Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Da Torino, appello in sostegno alle famiglie rom occupanti di Via Asti Est

Antecedenti:

In seguito alla sottoscrizione di una convenzione tra Prefettura e Città di Torino – mediante cui sono stati riallocati i finanziamenti destinati alla cd. “Emergenza Nomadi” voluta nel 2008 dall’allora Ministro degli Interni Roberto Maroni, poi dichiarata illegittima dal Consiglio di Stato -, nel 2013 la Città di Torino ha pubblicato un bando di gara ed un capitolato speciale d’appalto “per la gestione di iniziative a favore della popolazione rom”(n. 84/2013), per cui sono stati stanziati 5.193.167,26 Euro.

Tale appalto, suddiviso in tre lotti, è stato poi affidato all’unica cordata che ha partecipato alla gara, composta da sei associazioni e cooperative: Valdocco, Terra del Fuoco, AIZO, Stranaidea, Liberitutti e Croce Rossa Italiana. Tale cordata si è aggiudicata 4.428.116,00 euro presentando il progetto “La città possibile – iniziative a favore della popolazione ROM”, avente lo scopo dichiarato di “realizzare percorsi efficaci di integrazione e di cittadinanza per ca. 1300 persone di etnia ROM che abitano oggi nelle aree sosta autorizzate e non autorizzate della Città di Torino” (ed in particolare i campi di Lungo Stura Lazio, Corso Tazzoli, via Germagnano, Strada Aeroporto) nel periodo compreso tra il novembre 2013 ed il dicembre 2015.

Nel caso del “campo rom” di Lungo Stura Lazio, una delle baraccopoli più grandi d’Europa, i beneficiari previsti dal progetto erano fin dall’origine 600, a fronte di una presenza nel 2013 di oltre mille abitanti (adulti e minori), arrivati dalla Romania a partire dal 2002, in larga parte tutt’ora senza residenza e dunque esclusi da servizi fondamentali, in primis la salute. Per i beneficiari venivano previste le seguenti azioni: “1) Accompagnamento sociale per favorire l’inclusione e percorsi di formazione/lavoro;
2) Rimpatri in collaborazione con associazioni in loco;
3) Allocazioni urbane ed extra urbane;
4) Percorsi di inclusione abitativa;
5) Raccolta rifiuti;
6) Accompagnamento sociale e costi generali in fase di gestione e sistemazione transitoria”.
Tali azioni si sarebbero concretizzate attraverso la sottoscrizione di “patti di emersione” individualizzati, tramite cui una parte degli abitanti della baraccopoli, selezionata dalle associazioni e cooperative, si impegnava a distruggere la proprie baracca ed ottemperare altri doveri, in cambio di una tra le seguenti alternative, a seconda della propria “meritevolezza”: “Inclusione abitativa in alloggio su mercato privato”, “Housing sociale temporaneo”, “Alloggio di supporto fragilità”, “Co Housing sperimentale”, “Autorecupero” o “Rimpatri volontari assistiti in Romania”.

Oggi, ad inizio Novembre 2015, la realtà del progetto “La città possibile” è la seguente.

* Una piccola parte considerata “meritevole” degli oltre mille abitanti della baraccopoli ha visto distrutta la propria baracca in cambio della ri-collocazione in case o housing sociale scelte da associazioni e cooperative, in larga parte di proprietà di privati. Le persone ri-collocate in tali sistemazioni si sono fin da subito fatte carico degli affitti, per i primi mesi calmierati, ma progressivamente a prezzo di mercato. Nell’impossibilità di sostenere tali affitti a privati, le persone sono state sfrattate o si trovano sotto sfratto, senza alternativa abitativa (come nel caso dei social housing di corso Vigevano e via Traves).

* Un’altra parte considerata “meno meritevole” degli oltre mille abitanti della baraccopoli, è stata rimpatriata “volontariamente” in Romania, con la promessa di ricevere 300 euro al mese per sei mesi. Questi soldi, però, non sono stati ricevuti o lo sono stati solo in parte. L’impossibilità di poter ricostruire un progetto di vita dopo anni di assenza, e senza nessuna prospettiva di stabilità economica, le persone sono rientrate a Torino, dove però la loro baracca era stata distrutta.

* La parte più consistente degli oltre mille abitanti della baraccopoli è stata considerata “non meritevole” ed è dunque stata oggetto di sgombero forzato senza alternativa abitativa. Le ruspe hanno abbattuto, senza preavviso, ciò che per loro ha rappresentato una casa per oltre un decennio.

* I criteri per la selezione delle famiglie “meritevoli”, “poco meritevoli” e “non meritevoli” sono stati del tutto arbitrari.

* Non esiste una rendicontazione pubblica del progetto che chiarisca la ripartizione delle spese, né un organismo terzo con il compito di monitorarne l’implementazione.

Nonostante la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo abbia, nel Marzo 2015, sospeso temporaneamente lo sgombero di alcune famiglie che avevano fatto ricorso, per poi consentire il loro allontanamento a seguito di garanzia di riallocazione delle persone vulnerabili, e nonostante la procedura davanti la Corte sia ancora in corso, tra il Novembre 2013 ed il Novembre 2015, centinaia di donne, uomini e bambini sono passate dalla baracca alla strada. Nel frattempo le istituzioni continuano a rappresentare il progetto “La città possibile” come un esempio virtuoso di “superamento dei campi nomadi”, mentre nessuna delle associazioni e cooperative è mai uscita dal progetto.

Il 1 Novembre 2015, 26 famiglie che si trovavano sotto sgombero nel campo di Lungo Stura e sotto sfratto nei social housing di Corso Vigevano e via Traves, hanno deciso di occupare a scopo abitativo una piccola porzione della ex caserma “La Marmora” di proprietà della Cassa Depositi e Prestiti ed oggetto di interessi speculativi, già occupata in aprile da Terra del Fuoco, una delle associazioni parte del progetto “La città possibile”, ed oggi gestita da un comitato allargato, con la promessa di destinarla ad uso sociale.

I 26 nuclei che oggi abitano in via Asti sono composti da donne, uomini e bambini con cittadinanza rumena. Molti vivono a Torino da tredici anni. Non avendo mai avuto la possibilità di lavorare nell’economia formale, né di avere una casa, la quasi totalità non possiede la residenza e si vede quindi negati servizi fondamentali, come il medico di base. Dal punto di vista lavorativo, le attività vengono svolte nell’economia informale, sottocosto e nell’assenza di qualunque diritto e tutela, e sono principalmente la raccolta e la rivendita di metalli, la rivendita di oggetti usati, i servizi di cura. Sono presenti una trentina di minori, molti dei quali in età scolare ed iscritti presso scuole della Circoscrizione 6. Sono presenti numerose persone anziane e malate.

Oltre ai 26 nuclei che hanno occupato, oggi si trovano in strada o a rischio sfratto decine di altri nuclei che precedentemente abitavano nel campo di Lungo Stura. Alcuni stanno sopravvivendo in sistemazioni di fortuna, altri si trovano ancora per pochi giorni nelle case e nei social housing. Con l’inverno alle porte, per loro non c’è nessuna prospettiva.
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APPELLO:

In una domenica di Novembre un gruppo uomini, donne e bambini è entrato nel cortile dell’ex caserma “La Marmora” in via Asti ed ha occupato una palazzina vuota. L’ha occupata perché il posto dove abitavano non c’è più. Erano baracche lungo il fiume, in un posto senza acqua né luce, tanta immondizia e topi. Non un bel posto, ma l’unico che potessero permettersi.
Molti avevano creduto nelle promesse di una casa del comune di Torino. Chi la l’ha ora è sotto sfratto, perché non può pagare l’affitto. Chi non è entrato nel progetto ha conosciuto solo le ruspe.

Se vi alzate quando è ancora buio, vedrete le persone che abitavano quelle baracche cercare nei cassonetti qualcosa da vendere il sabato al Balon, la domenica nel mercato vicino alle ex Poste. Altri raccolgono metalli: sono l’ultimo anello di una catena di riciclo dove gli ultimi lavorano molto per il profitto di pochi. Qualche donna fa la badante nelle case.
Queste persone in una domenica di novembre hanno deciso di alzare la testa e di riprendersi la propria dignità. Una dignità che ogni giorno da quando sono nati/e si sono vista negare. Gli sguardi dei più, per fortuna non di tutti, li relegano in un ghetto culturale e materiale. Chi guarda gli abitanti della ex baraccopoli con sospetto, chi li osserva mentre cercano nei cassonetti ignorando che quel gesto così incomprensibile è per loro forse un lavoro, chi guarda dimentica che gli occupanti di 26 stanze di via Asti sono persone sfrattate, senza casa, con lavori precari. Vede solo zingari, vede solo rom. Ciò basta a privarli della loro umanità.
Quando le persone smettono di essere individui, uomini, donne e bambini in carne ed ossa, ciascuno con la propria storia, con le proprie capacità, con i propri sogni, si spalancano le porte ai peggiori abusi, ai pogrom razzisti come quello della Continassa, alle marce di fascisti e leghisti. Ancora oggi ben pochi sanno che rom e sinti facevano parte del programma di sterminio nazista, perché considerati “naturalmente” devianti. Cinquecentomila rom e sinti finirono la loro vita nelle camere a gas. In Romania almeno venticinquemila furono deportati durante il regime di Antonescu. La violenza nei loro confronti non hai è mai stata oggetto di una rielaborazione culturale collettiva.

Le persone che oggi vivono in via Asti sono immigrate dalla Romania. Lì vivevano in case, non sono “nomadi”, ma con il passaggio ad un’economia di mercato selvaggia dopo il 1989 ed a causa della proliferazione di rigurgiti razzisti mai sopiti, sono stati/e le prime a perdere il lavoro e la possibilità di sopravvivere in una società sempre più marcata da disuguaglianze. In Italia, però, non hanno trovato un futuro migliore, ma solo “campi”, sfruttamento e razzismo.
Noi vogliamo credere che Torino, città dove la resistenza al fascismo è cominciata negli anni Venti, possa scrivere una pagina nuova. Vogliamo credere che si possa, in pre-collina come nel resto della città, cancellare il pregiudizio che oppone rom e gadji, per ri-conoscersi come soggetti che vogliono costruire un mondo di liber*, uguali e solidali. A ciascuno, a suo modo e con gli altri, nel rispetto dei differenti percorsi, il compito di costruirlo.

La lotta per la casa è ampia e trasversale e riguarda i tanti e le tante resi precari dalla logica dello sfruttamento su cui si fonda il nostro sistema economico. L’occupazione di via Asti non è un’occupazione “etnica”, ma è la risposta di un gruppo di persone sgomberate e sfrattate, come troppe altre in questa nostra città. Torino è la seconda città italiana per numero di sfratti emessi in rapporto ai residenti. Nel contesto della crisi e di un mercato degli affitti sempre più inaccessibile, l’occupazione è l’azione diretta di migliaia di persone per avere una casa.
In questi mesi è in atto in tutte le grandi città una guerra contro le occupazioni, che aggrava ulteriormente la precarietà vissuta da migliaia di individui e famiglie.

Le 26 famiglie occupanti devono poter restare nella loro nuova casa, dove deve essere loro riconosciuta la residenza. Senza residenza non possono avere un medico di base e quindi la possibilità di curarsi. Bambini/e e ragazzi/e devono poter continuare a frequentare la scuola.

Nessuno degli attuali abitanti di case e social housing parte del progetto “La città possibile” deve essere sfrattato.

Le famiglie intendono vivere in autonomia, senza essere costrette a dipendere da associazioni.

Devono essere resi pubblici i dettagli delle spese sostenute durante la realizzazione del progetto “La città possibile”.

Per sottoscrivere e firmare l’appello: [email protected]

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Prime adesioni:

Assemblea Gatto Nero Gatto Rosso
Ugo Mattei, Università di Torino
Simona Taliani, Università di Torino
Roberto Beneduce, Università di Torino
Alessandro Ferretti, Università di Torino
Elena Petricola, storica ricercatrice indipendente
Sandro Mezzadra, Università di Bologna
Cristina Morini, Milano
Tonino Lepore, Spazio Fuori Mercato – Genuino Clandestino Milano
Alfio Mastropaolo, Università di Torino
Pietro Saitta, Università degli Studi di Messina
Associazione Frantz Fanon, Torino
Daniele Gaglianone, Torino
Paola Rivetti, Dublin City University
Sandro Busso, Unviersità di Torino
Martina Boero, Torino
Anna Avidano, Torino
Vito di Venosa, Università degli Studi di Bari
Associazione Nazione Rom
Giovanni Semi, Università di Torino
Gianfranco Ragona, Università di Torino
Francesca Morra, Oxford Brookes University
Rete Antirazzista Fiorentina
Rocco Sciarrone, Università di Torino
Gabriele Proglio, European University Institute e University of Tunis “El Manar”
Dimitris Argiropoulos, Università di Bologna
Filippo Maria Paladini, Università di Torino
Timothy Donato, Associazione Nessuno Fuorigioco ONLUS, Torino
Marianna Manca, Università di Torino
[ seguono altre firme… ]