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La nuova stretta dell’Ue sui “trafficanti di esseri umani”

«La normativa che dovrebbe contrastare il traffico non fa altro che ottenere l’effetto opposto»

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Le nuove proposte della Commissione europea lanciano un’alleanza tra i Paesi Ue ed extra Ue sulla lotta al traffico di esseri umani. La linea politica passa ancora una volta per la criminalizzazione dei presunti scafisti.

Lo scorso 28 novembre i rappresentanti di 57 paesi, dall’Europa al Sud-Est asiatico, si sono riuniti alla Conferenza dell’Alleanza globale contro il traffico di essere umani, convocata a Bruxelles dalla Commissione Europea. «Il modo in cui operano questi trafficanti è in continua evoluzione. Ma la nostra legislazione ha più di vent’anni e ha bisogno di un aggiornamento urgente. Abbiamo quindi bisogno di una nuova legislazione e di una nuova struttura di governance. Abbiamo bisogno di un’applicazione della legge più forte, di azioni penali e di un ruolo più importante per le nostre agenzie – Europol, Eurojust e Frontex», ha dichiarato Ursula von der Leyen alla vigilia della Conferenza.

Le nuove introduzioni della Commissione europea

A margine della giornata di lavori, la Commissione europea ha adottato un nuovo pacchetto legislativo, composto da una Direttiva e un Regolamento, che ora dovranno essere approvati da Parlamento e Consiglio europeo. La prima si pone come obiettivi quello di garantire l’efficacia delle indagini, dei procedimenti giudiziari e delle sanzioni nei confronti delle reti criminali organizzate, aumentare le risorse degli Stati membri per contrastare efficacemente il fenomeno, armonizzare la normativa esistente, infine aumentare la raccolta dati e la produzione di report. Per questo, la Direttiva stabilisce norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in materia di favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali di cittadini di Paesi terzi, nonché misure per prevenire e contrastare la commissione di tali reati. Anche l’istigazione pubblica, compresa quella pubblicizzata dai trafficanti attraverso strumenti digitali e social media, diventerà un reato penale. Aumenta la pena per i casi di reati aggravati, che causano la morte di una o più persone, ora punibile con la reclusione fino a 15 anni, rispetto agli otto previsti dall’attuale legislazione Ue.

La giurisdizione degli Stati membri, con l’attuale riforma proposta, si applicherà anche quando le imbarcazioni affonderanno in acque internazionali, e verrà estesa anche ad altri casi, compresi i reati commessi a bordo di navi o aeromobili registrati negli Stati membri e i reati commessi da persone giuridiche che operano nell’UE. In una nota, la Commissione europea chiarisce che le attività umanitarie compiute dalle ONG non verranno considerate come atti criminali. Gli Stati membri dovranno inoltre raccogliere e comunicare annualmente i dati statistici per migliorare la portata, l’individuazione dei casi e la risposta al traffico di migranti.

La proposta di Regolamento, invece, rafforza il ruolo dell’Europol e la cooperazione tra agenzie nella lotta contro il traffico di migranti e la tratta di esseri umani. Il Centro europeo contro il traffico di migranti (EMSC), lanciato nel 2016, verrà rinforzato e supportato da Eurojust, Frontex e dalla Commissione. Il centro produrrà relazioni annuali, analisi strategiche, nonché azioni investigative e operative. Sarà inoltre implementato l’obbligo degli Stati membri di condividere con Europol le informazioni sul traffico di migranti e sulla tratta di esseri umani, attraverso una maggiore cooperazione tra agenzie e paesi Ue ed extra-Ue.

Il ministro dell’Interno Piantedosi ha sottolineato come l’Italia sia in prima linea – a suo dire – nella lotta contro i trafficanti, attraverso il piano bilaterale con Tunisia, Libia, Costa d’Avorio ed Egitto. Parla del Memorandum con l’Albania come un «modello anche per altri Paesi», e afferma che il piano d’azione del governo italiano si concentrerà sul controllo delle frontiere e sul rafforzamento dei rimpatri volontari, attraverso «centri finanziati dall’Ue lungo le rotte migratorie principali, dove valutare le domande di protezione internazionale e favorire il rimpatrio dei migranti che non hanno titolo ad entrare in Europa».

L’ennesima criminalizzazione dei presunti scafisti

«We are going after the smugglers, not the smuggled». L’obiettivo dichiarato dalla Commissione è quello di «punire i trafficanti, non i migranti che si rivolgono a loro per giungere in Europa», secondo quanto dichiarato da Ylva Johansson, Commissario europeo per gli affari interni.

La criminalizzazione dei cosiddetti scafisti, gli smugglers, è invece una prassi politica diffusa in tutta l’Unione Europea, compresi i recenti decreti del Governo Meloni. Secondo PICUM, Ong che si occupa della tutela delle persone migranti prive di documenti, un numero sempre maggiore di migranti che cercano di arrivare in Europa è ingiustamente accusato di traffico, con lunghi periodi di detenzione arbitraria e di esclusione dall’accesso all’asilo. In alcuni casi, è bastato aver acceso il GPS durante la traversata per essere condannato a 10 anni di carcere come trafficante.

Nel novembre 2020, durante un viaggio verso le coste greche, dopo la morte di un bambino a seguito del naufragio della nave su cui si trovavano 24 migranti, Hasan, 23 anni, è stato arrestato per aver guidato l’imbarcazione, cercando di mettere in salvo i passeggeri. Accusato di «trasporto di 24 cittadini di Paesi terzi in territorio greco senza autorizzazione» con le aggravanti di «aver messo in pericolo la vita di 23 persone» e di «aver causato la morte di una», ha rischiato una condanna all’ergastolo per la morte di una persona, più altri 10 anni di reclusione per ogni persona trasportata, per un totale di 230 anni più l’ergastolo 1. Nel maggio 2022, sulla spinta di decine di associazioni, ONG e collettivi, è stato rilasciato. Il caso di Hasan, a prescindere dall’esito processuale, è però esemplificativo.

Dall’esito ancora incerto è un altro noto caso di criminalizzazione: il 28 marzo 2019 la nave mercantile El Hiblu 1 è arrivata a Malta e tre adolescenti sono stati arrestati e accusati di aver commesso diversi reati, tra cui atti di terrorismo, minacce all’equipaggio e il dirottamento della nave. Amara, Kader e Abdalla – all’epoca avevano 15, 16 e 19 anni – sono stati imprigionati per quasi otto mesi prima di essere rilasciati su cauzione nel novembre 2019 con pesanti restrizioni alla libertà personale. Ne è nata una campagna internazionale di solidarietà, la Free the El Hiblu 3, che ha fatto conoscere la vicenda e seguito i ragazzi, che rischiano il carcere a vita, durante le oltre 45 udienze. L’ultima iniziativa della campagna è una petizione che chiede al Procuratore Generale maltese di ritirare tutte le accuse poiché ci sono nuove testimonianze che dimostrano la loro innocenza.

La normativa che dovrebbe contrastare il traffico, sostiene PICUM nel rapporto «Migrant smuggling: why we need a paradigm shift», non fa altro che ottenere l’effetto opposto. Si osserva, infatti, una crescente militarizzazione delle frontiere in nome della lotta al traffico degli esseri umani, rendendo più insicura la traversata e spingendo sempre più persone a intraprendere percorsi pericolosi e contraendo debiti altissimi. Allo stesso modo, sebbene la Commissione europea, in maniera vaga, abbia dichiarato che non intende perseguire penalmente l’operato delle Ong impegnate nei salvataggi in mare, chi agisce in solidarietà con i migranti – che siano altri migranti stessi sulla barca o organizzazioni non governative – rischia di essere accusato di «facilitare il loro l’ingresso, il transito o il soggiorno irregolare».

In Italia, il rapporto «Dal mare al carcere», realizzato da Arci PorcoRosso e Alarm Phone, con la collaborazione di Borderline Sicilia e borderline-europe, evidenzia come i metodi di identificazione all’arrivo dei presunti scafisti siano approssimativi, con errori e ricostruzioni parziali e fuorvianti.

Ugualmente, non è garantito l’accesso ad una difesa piena ed effettiva, nonché la possibilità di vedersi riconosciuta la protezione internazionale a seguito della condanna. La criminalizzazione crescente dei cosiddetti scafisti diventa un fattore di rischio per i migranti stessi: «Al momento di scegliere il capitano per il viaggio, spesso i migranti più esperti a guidare non si candidano, coscienti delle conseguenze penali dell’azione», oppure, al momento dell’intercettazione della barca in mare, «succede spesso che i capitani si allontanino dal motore per non essere identificati come scafisti, causando confusione e sbilanciamento» e, in alcuni casi, il rovesciamento della barca stessa. Durante le operazioni di soccorso e sbarco, poi, la maggior parte delle risorse e del tempo vengono impiegati per identificare lo scafista, piuttosto che per assicurarsi di vulnerabilità e necessità dei migranti in arrivo.

La figura dello scafista viene dunque demonizzata come «carnefice delle migrazioni», unico responsabile delle tragedie che accadono in mare. Se davvero l’interesse dell’Unione Europea, e del nostro Paese di riflesso, fosse quello di ridurre il rischio delle traversate e evitare la contrazione di debiti per il viaggio, si dovrebbero invece prevedere canali sicuri lungo le rotte europee, che possano permettere a chiunque lo desideri di entrare in territorio comunitario, e procedure di regolarizzazione che non incentivino i rimpatri, ma che prevedano reali opportunità di accoglienza nei Paesi europei. La volontà di rafforzare agenzie europee come Frontex, al centro delle nuove introduzioni europee, che solo nel 2022 ha contribuito all’espulsione di 25.000 persone, la cui priorità fondamentale rimane deportare dal territorio europeo i migranti considerati “illegali”, contribuisce alla militarizzazione delle frontiere via mare e via terra, costringendo chi migra ad intraprendere rotte sempre più pericolose.

  1. Free the #Samos2 è stata una campagna promossa da decine di associazioni, ONG e collettivi che si occupano di migrazioni per chiedere l’assoluzione di Hasan e di N., padre del bimbo morto a seguito dell’impatto della barca su cui viaggiavano entrambi con la scogliera. Quest’ultimo era stato infatti accusato dell’annegamento del figlio durante il naufragio.

Albertina Sanchioni

Mi sono laureata in Sicurezza Globale con una tesi sulle implicazioni sui diritti umani degli algoritmi relativi all’hate speech nei social network, con un focus sul caso del popolo Rohingya in Myanmar.
Volontaria dello sportello anti-tratta a Torino, frequento il Master in “Accoglienza e inclusione dei richiedenti asilo e rifugiati” all’Università Roma Tre.