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PH: Alice Ugolini
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La vita delle donne nel campo di Nea Kavala nel nord della Grecia

Sara, Emma e Anna: voci di resilienza

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Nei campi profughi come quello di Nea Kavala, nella Grecia settentrionale, la condizione delle donne rimane spesso nell’ombra, inascoltata. Ma le loro vite ed esperienze raccontano storie di resilienza che troppo spesso vengono trascurate.

Lavorando all’Open Cultural Centre (OCC), ho avuto l’opportunità di parlare con diverse donne del campo, chiedendo loro di raccontarmi la loro vita e che cosa significhi la nostra ONG per loro. Le loro testimonianze rivelano una realtà di isolamento e di lotta quotidiana, ma allo stesso tempo sottolineano l’importanza della presenza di organizzazioni come OCC sul territorio e il conseguente impatto sulla loro vita.

Sara, Emma e Anna, nomi di fantasia di tre donne coraggiose, rappresentano migliaia di altre donne che affrontano la dura realtà dei campi. Queste donne si trovano sole nel far fronte ad una serie di difficoltà che vanno dalla mancanza di cure mediche adeguate alla scarsità di risorse di prima necessità come cibo e vestiti per sé stesse e per i loro figli.

Una delle sfide più evidenti è la mancanza di considerazione e di attenzione per le loro esigenze. Spiega Sara: «Una volta mio figlio si sentiva molto male – continuava a vomitare e aveva la febbre alta – ho chiesto aiuto ai medici del campo, ma non mi hanno dato alcuna attenzione. Ho continuato a lottare, a chiedere aiuto e ho scritto un rapporto. Solo allora mi hanno ascoltato». Continua: «L’unico modo in cui una donna può ottenere considerazione dal personale è alzare la voce, lottare con forza e scrivere rapporti su questi episodi di cattiva condotta».

Emma e Sara descrivono quanto sia complicato per loro vivere nel campo con i loro figli. La qualità del cibo è scadente e spesso provoca intossicazioni alimentari, non hanno abbastanza vestiti, pannolini o coperte per i bambini. Inoltre, nessuna di loro riceve il sussidio che il governo greco dovrebbe dare ai rifugiati per le spese di sussistenza.

PH: Alice Ugolini

Con l’imminente chiusura di Drop in the Ocean, una ONG che distribuisce nel campo beni di prima necessità come pannolini, kit igienici e vestiti, le prospettive per le donne e le loro famiglie diventano sempre più incerte. Senza un sostegno continuo, queste donne temono di essere abbandonate a sé stesse in un ambiente ostile e difficoltoso, mi spiega Sara: «Quando Drop lascerà il campo, tutti i fondi e gli aiuti smetteranno di arrivare. Siamo preoccupate».

L’importanza del sostegno della collettività emerge come una risorsa di speranza e di resilienza. A questo proposito, Anna racconta che OCC le permette di lasciar da parte i problemi e tutte le sofferenze che sta affrontando. «Grazie alle attività offerte da OCC, il tempo passa più facilmente. Nel campo, il tempo sembra statico; poter venire qui, partecipare alle lezioni, fa sentire che il tempo scorre davvero e che non stiamo solo aspettando. OCC è l’unico spazio in cui mi sento amata e sostenuta».

Lavorando per OCC, ho capito quanto sia importante il supporto umano per queste persone. Il campo è un triste ammasso di container che sembra una prigione, dove le persone passano le giornate ad aspettare una decisione sulla loro richiesta di asilo. OCC offre loro un rifugio, un luogo per sfuggire a questa realtà, un posto dove possono studiare e integrarsi sentendosi al sicuro e supportati.

Anna spiega: «OCC mi ha aiutata molto ad imparare le lingue. In Siria, dopo l’inizio della guerra, la mia vita si è fermata per quasi un decennio. Non potevo accedere a un’istruzione adeguata. Una volta arrivata qui a OCC, sono riuscita a continuare la mia istruzione. Tutto quello che imparo qui lo insegno ai miei figli. In questo modo, tutti noi riceviamo un’istruzione: non solo io, ma tutta la mia famiglia».

OCC, con il suo impegno a fornire sostegno, istruzione e un ambiente sicuro, sta costruendo un ponte per un futuro migliore per queste donne e le loro famiglie. È un faro di speranza per i richiedenti asilo del campo di Nea Kavala, che dimostra come anche nelle situazioni più difficili è possibile trovare sostegno e solidarietà.

Guardando al futuro, Sara, Emma e Anna sperano in una vita migliore. Sognano di poter continuare a studiare, lavorare ed essere indipendenti, nonostante le avversità che affrontano ogni giorno.

In un mondo in cui troppo spesso essere donna significa raddoppiare il fardello e le sfide dell’essere un rifugiato, la voce delle donne nei campi chiede di essere ascoltata e di intervenire. Solo attraverso il riconoscimento e il sostegno delle loro sfide possiamo sperare di costruire un futuro più luminoso per tutti.

Chiara Spinnicchia

Ho conseguito una laurea triennale in Scienze Strategiche e della Sicurezza presso l’Università di Torino e un master internazionale in Intelligence, Security, and Strategic Studies presso l’Università di Glasgow, la Dublin City University e la Charles University di Praga. A Novembre 2023, mi sono trasferita in Grecia per lavorare come operatrice umanitaria presso Open Cultural Center (OCC), Policastro e come Field Reporter presso Border Violence Monitoring Network (BVMN), Salonicco.