulnerabili, nonostante il Viceministro Cirielli abbia avanzato l’ipotesi di avviare tale attività già nelle fasi immediatamente successive al loro soccorso o recupero, per mezzo di assetti navali a disposizione delle autorità statali, in modo da escludere che coloro che presentino vulnerabilità siano condotti in Albania 8.

3.1. Normativa applicabile

Come sopra evidenziato, il Protocollo e il disegno di legge di ratifica stabiliscono che i centri in Albania e le persone trasferite saranno sotto la giurisdizione italiana che dovrebbe garantire quindi l’integrale l’applicazione della pertinente normativa nazionale e sovranazionale anche ai migranti trattenuti nei centri in Albania. Eppure, l’art 4, co. 1, del d.d.l. di ratifica prevede l’applicazione di alcune leggi italiane, tra cui il testo unico sull’immigrazione e i decreti legislativi 142/2015, 25/2008 e 251/2007 (che contengono, rispettivamente, la normativa interna di recepimento delle direttive accoglienza e procedure, nonché della direttiva 2011/95, c.d. direttiva qualifiche). Allo stesso comma è presente una clausola specifica che afferma che questo quadro giuridico sarà applicato solo se compatibile, senza ulteriori dettagli sull’evenienza in cui la normativa indicata come applicabile non risulti “compatibile” con le situazioni concrete che potrebbero verificarsi in sede di applicazione del Protocollo stesso. Altrettanto nebuloso è il rapporto tra l’accordo e il diritto dell’UE, rapporto che potrebbe avere ricadute non indifferenti sui migranti fatti sbarcare in Albania. Come osservato dall’UNHCR “mentre per una persona che si trova sul territorio italiano, in base al principio del primato del diritto dell’UE, il giudice competente (ad esempio la Sezione specializzata in materia di immigrazione e asilo) potrebbe decidere di non applicare la legislazione italiana, ma, bensì, di applicare direttamente il diritto dell’UE in caso di incompatibilità, questo non sarebbe possibile per una persona coinvolta in un contenzioso – originato dall’applicazione del Protocollo – mentre si trova in Albania. La differenza di trattamento che potrebbe derivarne desta preoccupazione, soprattutto sotto il profilo del principio di non discriminazione9.

3.2. L’incognita del diritto di difesa e della formalizzazione delle domande di asilo

Altra grande incognita riguarda il diritto di difesa. Nel disegno di legge di ratifica sono incluse poche disposizioni specifiche volte a garantire l’accesso al diritto all’assistenza legale, principalmente da remoto. Il diritto di difesa dovrà essere assicurato dal Responsabile dei centri che ha il compito di adottare “tutte le misure necessarie a garantire il tempestivo e pieno esercizio del diritto di difesa dello straniero”. All’articolo 4 del d.d.l. di ratifica, co. 3-5, si prevede che il migrante potrà partecipare telematicamente all’udienza che lo riguarderà e nella stessa maniera avverranno i colloqui con il suo difensore. Tuttavia, come evidenziato dal Prof. Savino in occasione delle interrogazioni informali tenutesi davanti alla Camera dei deputati, la scarna normativa in materia non chiarisce come il migrante potrà entrare in contatto con un avvocato (sarà fornita una lista di avvocati prestabilita? da chi sarà formata tale lista? chi fornirà al migrante le informazioni sul diritto di difesa e il diritto all’assistenza legale?) 10.

Altrettanto oscure sono le modalità di registrazione delle domande di asilo e dei colloqui durante la fase amministrativa della procedura per il riconoscimento della protezione internazionale. Se da un lato sembra probabile che le udienze di convalida del trattenimento saranno condotte a distanza, attraverso videoconferenza, non è chiaro se la registrazione delle domande di asilo e i colloqui durante la fase della prima istanza saranno condotti in loco dalle autorità italiane competenti oppure a distanza.

4. Nuovi luoghi di violazione dei diritti e della dignità umana

Né nel protocollo né nel relativo disegno di legge di ratifica sono previste modalità di accesso ai centri da parte delle istituzioni di garanzia, quali il Garante dei detenuti, il Parlamento, l’UNHCR e le Agenzie dell’UE, per il rispetto dei diritti dei trattenuti, che si ricorda essere detenuti per il solo fatto di aver intrapreso un percorso migratorio. Il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale potrà svolgere le sue funzioni di monitoraggio nelle strutture situate in territorio albanese (art. 4, co. 19, d.d.l. di ratifica) e l’accesso alle strutture è garantito agli avvocati, alle agenzie dell’UE e alle organizzazioni internazionali che prestano assistenza e consulenza ai richiedenti asilo, ma non vi sono indicazioni specifiche sul ruolo che sarà loro consentito di svolgere. Né tantomeno è chiarito come e da chi le persone trattenute saranno messe nella condizione di poter richiedere l’assistenza di queste organizzazioni preposte a garanzia delle loro condizioni di detenzioni. Il silenzio delle norme trasforma quindi in una questione amministrativa un diritto fondamentale, lasciando la regolazione del suo esercizio alla discrezione di un funzionario 11.

Pare evidente che questo nuovo tentativo di gestione extraterritoriale dei migranti porterà a un deterioramento delle condizioni di detenzione per coloro che sbarcano in Albania, con esiti simili a quelli riscontrati nei CPR e negli hotspot italiani, dove è ormai noto che le garanzie costituzionali vengono spesso ignorate e i diritti umani fondamentali sono sistematicamente violati, con l’aggravante dovuta alla lacunosità della nuova normativa, alla distanza territoriale e alla conseguente minore capacità di supervisione da parte della società civile sulle condizioni di detenzione dei migranti.

Fatima Zahra El Harch è laureata in Giurisprudenza presso l’Università del Piemonte Orientale, è attualmente dottoranda in studi giuridici comparati ed europei presso il dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Trento.

  1. Leggi il protocollo.
  2. Dichiarazioni alla stampa con il Primo Ministro d’Albania, l’intervento del Presidente Meloni.
  3. Memorandum of understanding between the UK and Rwanda.
  4. Leggi la decisione della Corte suprema.
  5. Accordo Italia-Albania. ASGI: È incostituzionale non sottoporlo al Parlamento.
  6. Comunicato stampa.
  7. Agenzia Vista. Roma, 21 novembre 2023.
  8. Camera dei Deputati. Bollettino delle giunte e delle commissioni parlamentari.
  9. Commenti e raccomandazioni dell’UNHCR sul disegno di legge di “Ratifica ed esecuzione del Protocollo tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria, fatto a Roma il 6 novembre 2023, nonché norme di coordinamento con l’ordinamento interno”.
  10. Nota sul d.d.l. di ratifica dell’Accordo Italia-Albania (A.C. 1620).
  11. Sul punto, cfr. M. SAVINO, La legge di ratifica ed esecuzione del Protocollo Italia-Albania: tre problemi di sostenibilità giuridica e amministrativa, ADiM Blog, Editoriale, Gennaio 2024.