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da Il Manifesto del 27 maggio 2006

Immigrati, passa la legge di Bush

Franco Pantarelli

New York – Il Senato americano ha votato la sua legge sull’immigrazione e lo ha fatto con una maggioranza solida, 62 sì contro 36 no, che ha comportato per la prima volta una clamorosa spaccatura fra i repubblicani. Di quei 62 voti favorevoli, infatti, 23 sono stati di senatori repubblicani che sono andati ad aggiungersi ai 38 democratici e all’unico indipendente. Ted Kennedy ha definito la nuova legge «la più comprensiva, ben congegnata e realistica della nostra storia». Ma in realtà il voto di mercoledì sera non è stato il momento finale di questa storia. Anzi la sua fase più impervia comincia proprio adesso.

Già pochi minuti dopo il voto, pur fra i tanti sorrisi che i senatori si scambiavano, un po’ tutti ammettevano che per difficile che possa essere stato l’approdo a questa legge, le difficoltà maggiori saranno quelle di «portarla alla firma del presidente». Prima che George Bush possa dar vita alla cerimonia della firma, la legge approvata dal Senato dovrà infatti essere «armonizzata» con quella approvata dalla Camera dei deputati nel dicembre scorso e fra i due testi la differenza è quasi la stessa che c’è fra una dichiarazione di guerra e un trattato di alleanza.

Il punto più spinoso è sicuramente quello della possibilità di acquisire la cittadinanza americana. Il testo del Senato prevede che un immigrato illegale, dopo due anni di permanenza negli Usa, possa intraprendere la trafila burocratica che alla fine – se non avrà commesso reati, se avrà regolarmente pagato le tasse e se si sarà applicato nell’apprendimento della lingua inglese – si concluderà con l’ottenimento della cittadinanza. Nel testo della Camera non solo di questa possibilità non c’è neanche l’ombra, ma addirittura quelli che lo hanno approvato hanno già annunciato una lotta senza quartiere. La loro legge dice che la semplice presenza negli Usa senza documenti fa di un immigrato un criminale e una norma come quella prevista dal Senato sarebbe un’amnistia o addirittura un premio. E da quando in qua i criminali vengono premiati?
Poi c’è l’idea dei guest workers, i «lavoratori ospiti» tirata fuori a suo tempo dallo stesso George Bush. Lui però l’aveva concepita come una sorta di «deportazione ritardata», nel senso che chi si trova illegalmente negli Stati Uniti avrebbe avuto un permesso provvisorio alla scadenza del quale sarebbe stato costretto ad andarsene. Il Senato ha corretto l’idea e ha destinato lo status di guest worker a 200.000 nuovi immigrati l’anno, ai quali comunque viene consentito a un certo punto di chiedere di diventare cittadini americani. E anche su questo la differenza con il testo della Camera è abissale.

C’è poi il problema di «chi sono» i criminali in questa vicenda. Secondo il testo del Senato sono i «coyotes», come vengono chiamati i trafficanti che per una somma che può arrivare anche a 2.000 dollari portano gli aspiranti emigranti e poi li mollano nel deserto. Per quelli sono previste delle pene, ma la legge è molto attenta a distinguere fra loro e quelli che prestano agli immigrati assistenza umanitaria, trovando loro alloggio, curandoli se si ammalano, eccetera. Per la Camera invece non c’è distinzione. Assistere gli immigrati è sempre un crimine e come tale va punito.

A occhio, l’unica differenza che appare «colmabile» è quella sul muro da costruire. Il testo della Camera lo vuole lungo 700 miglia (circa mille chilometri), quello del Senato ha ridotto le miglia della metà, 350. Messo così sembra un negoziato da «venditore di tappeti» e un compromesso sembra decisamente possibile. Tanto più che Bush ha assicurato che schiererà la guardia nazionale a difesa dei confini.