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da Il Resto del Carlino del 15 gennaio 2007

Ascoli – Un giovane pugile nigeriano esule politico a Martinsicuro chiede aiuto

Tradito dalla box e da false promesse, ha rischiato di morire sul ring per “conquistare” un passaporto francese. Ora vive di stenti, menomato e da esule politico a Martinsicuro, ospite della sorella che lavora in una lavanderia.
Mamadou Sow ha 29 anni ed ha già bruciato tutte le tappe. E’ stato abbandonato dalla moglie, non vede da sette anni i tre figli, di 7, 10 e 12 anni e tira avanti con piccoli aiuti della comunità Islamica della zona, oltre a quello che riesce ad avere dalla sorella, con la quale abita da oltre due anni. Cacciato dalla Francia, dove aveva disputato gli ultimi dieci combattimenti, ora chiede giustizia al Club che l’aveva invitato e alla Federazione Pugilistica transalpina.

Il suo destino è nelle mani dell’avvocato sambenedettese Renzo Vespasiani, che ha avviato una serie di pratiche, sulla base dei referti medici e degli esami diagnostici, per venire a capo di una situazione davvero complessa. Mamadou Sow, nato a Dakar (Senegal) nel 1975, ha subito danni al cervello con ripercussioni agli arti. Le braccia, che qualche anno fa lasciavano partire colpi micidiali, oggi sono tremanti. Le gambe, che gli permettevano di “danzare” sul ring, lo fanno barcollare.

Mamadou ha iniziato con la box all’età di 17 anni, nella categoria Super leggeri, Kg 63. E’ stato Leone d’Oro del Senegal, campione d’Africa e 6° nella classifica Mondiale. Ha combattuto in Africa 45 match, tutti vinti. Una giovane promessa. Attorno a lui nacque subito un forte interessamento e nel 2000 fu accompagnato a Cuba per sostenere due mesi di allenamenti, poi due settimane in Egitto, prima di approdare a Parigi, ospite di un suo amico campione Europeo. «Dopo due settimane – racconta Mamadou – mi fecero incontrare l’allenatore del Club che mi voleva nella sua equipe, il quale mi promise di avviare subito le pratiche per farmi avere il passaporto francese.
Nel frattempo mi allenavo e combattevo. Fui selezionato con la rappresentativa francese ed il primo incontro lo disputai, e vinsi, proprio contro un pugile italiano. Ricordo che mi fecero disputare altri dieci combattimenti, dei quali 6 vinti, 2 pareggiati e 2 persi, ma con pugili che spesso erano di categoria superiore alla mia, anche oltre i 70 kg di peso».
Poi Mamadou racconta, con pochissime parole, la tragedia vissuta contro un pugile irlandese. «Il mio avversario non salì neppure sulla bilancia. Era molto più grande di me. Accettai di combattere sempre con il miraggio del passaporto francese, ma finii K.O. ed ecco come sono ridotto oggi». Mamadou Sow, nel tempo, è stato sottoposto a una serie d’accertamenti radiologici e visite neurologiche che hanno confermato la gravità dei danni subiti a seguito del K.O. con il pugile irlandese che pesava 15 chili più di lui. «Tutti mi furono vicini – aggiunge Mamadou – avevo una casa e i mezzi per andare avanti.

Poi la mia storia finì sui giornali così si affrettarono a cacciarmi dalla Francia, non rinnovandomi il permesso di soggiorno. Ho chiesto asilo politico all’Italia ed ora vivo con mia sorella, ma non posso lavorare. Mia moglie mi ha lasciato e non vedo i miei figli da sette anni perché non posso tornare a Dakar. Spero che l’avvocato Vespasiani riesca ad ottenere giustizia». Intanto Mamadou deve andare avanti. Accetterebbe volentieri un aiuto dal Comune, dagli Enti preposti ed anche da privati, mettendo a disposizione la sua esperienza per le giovani leve appassionate di box, come aveva già fatto per il Club “Ring Jean Claude Boutter” di Hussigny Godbrange, prima di dover lasciare la Francia.