Malgrado gli accordi di riammissione conclusi negli ultimi anni dall’Italia con la Tunisia, con il Marocco, con l’Egitto, con l’Algeria, e da ultimo anche dopo le “intese” informali dell’estate del 2004 con la Libia, continua comunque anche d’inverno, non appena il mare si calma, lo stillicidio di sbarchi a Lampedusa e nel resto della Sicilia.
Dietro la definizione di “clandestino”, si cela una umanità sofferente composta molto spesso potenziali richiedenti asilo o protezione umanitaria ( perché provenienti da paesi come il Sudan, la Somalia, la Sierra Leone, l’Eritrea, persone alle quali si è negato ogni diritto, persino il diritto alla vita. Alcuni cronisti lamentano persino che questi sbarchi sono resi possibili dal miglioramento delle condizioni del mare, quasi che fosse auspicabile un peggioramento delle condizioni meteo e magari un’altra strage. Forse si vorrebbe ancora un macabro effetto “annuncio”, come se i cadaveri sempre più numerosi di “clandestini” siano un prezzo necessario per rendere più efficaci le politiche di contrasto delle migrazioni clandestine.
Un monito per quanti vogliono tentare ancora l’avventura dell’ingresso clandestino verso la Sicilia, un chiaro esempio dei rischi che un passaggio illegale in Italia può comportare.
Un elemento di novità è adesso costituito dalla diffusione del sospetto verso i clandestini tra i quali si nasconderebbero fondamentalisti islamici se non veri e propri terroristi. Si è giunti persino ad inventare i fatti, come le rivolte (mai avvenute) che “i calandestini iscenavano arrivati nel centro di raccolta di Lampedusa per farsi dividere e trasferire a Crotone” ( Corriere della sera del 21 gennaio 2005), quando invece i trasferimenti a Crotone rimangono ancora oggi frutto del fallimento della politica governativa basata sulle espulsioni collettive e sui centri di detenzione amministrativa .
Un altro elemento di novità è costituito adesso dalla presenza a Lampedusa di una delegazione di poliziotti libici, giunti nell’isola per “torchiare” i migranti appena sbarcati, o salvati da una morte sicura, allo scopo non certo di ricostruire le reti criminali che li hanno trafficati, ma per facilitare le pratiche di espulsione collettiva verso la Libia.
Sono anni che le organizzazioni antirazziste hanno denunciato con nomi ed indirizzi le agenzie che trafficano i clandestini a Malta, in Grecia, in Turchia, e quelle agenzie sono ancora in funzione, mentre non si è fatto nulla per combattere la corruzione delle forze di polizia che operano in quei paesi consentendo le partenze ad ondate successive. Ma di questo ai governi che stipulano gli accordi di riammissione non importa nulla, tanto poi a pagare, anche con la vita, sono soltanto dei disperati che non avranno nemmeno testimoni e tribunali per provare gli abusi che subiscono.
In molti casi, gli accordi di riammissione hanno consentito la esecuzione di vere e proprie espulsioni collettive, vietate dalle convenzioni internazionali, in quanto le forme di riconoscimento da parte dell’autorità diplomatica del paese ricevente sono state tanto sommarie da non consentire neppure una attribuzione certa della nazionalità. Altre volte le autorità consolari dei paesi di provenienza hanno potuto visitare richiedenti asilo, anche dopo che la loro istanza era stata accolta, come avvenuto a Caltanissetta ai naufraghi della Cap Anamur nel luglio del 2004, ed i riconoscimenti da loro effettuati hanno comportato il ritiro del riconoscimento del diritto di asilo o della protezione umanitaria. Il contenuto degli accordi di riammissione è peraltro mutato nel tempo, e mentre in origine si prevedeva solo il rimpatrio degli immigrati irregolari di nazionalità del paese che li sottoscriveva, negli ultimi anni si è diffuso il ricorso a clausole che prevedono anche il rimpatrio di cittadini di paesi diversi da quelli firmatari, indipendentemente dal riconoscimento della loro effettiva identità. Da parte delle attuali forze di governo si insiste ancora sul contrasto dell’immigrazione clandestina con lo scambio di funzionari di collegamento e la fornitura di attrezzature e mezzi. Ma gli sbarchi proseguono, seppure in misura più ridotta anche nei mesi invernali, non appena il mare si calma, e non è quantificabile il numero di quanti sono sorpresi dalle tempeste e soccombono alla furia delle onde.
Gli unici risultati della magistratura siciliana nel contrasto dei trafficanti si tradurranno nel solito desolante spettacolo dell’arresto dei più deboli tra gli “scafisti”, di quei migranti che magari accettano di condurre le carrette del mare perché non hanno i soldi per pagare l’intera tariffa imposta dai trafficanti. E intanto le reti del racket presenti sul territorio siciliano si rinforzano sempre di più, perché, più aumenta la repressione, in assenza di possibilità effettive di ingresso per lavoro e di accesso alla procedura di asilo, e più aumentano il profitto dei trafficanti, le intimidazioni subite dalle vittime, la loro omertà ( alla quale sono costrette anche dopo gli sbarchi, quando, piuttosto che incontrare mediatori ed interpreti indipendenti, sono costrette a subire estenuanti interrogatori, adesso anche da parte di agenti di polizie straniere, rinchiusi in centri di detenzione senza alcuna garanzia e senza assistenza legale).
Ancora in queste ore, a Lampedusa come a Crotone, come già nello scorso mese di ottobre, si sta assistendo alla negazione del diritto di presentare domanda di asilo per intere categorie di persone giunte irregolarmente ( come la quasi totalità dei richiedenti asilo) sul territorio italiano, selezionate sulla base della presunta appartenenza nazionale, adesso anche con la “collaborazione” della polizia libica, senza che i singoli abbiano la minima possibilità di accedere alla procedura di asilo.
In questo modo, per un numero non definito di persone si sta negando la applicazione dell’art. 10.3 della Costituzione italiana, norma che per la Corte di cassazione ha una immediata efficacia precettiva e che riconosce l’asilo politico con una estensione ancora maggiore di quanto previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1951.
Si continua a violare la riserva di giurisdizione prevista dall’art. 13 della Costituzione italiana in quanto le misure di trattenimento coattivo e di allontanamento forzato sono state adottate ed eseguite dalle autorità di polizia senza alcuna convalida da parte dell’autorità giudiziaria, convalida che sarebbe stata necessaria comunque a seguito dell’internamento nel centro di permanenza temporanea di Lampedusa secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.105 del 2001, con un orientamento giurisprudenziale ribadito ancora con le più recenti sentenze della Corte pubblicate nel corso del 2004.
Si deve ricordare al riguardo che l’accompagnamento coattivo in frontiera, anche nei casi nei quali non sia preceduto da un trattenimento in un centro di permanenza temporanea è qualificabile come “misura limitativa della libertà personale” come tale soggetta alle rigide previsioni dell’art. 13 della Costituzione.
Appare evidente, anche sulla base dei filmati ripresi dalle televisioni, come a coloro che sono stati bloccati a Lampedusa è negato il diritto ad agire in giudizio “ per tutelare i propri diritti in materia civile, penale ed amministrativa” previsto dagli art. 6 e 13 della CEDU e dall’art. 24 della Costituzione italiana.
Si sta violando l’art. 14 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo che riconosce tutti i diritti previsti dalla stessa Convenzione senza alcuna distinzione basata sul sesso, sul colore, sull’origine nazionale e che afferma che tutti devono avere eguale protezione davanti alla legge. La selezione dei migranti irregolari e la scelta di quelli tra loro da rimpatriare immediatamente in Libia assume carattere discriminatorio proprio per la discrezionalità e la sommarietà delle procedure di identificazione.
La esecuzione dei rimpatri forzati verso la Libia, eseguiti sulla base di intese ministeriali e di accordi operativi a livello di forze di polizia, costituirebbe una ennesima, gravissima violazione dell’art. 10.2 della Costituzione italiana secondo cui “la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Invitiamo ancora una volta i parlamentari europei ed italiani ad essere presenti nei luoghi di sbarco ed a vigilare sugli accordi di riammissione costituendo delegazioni che si rechino in Libia e negli altri paesi di transito.