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da repubblica.it del 6 giugno 2006

Immigrati schiavi, l’inferno di Cassibile. Zanotelli: “Una vergogna per l’Italia”

E la polizia viene a controllare solo quando la raccolta è finita.

dal nostro inviato GIOVANNI MARIA BELLU

CASSIBILE – La bidonville di Cassibile è riuscita a sorprendere persino uno dei maggiori esperti mondiali di insediamenti umani degradati. “Mi vergogno di essere cristiano e di essere italiano”, ha detto il missionario comboniano Alex Zanotelli dopo aver visitato il boschetto di olivi, mandorli e carrubi che tutti gli anni, da aprile a giugno, diventa il rifugio di centinaia di immigrati, per buona parte clandestini, impiegati come schiavi nella raccolta delle patate. A guidarlo nel tour, il parroco siracusano Carlo D’Antoni e Guilhem Molinie, coordinatore per la Sicilia di “Medici senza frontiere”.

Padre Zanotelli arriva verso le 7 di sera. Prima di tutto, sosta davanti alla tenda-ambulatorio. È qui che il termine “schiavi” – che potrebbe apparire un’iperbole – ha una conferma diagnostica. Oggi, per esempio, hanno chiesto d’essere visitati quattro giovani africani colpiti da lombosciatalgia. Questa patologia rappresenta il 20-30 per cento del totale delle malattie del campo. È causata dal fatto che i raccoglitori di patate devono stare con le gambe dritte o appena piegate, la schiena curva, e soprattutto devono lavorare utilizzando sempre entrambe le mani. Chi si accoscia viene severamente redarguito. Rischia di perdere il posto. Così per otto ore, quando va bene, ma a volte dieci e anche dodici, se c’è da fare lo straordinario.

Il tour prosegue di tenda in tenda, tra i sentieri che seguono l’orografia dolcemente mossa di questo altopiano. “Siamo nell’area dei nordafricani – spiega Molinie – Sono circa 150, quasi tutti irregolari”. Le tracce dell’incendio di lunedì pomeriggio sono ben visibili. Una tenda è completamente circondata dalla terra annerita e non si capisce come abbia fatto a restare in piedi. “Rispetto alle bidonville africane – spiega padre Zanotelli a conclusione di un breve colloquio con due ragazzi marocchini che si riposano su un vecchio materasso sistemato all’esterno di una baracca realizzata con un telo di plastica, la porta di una doccia e alcuni pezzi di lamiera – c’è una differenza. Là le persone sono più accatastate. Qua hanno più spazio”. L’altra differenza è che dovremmo essere in Italia.

Il missionario ce l’ha ben presente. Da adesso poi conclude ogni colloquio con lo stesso breve discorso, che suona sempre così: “Ragazzi, siete in una condizione vergognosa. Ma contiamo su questo nuovo governo perché spazzi via una legge disumana e immorale come la Bossi-Fini. Faremo tutte le pressioni possibili perché ciò avvenga”. È un uomo minuto, gli occhi chiari, l’aspetto fragile. La durezza dei toni sorprende gli immigrati: “Inshallah”, dice uno di loro. “Inshallah”, risponde lui sorridendo.

Secondo dati raccolti dalla Rete antirazzista, a Cassibile ci sono state due operazioni di polizia consecutive per individuare i clandestini. Una il 31 maggio, l’altra il primo giugno. Sono state identificati oltre duecento degli ospiti della bidonville. C’è chi fa notare che queste operazioni avvengono nella fase finale della raccolta delle patate, quando la domanda di manodopera diminuisce. E comunque non colpiscono mai i “caporali”, cioè i reclutatori dei nuovi schiavi, quelli che intascano 15 dei 50 euro che costituiscono la paga giornaliera e controllano che i lavoratori stiamo curvi.

Tra i presenti c’è anche Antonio Rotondo, deputato Ds, che mostra il testo di un’interrogazione parlamentare che ha appena scritto. Chiede “per quale ragione l’attività repressiva è stata rivolta esclusivamente nei confronti dei lavoratori immigrati stagionali e mai nei confronti dei datori di lavoro”.

Padre Zanotelli ora osserva un rettangolo di grosse pietre all’interno del quale sono state sistemati dei pezzi di cartone. È la moschea. Un lato del rettangolo è spezzato nelle parte centrale da alcuni sassi che formano una punta. È il “mihrab” e indica la Mecca. Casualmente la direzione coincide con quella del mare da cui quasi tutti gli ospiti della bidonville sono venuti. Chi pochi mesi fa, chi da anni. E questi ultimi vagano, da eterni clandestini, da un capo all’altro del meridione.

Siamo nel settore Africa subsahariana e il missionario, che è stato otto anni in Sudan prima di trascorrerne quattordici in Kenya, saluta nella loro lingua un gruppo di ragazzi seduti per la cena attorno a un tegame pieno di riso bollito. “Cosa hai fatto da quando sei qui?”, domanda a uno di loro. “Prima le arance, poi le patate, poi i pomodori” è la risposta.

A parte il mal di schiena, le altre patologie del campo sono ambientali: disturbi gastrointestinali, malattie dermatologiche causate dalla scarsa igiene, scabbia. L’acqua è a un chilometro di distanza, nella fontana del paese. “Abbiamo sistemato quindici docce e altrettanti servizi igienici – spiega Molinie – Siamo rimasti dentro gli standard minimi previsti dall’Onu”. Si riferisce ai campi per rifugiati del Terzo Mondo. “Ma non si può trovare acqua, scavare un pozzo?”, domanda il missionario. È il suo unico momento di distrazione. Siamo in Italia e questo è un terreno privato. Impossibile realizzare opere permanenti. La stessa tenda-ambulatorio di Medici senza frontiere è stata denunciata dal proprietario del boschetto per l’occupazione abusiva del suolo.