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Direttiva 2003/9/CE

Legge comunitaria 2003 "norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli stati membri"

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Direttiva Accoglienza 2003/9/CE

Il Consiglio dell’Unione Europea con la direttiva 2003/9/CE del 27 gennaio 2003 stabilisce norme minime sull’accoglienza, negli Stati membri, dei richiedenti asilo.
La direttiva si applica a tutti i cittadini di paesi stranieri ed agli apolidi che presentano domanda di asilo alla frontiera o nel territorio di uno stato membro, purché siano autorizzati a soggiornare in tale territorio in qualità di richiedenti asilo, nonché ai familiari, se inclusi nella domanda di asilo.

Gli Stati membri della Comunità Europea dovranno entro il 6 febbraio 2005 conformare le proprie disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative alla direttiva in esame.
La presente direttiva non si adotta quando si applicano le disposizioni della Direttiva 2001/55/CE del Consiglio del 20 luglio 2001 riguardante norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati stranieri che non possono tornare nel proprio Paese d’origine in condizioni sicure e stabili a causa della situazione nel Paese stesso.

La direttiva 2003/9/CE è il primo tassello per l’istituzione di un regime europeo comune in materia di asilo come convenuto durante il Consiglio europeo di Tampere dell’ottobre 1999.

La direttiva si pone come obiettivi:

1) istituire norme minime di accoglienza onde garantire ai richiedenti asilo un tenore di vita omogeneo in tutti gli Stati membri;

2) impedire i movimenti dei richiedenti asilo dovuti alle diverse regole esistenti negli Stati membri.
Riguardo al nucleo familiare del richiedente asilo, gli stati membri adottano, con il consenso dello stesso, misure idonee a mantenere l’unità del nucleo familiare esistente nel territorio. Per nucleo familiare si intende il coniuge (ovvero il convivente) e i figli minori.

Gli Stati membri possono limitare la circolazione del richiedente asilo: la direttiva introduce una serie di ipotesi (ad esempio per motivi di pubblico interesse, ordine pubblico o, ove necessario, per il trattamento rapido e il controllo efficace della domanda) che consentono agli stati membri di imporre al richiedente asilo di permanere in una determinata zona.

Riguardo al lavoro, il richiedente asilo può accedere al mercato del lavoro nel caso in cui, dopo un anno dalla data di presentazione della domanda, non sia pervenuta una decisione e il ritardo non dipenda dallo stesso. In ogni caso, ogni stato membro decide a quali condizioni è concesso all’interessato l’accesso al lavoro.

Gli Stati membri provvedono a che i richiedenti asilo, autorizzati a soggiornare negli stati membri, abbiano accesso alle condizioni materiali di accoglienza (assistenza sanitaria, alloggiativa, alimentare, eccetera).
Gli Stati membri possono ridurre o revocare le condizioni di accoglienza qualora il richiedente asilo non abbia dimostrato di aver presentato la sua domanda non appena ciò fosse ragionevolmente fattibile dopo il suo arrivo nello stato membro.

Nella determinazione delle condizioni generali di accoglienza, gli Stati membri non devono trascurare la specifica situazione di persone vulnerabili, quali i minori, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, le persone che hanno subito forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale.

Gli Stati membri dovranno garantire che avverso le decisioni negative relative alla concessione di benefici, il richiedente asilo possa proporre ricorso o revisione dinanzi ad un organo giudiziario.
In Italia, la legislazione attuale consente al richiedente asilo di presentare anche unitamente alla domanda di asilo, una richiesta in carta libera di erogazione di un contributo di prima assistenza.

L’ufficio di pubblica sicurezza provvede a trasmettere la domanda alla Prefettura competente territorialmente, la quale assunte informazioni volte ad accertare il reale stato di indigenza dell’interessato, autorizza l’erogazione del contributo previsto per un massimo di 45 giorni.
La concessione del contributo deve essere disposta dalla Prefettura entro 90 giorni dalla presentazione dell’istanza.
Contro il diniego del contributo, il richiedente può presentare, entro 30 giorni dalla notifica, un ricorso, in carta libera, diretto al Ministero dell’Interno.