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“A ellos no les vamos a abrir…”

La verità sull'incendio nel centro di detenzione di Ciudad Juárez in un'inchiesta giornalistica indipendente

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Pubblichiamo la prima parte 1 del reportage di approfondimento sui fatti avvenuti il 27 marzo del 2023 in Messico nel centro di detenzione di Ciudad Juárez. Quella notte in un incendio morirono soffocate 40 persone in una cella chiusa a chiave, altri 27 sono sopravvissuti ma hanno subito amputazioni, danni ai polmoni e altre conseguenze che li accompagneranno per tutta la vita.
A distanza di un anno un’inchiesta giornalistica indipendente fornisce nuovi dettagli su quanto accaduto quella notte finita in una strage smentendo il resoconto ufficiale. È stata la peggiore tragedia in una struttura di detenzione per persone migranti gestita dal governo nella storia del Messico. Ma è stato chiaro fin da subito: «No murieron, los mataron».

Città del Messico – Un anno dopo l’incendio del 27 marzo 2023 nel centro di detenzione migratoria di Ciudad Juárez nello stato messicano di Chihuahu, 40 uomini sono morti I suoi risultati, le analisi e le prese di posizione rese pubbliche in occasione del primo anniversario, invitano ad un bilancio di questo crimine di stato e dei processi che ne sono scaturiti, con la volontà e la fiducia di ottenere verità, giustizia, riparazione del danno e non ripetizione.

La verità nelle immagini

Le telecamere non mentono: le chiavi c’erano, gli agenti dell’INM (Instituto Nacional de Migración) le avevano usate per far entrare ed uscire dei detenuti in diversi momenti, le avevano avute in mano, appoggiate su una scrivania, se le erano passate, messe in tasca, fino a pochi minuti prima dell’incendio. Ma nessuno ha cercato, con le chiavi o senza, di aprire le inferriate che hanno trasformato una legittima protesta di un gruppo di persone in un crimine di stato. Lo si vede nei filmati e, a riprova, si sente anche la voce di una agente, la responsabile al momento del centro di detenzione, che dice “A loro non apriamo. Gliel’ho già detto”, rivelando una inquietante intenzionalità.

È quanto ha dimostrato l’inchiesta transnazionale sul rogo del 27 marzo 2023, condotta congiuntamente da La Verdad di Ciudad Juárez 2, Lighthouse Reports 3 e El Paso Matters 4.

Basterebbero queste circostanze accertate per garantire una sterzata decisiva nell’istruttoria ancora in corso contro 11 imputati. Rimarrebbe da chiarire perché il personale in servizio nel centro di detenzione non abbia aperto l’inferriata, condannando al rogo 82 persone, risultate morte o con lesioni permanenti, e le loro famiglie. Ci si domanda se c’è stato un ordine dall’alto, o si è trattato di un “errore”, di “negligenza” o “incompetenza” di chi quella notte aveva la responsabilità del centro di detenzione. Ma è bene diffidare delle “incompetenze dichiarate” delle istituzioni messicane, spesso simulazioni che nascondono complesse strategie di fabbricazione di verità su misura che, poco a poco, si pretende di far accettare all’opinione pubblica.

Nulla di nuovo, nulla di buono per chi viene dal sud

È passato un anno da quando fumo e fiamme hanno coperto con un velo spettrale questo piccolo emblematico angolo di città dove importanti spazi ed edifici pubblici sorgono a fianco del ponte Paso del Norte 5, il più antico che unisce Ciudad Juárez con El Paso, Texas 6.

Come un anno fa, Ciudad Juárez è in subbuglio. Ogni giorno arrivano centinaia di persone, in treno o con altri mezzi, si accumulano in sistemazioni di fortuna a pagamento, fatiscenti, marginali, insalubri e pericolose, o accampano in vari punti della città, ma sempre con lo sguardo rivolto al doppio o triplo “muro” che pretende impedire la loro entrata negli USA.

L’esasperazione è tanta che negli ultimi giorni c’è stato più di un tentativo di “invasione”, cioè il paradosso di drappelli di famiglie che si scagliano contro i recinti di rete metallica e di serpentina spinata, opera del genio militare statunitense, sfidandoli con tanta energia che a volte possono avere la meglio sui muri e sulle pattuglie che li vigilano 7. Appena calpestano la sabbia del deserto sull’argine dal lato statunitense, alzano le mani in segno di resa, per consegnarsi alla “migra8.

Negli Stati Uniti, la lotta senza esclusione di colpi tra il presidente attuale Biden, in corsa per un secondo mandato contro il pluriaccusato ex mandatario Trump, è ovunque, e il tema “migrazione” ne è al centro. Ma le tensioni non sono molto diverse da quelle di un anno fa e, come allora, le migliaia di nuclei familiari – già negli Stati Uniti o in attesa di entrarci – vivono una dinamica logorante.

Nei tribunali e alla Corte Suprema, per esempio, si alternano sentenze che successivamente legittimano oppure sospendono iniziative legislative di segno opposto, come la S.B. 4, legge ferocemente “anti immigrati” approvata dallo stato del Texas; i continui aggiornamenti dell’applicazione CBP ONE (piattaforma dell’Ufficio delle Dogane e della Protezione della Frontiera, il CBP, attraverso la quale si ottiene un appuntamento per presentarsi in un varco di frontiera e chiedere protezione internazionale al governo degli Stati Uniti), prolungano le già interminabili attese di un appuntamento con le autorità migratorie, e molte persone decidono di non aspettare oltre, ma di entrare in forma irregolarizzata nel paese per consegnarsi alla “migra”.

Quanto al Messico, il presidente degli Stati Uniti pretende che funzioni con l’efficacia e la compiacenza di sempre 9, come frontiera verticale e paese tappo, e il governo messicano fa del suo meglio per contenere i flussi migratori, nonostante i problemi, a volte esplosivi, che questo crea ed il palese contrasto con il discorso ufficiale di rispetto dei diritti umani e solidarietà.

Con queste premesse, non sorprende che in entrambi i paesi campeggi, come sempre, la narrazione della “crisi migratoria” e della minaccia costituita dalle persone in movimento, accompagnata dalla loro criminalizzazione. Anche in Messico il 2024 è anno elettorale e, ironicamente, tanto l’amministrazione di Biden come la presidenza di López Obrador devono rendere conto di una politica migratoria che viola i diritti umani e che, soprattutto nel caso del presidente del Messico, hanno tradito le aspettative dell’elettorato.

Per le persone migranti in agonica attesa al di qua della frontiera la vita quotidiana ha i toni di sempre, di estrema precarietà ed incertezza – spesso “normalizzati” -, dove la violenza dei cartelli criminali e la violenza di stato si complementano formando una trappola perfetta. Il rogo di un anno fa è la punta dell’iceberg, un manifesto della gestione necropolitica delle migrazioni, la cruda manifestazione dei dispositivi di disciplinamento messi in campo contro chi, disobbedendo ai mandati dei potenti, si ostina a migrare.

E non si può dimenticare che Ciudad Juárez è la città dei femminicidi e delle fosse clandestine, dove, in entrambi i casi, buona parte dei corpi ritrovati, ma non identificati, sono di persone migranti. All’inizio si vollero attribuire questi corpi ai conflitti interni ai cartelli, rassicurando l’opinione pubblica. Ma poi fu evidente la nutrita presenza di persone vittimizzate da criminalità ed altri gruppi di potere, tra cui molte/i migranti, per il crescente numero di resti umani trovati nei territori di transito dei coyotes, controllati dai cartelli che ormai da tempo controllavano anche il traffico di persone.

Contemporaneamente, dall’altro lato della frontiera, nella contea di El Paso, Texas, le morti si moltiplicavano, al punto che oggi c’è chi considera la zona come una fossa a cielo aperto. Si tratta infatti di resti umani spesso insepolti, che vengono raccolti dalle autorità statunitensi. Una recente relazione, accompagnata da una base di dati, dell’organizzazione No More Deaths (Non Più Morti), ci fornisce la prima documentazione sulle morti di persone migranti nel Settore della Pattuglia di Frontiera di El Paso 10. Colpisce il fatto che una grande percentuale dei ritrovamenti non avviene in zone isolate, ma piuttosto in centri urbani e nei loro dintorni. Questo vuol dire che un gran numero di persone trova una morte atroce ed evitabile nonostante la vicinanza delle infrastrutture di soccorso 11.

Tra le cause più frequenti delle morti registrate si segnalano il caldo nell’attraversamento di zone desertiche, l’annegamento nell’attraversamento del Río Bravo, incidenti causati da persecuzione delle pattuglie, cadute dal muro. Questo non succede per caso, ma è l’altra faccia della gestione necropolitica delle migrazioni, messa in atto dal governo degli Stati Uniti, che ordisce e detta cosa s’ha da fare: securitizzazione ed esternalizzazione della sua frontiera sud, cercando di immobilizzare col terrore le popolazioni in movimento.

Le strategie moderne di controllo delle frontiere adottate dalla Pattuglia degli Stati Uniti “Prevenzione mediante la Dissuasione”, è stata lanciata nel 1994 con l’obiettivo dichiarato di rendere la migrazione più letale, aumentando i controlli nelle zone urbane, obbligando le persone migranti a percorrere itinerari più pericolosi, ad avventurarsi in zone più ostili e, così, provocare un maggior numero di morti. Le stime ufficiali delle autorità statunitensi sono di 10.000 morti tra le persone migranti in tutta la frontiera da quando questa politica è stata avviata (1998) ma il numero reale è molto più alto, per le deficienze nella raccolta dei dati e nell’elaborazione di rapporti, e perché i resti molto spesso non vengono trovati né recuperati.
(No More Deaths. 2023. El Paso Sector Migrant Death Database, pág. 20 12

Va sottolineato che anche nella contea di El Paso le cifre ufficiali (del Customs and Border Protection) dei ritrovamenti di resti umani hanno dato un balzo in avanti, passando dai 10 registrati nel 2020 ai 149 registrati nel 2023.

È lo scenario complesso ed avverso in cui sopravvissuti/e, famiglie ed organizzazioni che le accompagnano, lottano per ottenere verità e giustizia per il rogo del 27 marzo 2023. Ma il corso dell’accertamento della verità e della giustizia ufficiali, si sa, è lento ed incerto. Sono quindi collettivi, associazioni, centri per i diritti umani e delle persone in mobilità, cittadinə, ad assumere questa responsabilità, come nel caso delle tre testate indipendenti – già citate – che, per far luce sull’incendio di Juárez, insieme hanno raccolto le testimonianza di 8 sopravvissuti, intervistato personale dei corpi di emergenza, hanno letto ed analizzato i fascicoli dell’inchiesta, preso visione ed analizzato minuziosamente 16 ore di riprese di 15 telecamere fisse (dentro e fuori il centro di detenzione) e le testimonianze prodotte nelle udienze dell’istruttoria penale in corso contro 11 accusati.

Hanno anche elaborato un modello in 3D dei locali dell’INM, che ricostruisce l’accaduto in base alle informazioni raccolte e ne consente una migliore comprensione. Non hanno potuto chiedere precisazioni e chiarimenti all’INM, che non ha concesso interviste, né raccogliere la testimonianza delle persone detenute. Hanno invece intervistato alcune/i dipendenti dell’Istituto, che hanno chiesto l’anonimato.

I principali prodotti divulgativi della ricerca sono un video di 17 minuti, «Fumo e menzogne. La verità sull’incendio di Ciudad Juárez» e un articolo di Rocío Gallegos, Blanca Carmona y Gabriela Minjares «A loro non apriremo. Cosa è successo la notte dell’incendio nel centro per migranti a Città Juárez?»13.

  1. La seconda parte verrà pubblicata lunedì 8 aprile
  2. “We’re not going to open it for them.”
  3. Smoke and Lies
  4. Misplaced fire extinguishers. No sprinkler system. A key missing in plain sight. How a Juárez migrant detention center fire turned into a death trap
  5. È il ponte più antico perché fu il primo ad essere costruito (in legno) per attraversare il Río Bravo, quando ancora El Paso e Ciudad Juárez erano un solo centro di popolamento, territorio messicano
  6. A fianco al ponte, prima c’è la ferrovia, con Il cancello sui binari che si apre per i treni merci diretti negli Stati Uniti, poi il palazzo della presidenza municipale che, in posizione dominante, spazia sui due lati della frontiera e infine, tra altre istituzioni, gli uffici locali dell’INM
  7. Más de 200 migrantes fueron arrestados en El Paso acusados de disturbios en alambrado de púas, El Paso Matters (3 aprile 2024)
  8. Texas instala otro alambre de púas en su frontera con Ciudad Juárez; contiene a migrantes con antimotines, La Verdad (23 marzo 2024)
  9. Non c’è più il Titolo 42 che permetteva l’espulsione immediata di chi arrivava in forma “irregolarizzata”, né il programma Quédate en México, che usava questo paese come sala d’attesa per le persone richiedenti asilo
  10. Vai al rapporto
  11. Weekly U.S.-Mexico Border Update: Migrant deaths, 2024 budget, S.B. 4 – Adam Isacson, WOLA (22 marzo 2024)
  12. Leggi il rapporto (.pdf
  13. Il sito de La Verdad dedicato all’inchiesta

Mara Girardi

Dal 1985 vivo in Mesoamerica, in Nicaragua ed in Messico.
Ho studiato filosofia in Italia e un master in studi di genere in Nicaragua.
Socia ed operatrice di ONG di solidarietà e cooperazione internazionale, le ultime esperienze sono state con i movimenti femministi dei paesi centroamericani e poi con i movimenti indigeni in educazione interculturale e plurilingue. Dal 2006 ho lavorato a temi legati alla mobilità umana, come diritti, violenza, genere e migrazioni.