Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
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Dalle manifestazioni di Napoli e Caserta all’assemblea nazionale proposta a Bologna. Rilancio dei movimenti antirazzisti in Italia.

Intervista con Alfonso De Vito, Collettivo No border di Napoli.

Abbiamo intervistato Alfonso De Vito per parlare con lui delle manifestazioni per i diritti dei migranti svoltesi tra Napoli e Caserta il 20 e il 21 ottobre e per ragionare sulle prospettive del movimento antirazzista in Italia. Un movimento forse disperso dal punto di vista nazionale ma che ha comunque continuato a portare avanti istanze e lotte sui territori. Di fronte all’immobilismo istituzionale e al permanere di un sistema di apartheid, confinamento fisico e sfruttamento economico dei migranti che l’attuale governo di centrosinistra ha solo incentivato, le realtà di base, i migranti stessi e in generale i movimenti si riorganizzano.

D. Sappiamo che ci sono state due grandi manifestazioni a Caserta e Napoli e che quella di Caserta ha portato in piazza addirittura 5000 migranti. Vorremmo capire con te cosa è successo, quali sono state le istanze dei migranti e come si sono svolti questi due giorni

R. Il corteo più grande è stato quello che si è svolto a Caserta che era regionale, poi ce n’è stato uno il giorno successivo a Napoli. C’era l’intenzione all’inizio di legare i due cortei con un gesto un po’ più clamoroso come poteva essere una marcia da Caserta a Napoli ma poi faceva troppo freddo…sono stati comunque dei momenti di particolare partecipazione. Soprattutto a Caserta c’erano almeno 5 o 6000 tra migranti e rifugiati politici, africani e non solo

D. E cosa ha portato queste persone a scendere in piazza insieme da Caserta a Napoli, cosa chiedevano, contro cosa stavano protestando?

R. C’è un elemento fondamentale che riguarda ovviamente la fuoriuscita dalla clandestinità, non dobbiamo dimenticare che in Italia le procedure sull’asilo rimangono un terno al lotto, non c’è una legge organica sull’asilo costituzionale e dall’altro lato abbiamo la Bossi-Fini che ha fatto perdere il soggiorno a molta gente. C’è un gran numero di persone che vive in condizioni di clandestinità che poi significa tutta una serie di gravi problemi come lo sfruttamento del lavoro nero ecc.
Questo era sicuramente l’elemento chiave che li ha spinti a mobilitarsi. Dopo di che c’erano anche i contenuti che stanno dentro i percorsi che i movimenti antirazzisti hanno costruito in questi anni e cioè la chiusura delle galere etniche, la cancellazione della Bossi-Fini e in generale delle norme criminogene nei confronti dei migranti. La rivendicazione dei diritti di cittadinanza, a partire da quello di voto, a prescindere che lo si voglia esercitare o meno perché è chiaramente un elemento di condizionamento. Assistiamo a campagne elettorali costruite contro i migranti come capro espiatorio della paura sociale di un paese sempre più impoverito.
Ci sono quindi i percorsi di questi anni che hanno avuto convergenza in questo momento dopo una fase difficile. Con l’avvento del governo di centrosinistra tutti sappiamo che i movimenti antirazzisti come ambito di coordinamento nazionale hanno avuto una fase di grave afasia, per usare un eufemismo. C’è stato un lungo immobilismo sul piano centrale. Se vogliamo queste iniziative locali hanno un po’ tenuto in vita il conflitto in tutti i territori. Questo appuntamento di Caserta era costruita da agosto

D. Infatti una cosa che si nota è proprio che il 20 ottobre è il giorno in cui si è svolta anche la manifestazione dei partiti cosiddetti dell’estrema sinistra del governo a Roma ed era una manifestazione in cui c’era anche uno spezzone dei migranti in cui potessero rivendicare dei diritti parlando con il governo perché era una manifestazione che interloquiva con il governo. Invece i migranti di Napoli e Caserta hanno scelto di non esserci ma di percorrere invece una strada parallela. Perché?

R. Personalmente non ci sarei andato comunque, ma per spiegare fino in fondo faccio un esempio. La realtà antirazzista di Caserta è una realtà distante per esempio da Rifondazione Comunista ma molti dei compagni hanno avuto in passato, forse oggi non più, la tessera del partito. Non è una realtà chiusa al dialogo ed è anche caratterizzata da un certo pragmatismo. Quindi, se ci fosse stata la possibilità, attraverso la partecipazione alla manifestazione di Roma di portare a casa dei risultati consolidati in un modo o nell’altro, non credo ci sarebbe stati altri ragionamenti a frenarla. Quello che l’ha impedito è che di fatto nella manifesatzione del 20 ottobre non era né costruito né previsto un ruolo vero rispetto alle questioni che interessano i migranti. Questa è la realtà. Era sostanzialmente una manifestazione che si muoveva dentro la ridefinizione dell’architettura parlamentare e istituzionale, era la risposta al Pd. Ma queste sono cose che tutto sommato a chi non ha nemmeno il diritto di voto penso interessino pochissimo. È fondamentale quando si dialoga con i migranti la chiarezza degli obiettivi, al di là della loro difficoltà, e la trasparenza dei percorsi.

D. Quindi sembra veramente che le lotte per la libertà di circolazione, per i diritti dei migranti e per la chiusura dei cpt debbano e possano in questo momento soltanto ripartire dal basso, dai movimenti antirazzisti che certo non hanno bisogno di rappresentanze parlamentari. E infatti vediamo che già il 27 e il 28 ottobre ci saranno ben due date programmate a Brecsia e a Roma e che, dopo le morti dei due ragazzi che si sono suicidati dentro il Cpt di Modena gestito dalla Misericordia il cui presidente è Giovanardi, è stato lanciato un appello dalla realtà di Gradisca d’Isonzo che ha sempre lottato contro i Cpt, perché il 9 novembre, giorno dello sciopero contro la precarietà, diventi anche un giorno di mobilitazione contro la maggiore espressione della precarietà esistenziale in questo momento che è quella dei migranti e dei migranti detenuti dentro i Cpt soprattutto. Nel frattempo ci si sta riorganizzando, sappiamo che da Bologna è partito un invito per costruire una nuova assemblea nazionale. Quindi sembra che in questo momento i movimenti antirazzisti, partendo dalle realtà locali, dalle reltà vere, stiano cercando di nuovo di mettersi in rete in Italia.

R. Vorrei intervenire su varie cose che hai detto. La prima riguardo ai Cpt, ai centri di di identificazione, proprio come strumenti di ricatto sociale nei confronti del precariato migrante. L’esempio secondo me più clamoroso è quello di Borgo Mezzanone, vicino Foggia. Sono stato lì questa estate per intervistare i migranti che vengono sfruttati a tre euro ogni due quintali e mezzo di pomodoro raccolto, ed è singolare la vicenda del centro di identificazione-cpt di Borgo Mezzanone, che ora diventerà fra l’altro uno dei più affollati d’Italia. Questo centro di dientificazione, dove vengono indirizzati una parte di coloro i quali fanno domanda di asilo politico, guarda caso si riempie nel periodo che va da luglio a ottobre, cioè nella fase in cui ci sono le raccolte, e guarda caso è uno dei pochi d’Italia dove dal primo momento c’è stata la possibilità di poter uscire di giorno. E cosa pensi che facciano i migranti che stanno lì e aspettano un mese? Quel centro fa da polmone per le raccolte del territorio. Insomma c’è un’integrazione di queste strutture con quello che è un meccanismo più complessivo di sfruttamento del lavoro migrante che in certi momenti è davvero sconcertante.
Per quanto riguarda il 27 e il 28, c’è stato un primo incontro in cui una serie di segmenti del movimento antirazzista si sono confrontati, e in qualche modo queste manifestazioni in Campania, quella di Brescia del 27 e quella di Roma del 28 ottobre cercano di dare una lettura complessiva nell’ottica di ricostruire non solo una mobilitazione e un conflitto di carattere nazionale su questi terreni, ma anche uno spazio di consultazione il cui elemento distintivo per quanto mi riguarda non è tanto il punto di vista sul governo di centrodetsra o di centrosinistra, ma è certamente l’autonomia.
Quello che ha sconcertato molti in questa fase è che l’attendismo e il tatticismo, in cattiva o in buona fede, non credo sia fondamentale distinguerlo, da parte di un governo in cui una parte evidentemente riponeva forse ingenuamente delle forti aspettative ha avuto ripercussioni sulla capacità di conflitto dei migranti che vive ancora una fase di transizione tra un protagonsimo del tutto autonomo e l’appoggio alle strutture già organizzate e ai movimenti sul territorio.
Per me il criterio distintivo deve essere proprio l’elemento di autonomia, non è un problema di mettere virgole alle piattaforme o alle parole d’ordine, ma la capacità di creare canali di espressione concreta per quel bisogno di conflitto, di riaffermazione, di accesso alla cittadinanza che non può star dietro a tutti i tatticismi della politica professionale.

D. Anche perché l’effetto diretto di questo sistema violento che dall’alto nessuno sta cambiando è lo sfruttamento, l’emarginazione, ma soprattutto i morti che continauano alle frontiere come all’interno dei Cpt, come i morti di Modena della settimana scorsa.

R. Certo, un episodio gravissimo e purtroppo non isolato né in Europa, su cui per lo meno c’è un po’ di documentazione, né, in maniera molto più grave nei cpt esternalizzati soprattutto nel sud del Mediterraneo. Basta vedere quel che succede, e lo sappiamo solo perché c’è qualche associazione che se ne occupa, all’interno ad esempio dei carceri libici dove sono rinchiusi gli eritrei.
L’altro elemento secondo me molto grave è che il protarsi di questa situazione di apartheid cambia le condizioni in cui il movimento antirazzista deve svolgere la sua battaglia. La pratica formale, economica, sociale, politica dell’apartheid poi costruisce anche la sua cultura, costruisce anche tutta una camplessa composizione di interessi intorno a questa discriminazione sociale dei migranti e diventa più complicato scardinarla.
Vorrei solo ricordare che oggi in Italia esiste qualcosa come un milione di donne dell’est Europa che a salari bassissimi sono qui ad ammortizzare la devastazione del welfare che è stata fatta negli ultimi vent’anni. Probabilmente senza il loro sfruttamento questo modello sociale andrebbe veramente in crisi.
È quindi evidente che ci sono forti interessi nel mantenere questa condizione di precarietà lavorativa, giuridica ed esistenziale di queste componenti migranti.
Un altro esempio che mi sta particolarmente a cuore è quel passaggio, fatto abbastanza a cuor leggero secondo me anche dal centro sinistra, dall’ipotesi di regolarizzazione o a strumenti di regolarizzazione a regime, all’utilizzo del decreto flussi come polmone di fuoriuscita dalla clandestinità. Ciò ha introdotto un’ulteriore stratificazione e discrminazione etnica all’interno del mercato del lavoro per chi ha meno accesso a questa forma di regolarizzazione. Per esempio per chi proviene dall’Africa o da certi paesi dell’Asia è più difficile materialmente anche solo pensare di tornare a casa, e queste componenti si trovano oggi a rappresnetare forse la quota maggioritaria della clandestinità giuridica e anche le condizioni più discriminate sul lavoro, sulla sicurezza, la salute ecc.

D. Effettivamente è tutto un sistema, e tantissimi in tutta Italia cercano di denunciarlo da tanto tempo, che non mira in realtà ad un’esclusione tout court di queste persone dalla nostra società ma piuttosto ad una inclusione differenziale a determinate condizioni per appunto poter permettere l’esistenza di regimi veri di apartheid e di sfruttamento.
Ti ringraziamo e ti salutiamo sperando veramente che questo rilancio che sembra esserci in questi giorni, in questo mese, raggiunto il livello di sopportazione da parte dei movimenti in Italia che si battano per la chiusura dei cpt, la libertà di circolaizone e la fine dello sfruttamento e dell’apartheid dei migranti, possa veramente ripartire e rimettersi in rete e fare ricominciare un conflitto dal basso che possa anche sopperire a tutti i vuoti istituzionali che ci sono in questo momento.

R. Si, credo sia fondamentale oltre le moblitazioni che ci saranno, il 9 novemre e prima il 27 e il 28 ottobre, proprio ricostruire sulla base di queste mobilitiazioni un principio di confronto sulla base dell’autonomia rispetto al governo (che ora cade pure e quindi il problema è risolto alle fondamenta…), ricostruire uno spazio di consultazione delle realtà antirazziste che dovrebbe essere addirittura di dimensione europea perché si è un po’ perso il filo di questi processi. Credo che anche l’appuntamento di Bologna, relazionandosi anche a quello che c’è stato a Roma a settembre e alle manifestazioni di fine ottobre, sia fondamentale per rimettere in piedi questo spazio di consultazione, di iniziativa e di supporto al protagonismo dei migranti e dei rifugiati.