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Assistenza sanitaria per gli irregolari e diritto alla prestazione di protesi

L’art.35, comma 3, del T.U. contiene una norma di chiarissima formulazione, peraltro rimasta intatta anche a seguito delle modifiche introdotte dalla L.189/02 (ed é appena il caso di rilevare che nemmeno il nuovo regolamento di attuazione di cui al D.P.R.334/04 ha toccato minimamente l’argomento in questione): tutte le cure non solo urgenti ma anche essenziali sono dovute allo straniero non in regola con le disposizioni in materia di ingresso e soggiorno, ancorché privo di mezzi di sostentamento.

Al riguardo, la circolare n°5/2000 del Ministero della Sanità non opera alcuna forzatura interpretativa bensì precisa puramente e semplicemente cosa si possa intendere per cure urgenti e per cure essenziali, sulla base delle più comuni conoscenze della medicina: “per cure urgenti si intendono le cure che non possono essere differite senza pericolo per la vita o danno per la salute della persona; per cure essenziali si
intendono le prestazioni sanitarie, diagnostiche e terapeutiche, relative a patologie non pericolose nell’immediato e nel breve termine, ma che nel tempo potrebbero determinare maggiore danno alla salute o rischi per la vita (complicanze, cronicizzazioni o aggravamenti). È stato, altresì, affermato dalla legge il principio della continuità delle cure urgenti ed essenziali, nel senso di assicurare all’infermo il ciclo terapeutico e riabilitativo completo riguardo alla possibile risoluzione dell’evento morboso”. E’ evidente che la nozione astratta di “cure essenziali” va poi applicata nella pratica, come si dice, secondo scienza e coscienza del personale sanitario, o per meglio dire in base ad una discrezionalità tecnica, poiché la
valutazione sul rischio di aggravamento o cronicizzazione va fatta caso per caso e in linea teorica potrebbe condurre a determinazioni opposte anche a fronte dello stesso tipo di patologia, a seconda, appunto, dello specifico quadro clinico del paziente. Tuttavia, é altrettanto pacifico che nella definizione di cure si intendono tutte le prestazioni di tipo sanitario e che le prestazioni protesiche fanno parte integrante di un ciclo terapeutico e riabilitativo, potendo quindi rientrare normalmente nell’ambito delle prestazioni di tipo essenziale. Sul punto, qualsiasi ulteriore considerazione o distinzione va giustamente lasciata alla scienza medica.

Stante l’inequivoca formulazione della norma, dunque, si tratta allora di valutare se per quanto attiene lo specifico ambito delle prestazioni protesiche vi siano altre disposizioni dalle quali si possa trarre un’eslcusione o limitazione del diritto alla fruizione. Anzitutto, non essendo discutibile la portata innovativa dell’art.35 T.U. –e per converso la sua efficacia abrogativa di norme preesistenti che contenessero
disposizioni incompatibili– si deve avere riguardo alla sola ipotesi che eventuali disposizioni successive all’entrata in vigore del T.U. abbiano introdotto eventuali limitazioni (analogamente a quanto é accaduto, ad
esempio,per il generale diritto all’equiparazione in materia di prestazioni di assistenza sociale di cui all’art.41 T.U., parzialmente abrogato dalla L.388/00). Ma per l’appunto, non solo non risulta che siano intervenute norme espresse in tal senso, ma nemmeno risulta siano sopravvenute norme che anche solo in via interpretativa possano ritenersi incompatibili con l’ampia e incondizionata tutela sancita dall’art.35 T.U.. Del tutto inconferente, infatti, é il richiamo al D.M. 27 agosto 1999 n°332, e non solo perché sarebbe di per sé
assurdo ipotizzare che un decreto ministeriale possa prevalere su una legge o addirittura comportare un effetto abrogativo, ma in ogni caso perché l’art.2 di detto decreto non definisce affatto il diritto sostanziale alle prestazioni protesiche (distinguendo chi ha diritto alle prestazioni protesiche e chi no) ma si limita semplicemente a classificare gli “aventi diritto” in relazione alle diverse procedure collatearali di accertamento dell’invalidità e/o di altre provvidenze, precisando i casi in cui la prestazione é dovuta anche in attesa di riconoscimento o di accertamento.
In particolare, fra le diverse ipotesi previste all’art.2 citato, alla lettera e) del comma 1, si prevede l’erogazione delle prestazioni protesiche ai “ricoverati in una struttura sanitaria accreditata, pubblica o privata, per i quali il medico responsabile dell’unità operativa certifichi la contestuale necessità e urgenza dell’applicazione di una protesi, di un’ortesi o di un ausilio prima della dimissione, per l’attivazione tempestiva o la conduzione del progetto riabilitativo, a fronte di una menomazione grave e permanente.

Contestualmente alla fornitura della protesi o dell’ortesi deve essere avviata la procedura per il riconoscimento dell’invalidità.”. Sembra evidente che questa sia l’ipotesi in cui può trovare normale soluzione anche il fabbisogno dello straniero in condizione irregolare, ovviamente a prescindere dalla impercorribilità della collaterale procedura di accertamento di invalidità (di certo, non si potrebbe sostenere che siccome non c’é il diritto alla pensione di invalidità allora non c’é nemmeno il diritto alle prestazioni di assistenza
sanitaria sotto forma di protesi !).

Infine, sembra parimenti infondato il riferimento al requisito asseritamente indefettibile della iscrizione anagrafica o residenza, che dir si voglia, che a sua volta richiede un permesso di soggiorno in corso di validità, anzitutto perché la legge 30 marzo 1971, n. 118 –che sembra invocata a sostegno della tesi qui contestata– non prevede espressamente alcuna preclusione per i non residenti, puramente domiciliati
o senza fissa dimora (peraltro, non dovrebbe fare alcuna differenza che si tratti di italiani o stranieri, sicché si dovrebbe ammettere, seguendo la tesi contestata che gli italiani senza fissa dimora non abbiano il diritto
alle protesi, ma non mi risulta che alcuno abbia mai sostenuto pubblicamente una tale tesi); essa si limita semplicemente a definire la competenza territoriale su base provinciale delle commissioni preposte all’accertamento dell’invalidità, il che non c’entra nulla col diritto alle prestazioni sanitarie. Semmai, la stessa legge citata conferma che l’erogazione di protesi é a tutti gli effetti una prestazione di assistenza sanitaria (si
veda l’art.3 che parla di “assistenza sanitaria protesica”), che in quanto tale deve essere garantita anche allo straniero irregolare, nella misura in cui la protesi stessa venga considerata nel caso di specie dal medico
curante come un cura “urgente o comunque necessaria” (ovviamente, nel senso di cui alla circolare citata).

Da ultimo, è appena il caso di sottolineare che il tenore letterale degli artt.34 e 35 T.U. permette di eslcudere nel modo più categorico che possa essere rifiutata una qualsivoglia prestazione sanitaria –sia ai regolari che agli irregolari– in ragione della mancanza di iscrizione anagrafica, essendo assolutamente pacifico che in tal caso la competenza territoriale viene certamente individuata in base al domicilio o alla dimora di fatto.