Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Intervento di Sandro Mezzadra al forum “L’europa non è una fortezza: i diritti dei migranti”

Credo che prima di tutto sia estremamente importante sottolineare un dato che è unanimemente sottolineato dalla ricerca, per così dire “scientifica”, sull’argomento: le migrazioni di fronte a cui siamo, le migrazioni globali, presentano dei fortissimi elementi di novità rispetto al passato.

Per fare proprio un elenco “per titoli” di alcuni di questi elementi bisogna ricordare almeno la moltiplicazione dei modelli migratori, dei progetti migratori. L’accelerazione forte dei flussi migratori, il cambiamento della loro composizione. Pensate a quell’insieme gigantesco di movimenti sociali che stanno dietro quella che viene definita la “femminilizzazione” delle migrazioni contemporanee e che emerge in modo plateale quando guardiamo in modo particolare alle migrazioni che hanno luogo all’interno del cosiddetto “sud del mondo”.
Cresce l’imprevedibilità delle direzioni dei flussi migratori e di fronte a questi elementi di novità è un intero sugli effetti di vera e propria distruzione di vite di donne e di uomini di queste politiche, di questi modelli, di “management” che appunto vengono presentati molto spesso come modelli semplicemente tecnici oppure addirittura carichi di valenze umanitarie.
Quando parliamo di “management globale delle migrazioni” dobbiamo avere sempre di fronte agli occhi l’immagine del Mediterraneo ridotto ad un enorme cimitero.
Può sembrare retorico ma invece ci costringe a tenere sempre in primo piano la drammaticità dei problemi che ci sono posti, appunto, dai movimenti migratori.
Tuttavia, non possiamo limitarci a questo. Non possiamo limitarci a ricostruire i modelli di governo e controllo delle migrazioni.
Dobbiamo guardare alle migrazioni anche da un altro punto di vista. Dobbiamo guardare alle migrazioni come a movimenti sociali complessi, innervati da domande soggettive di trasformazione, di conquista di una vita migliore da parte di centinaia di migliaia di uomini e di donne su questo pianeta.

Il governo Berlusconi assumendo la presidenza dell’Unione europea si è proposto come obiettivo quello di determinare un decisivo passo avanti nell’affinamento della variante europea del modello globale di governo delle migrazioni di cui ci ha parlato Frank.

Credo che noi per essere all’altezza della sfida lanciata da Berlusconi dovremo essere in grado di fare un salto di qualità nella nostra capacità di leggere i movimenti migratori come movimenti sociali, nella nostra capacità di trovare linguaggi, pratiche, immaginari, capaci di interloquire con questi movimenti sociali.

In Europa e in particolare in Italia, a lungo si è detto che non esiste una politica europea delle migrazioni.
Bene, questo è semplicemente falso.
Enrica ci ha mostrato come in realtà un modello di governo delle migrazioni a livello europeo si sia affermato, almeno a partire dalla convenzione di Schengen, e poi si sia andato precisando dopo la breve sbornia di libertà dell”89.

Questo modello europeo di governo delle migrazioni è un modello che ha puntato tutto sulla fortificazione dei confini esterni contro profughi e migranti e sull’affinamento dei dispositivi di espulsione. I centri di detenzione sono un istituto cardine di questo modello.
Sono un istituto europeo nel pieno senso del termine.
Quando ci battiamo contro i centri di detenzione e lo facciamo quotidianamente anche con azioni come quelle che ha ricordato Sergio, Bologna Via Mattei, Bari-Palese quest’estate, dobbiamo essere consapevoli che stiamo mettendo in discussione un modello di governo delle migrazioni attorno a cui in Europa si è determinato un consenso trasversale rispetto ai paesi e alle forze politiche. Se guardiamo alle leggi sulla migrazione che sono state approvate dai diversi governi nazionali in Europa negli ultimi 10 anni, ci troviamo certo di fronte a delle varianti che sono molto significative per quanto riguarda i dispositivi di integrazione sociale ad esempio dei migranti presenti legittimamente sul territorio europeo.
Queste differenze sono importanti: non dobbiamo mai dimenticarle. Ma non dobbiamo neanche mai dimenticare che tutte queste leggi hanno condiviso e dato attuazione al modello di governo delle migrazioni di cui ho parlato in precedenza.
Allora oggi io credo che il nostro compito, il compito del movimento dei movimenti, il compito del Forum sociale europeo, sia mettere radicalmente in discussione questo modello.
Ed è un terreno di battaglia politica complesso che, se volete anche positivamente, si sta aprendo nel nostro paese nell’interlocuzione con pezzi della sinistra moderata che avevano sciaguratamente condiviso questo modello e che avevano introdotto il suo istituto cardine più agghiacciante, il centro di detenzione, nel nostro paese.

Se guardiamo alle migrazioni come movimento sociale, come movimento caratterizzato, innervato, da domande soggettive di trasformazione, di accesso ai consumi oltre che alla produzione della ricchezza sociale, di mobilità in un senso determinato, non di nomadismo.
L’immagine che vi sto proponendo non è un’immagine romantica dei movimenti migratori.
E’ un’immagine che cerca di essere realistica. Di vedere, nel gesto con cui un migrante attraversa un confine fortificato magari costretto ad affidarsi a piccole e grandi organizzazioni criminali per poterlo fare, dobbiamo vedere in questo gesto, dicevo, molto semplicemente l’espressione basilare di un tentativo di costruirsi una vita migliore. Bene, se guardiamo attraverso questo tipo di immagine delle migrazioni all’Europa, noi ci troviamo di fronte a un movimento migratorio inteso come movimento sociale che quotidianamente ridisegna, immagina nuovamente, lo spazio politico europeo.

Enrica diceva, ed è un punto fondamentale, che i confini dell’Europa si sono spostati verso est e verso sud. C’è un processo di frantumazione e dislocazione dei confini che può essere ricostruito proprio attraverso l’analisi delle politiche migratorie. Ma questo processo ha un’altra faccia, se guardiamo ai movimenti migratori come movimenti che quotidianamente sfidano i confini istituzionali dell’Europa, vediamo formarsi nella quotidianità, nella pratica, un altro spazio europeo che è davvero globale, che ricapitola la storia complessa, drammatica attraverso cui dall’Europa ha preso le mosse un processo di unificazione del pianeta.
Le migrazioni ci fanno vedere, lo dico consapevole di essere retorico, quanta Africa, quanta Asia, quanta America Latina, quanto mondo c’è oggi dentro l’Europa.
Le migrazioni ci pongono di fronte a istanze di quotidiana apertura e forzatura dei confini della cittadinanza europea. Le migrazioni ci fanno vedere qualcosa di fondamentale anche a proposito della cittadinanza europea e della cittadinanza considerata nel suo complesso, come concetto politico.
Le migrazioni ci fanno vedere due facce della cittadinanza: ci fanno vedere le politiche di amministrazione dei confini della cittadinanza, ci fanno vedere le politiche che un grande filosofo francese a noi vicino, Etienne Balibar ci ammonisce continuamente, stanno prefigurando in Europa un nuovo apartheid, ma ci fanno vedere anche una cittadinanza intesa come pratica sociale. Come pratica sociale che appunto sfida, forza continuamente, apre continuamente, i confini istituzionali della cittadinanza.

Se parliamo di cittadinanza non dobbiamo aver presente una forma istituzionale, una forma giuridica. Dobbiamo aver presente questo spazio complesso di contesa, di scontro. E allora, secondo me, da questa immagine della cittadinanza che i migranti ci propongono e che ha da dirci delle cose che vanno ben aldilà della condizione e delle istanze soggettive dei migranti, credo che debba essere tratta una conseguenza nella nostra pratica quotidiana, nel nostro modo di immaginare l’azione politica futura.

La cittadinanza non può essere un obiettivo. La cittadinanza è appunto un terreno di contesa, un terreno di lotta.
E perché questa immagine della cittadinanza si affermi dentro il movimento e perché questa immagine della cittadinanza possa nutrire pratiche di trasformazione sociale radicale che vanno aldilà di ciò che immaginano le stesse retoriche dell’Europa dei diritti, dell’Europa come nuovo spazio di democrazia, è necessario fare in modo che i confini di questa cittadinanza siano tenuti aperti, siano esposti alla critica dei movimenti sociali.
Questa è la partita che, io credo, ci giochiamo in autunno a Saint. Denis ma anche in Italia.
Credo che sia importante, ad esempio, per scendere da quello che può apparire il cielo della teoria alla terra delle pratiche amministrative, impegnarsi in singole città dove è possibile e sappiamo che in Italia questo sta accadendo, a Genova per esempio, per l’estensione ai migranti dei diritti politici, del diritto di voto a livello municipale.

Penso che sia importante immaginare a livello nazionale, a livello europeo battaglie per l’estensione dei diritti politici e dei diritti di cittadinanza nel loro insieme.
Però questo non può essere l’orizzonte esclusivo al cui interno inscriviamo la nostra lettura delle migrazioni, al cui interno inscriviamo le nostre pratiche politiche, le nostre rivendicazioni.

Lo stesso concetto di integrazione, da questo punto di vista, deve essere sottoposto a una riflessione critica, che non significa evidentemente essere indisponibili o non interessati a provvedimenti specifici, rivendicazioni specifiche che vadano nel senso dell’integrazione. Ma non possiamo assumere l’integrazione come orizzonte della nostra azione politica: integrazione in che cosa? Integrazione in uno spazio della cittadinanza che è stato distrutto dalle cosiddette politiche neoliberiste. Integrazione, vorrei aggiungere, in uno spazio della cittadinanza sociale, democratica, di welfare, che i movimenti sociali, le lotte sociali, ben prima delle politiche neoliberiste, avevano messo in discussione forzandone i confini.
Io credo che il punto sia davvero quello, seguendo il filo di ragionamento che ci è offerto da una lettura minimamente avvertita dalla composizione sociale e politica dei movimenti migratori di lavorare per la costruzione della conquista di un nuovo modo di immaginare, di parlare la cittadinanza.

Questo penso che sia il grande tema, la grande sfida di fronte a cui ci pongono le migrazioni. Un problema e una sfida che non sono limitati esclusivamente al tema delle migrazioni ma che qui trovano punti particolarmente drammatici, se volete, di espressione.
Per dirla in una formula conclusiva io credo che i movimenti migratori mostrino oggi degli elementi di eccedenza strutturale rispetto a quelle che sono le esigenze dello status quo. E questi elementi di eccedenza strutturale che sono innervati soggettivamente dalle istanze, dai desideri delle donne e degli uomini che migrano devono essere il nostro principale punto di riferimento.

Una considerazione conclusiva a proposito dell’Europa e del Forum sociale europeo.
Diceva Enrica che se guardiamo, non tanto ai testi usciti dalla Convenzione, quanto alla costituzione materiale che si è definita negli ultimi 10/15 anni in Europa c’è poco da stare allegri. Non è lo spostamento dal livello nazionale al livello europeo del governo delle migrazioni ciò su cui dobbiamo puntare. Tuttavia è evidente che non è dato nessun ritorno ai modelli di governo nazionale delle migrazioni.
Noi dobbiamo essere in grado di costruire un grande movimento europeo che ad esempio su questioni come la regolarizzazione sappia sollevare, sollecitare, incalzare continuamente gli stessi poteri europei.
Dobbiamo fare questo perché sono gli stessi movimenti migratori che ci mostrano appunto un’altra Europa, ben più di quanto non ci mostrino un’altra Italia, un’altra Francia, un’altra Germania.

A Saint.Denis andiamo con l’obiettivo di consolidare un dato che avevamo positivamente registrato a Firenze.
A Firenze l’assemblea del Forum sociale europeo si era conclusa indicando nelle migrazioni, nelle rivendicazioni dei migranti, uno dei terreni fondativi del Forum sociale europeo.
Dobbiamo ripartire da questo dato consapevoli però che non è possibile considerarlo come qualcosa di scontato.
E’ qualcosa che dobbiamo continuamente riaffermare.
Assieme ad altre reti europee, stiamo costruendo dei workshops per il FSE. Ci stiamo impegnando, incontrando non pochi ostacoli negli organizzatori francesi, per costruire una grande assemblea delle reti che lavorano in Europa con i migranti. Credo che questa assemblea si farà comunque.
Si farà probabilmente all’interno degli spazi del FSE, ma se dovessero esserci delle rigidità la faremo altrove.
Tuttavia credo che ci dovremmo porre andando a Saint.Denis un obiettivo più ambizioso: l’obiettivo di incalzare tutte le forze che fanno un investimento sul Forum sociale europeo, tra cui fuori dall’Italia, più ancora di quanto già non accada in Italia, ci sono forze che sono assolutamente insensibili rispetto ai temi di cui abbiamo discusso. Forze che sono disponibili a ragionare criticamente su Maastrich, ma non su Schengen per dirlo con una formula.
Dobbiamo incalzare queste forze.

L’obiettivo realistico che potremmo porci per fare un passaggio in avanti rispetto a Firenze, sia quello di lanciare da Parigi come Forum sociale europeo una giornata di mobilitazione europea contro i centri di detenzione, contro, quindi, un istituto europeo simbolo.
Una giornata di mobilitazione contro i centri di detenzione che però non sia affidata, e questa è la scommessa, agli “specialisti dell’immigrazione”, ma che sia vissuta come momento fondativo dell’identità del Forum sociale europeo al pari della giornata del 15 febbraio contro la guerra.
E’ un obiettivo ambizioso, ma se riusciremo a centrarlo avremo fatto forse più di un passo avanti nella costruzione di un movimento europeo dei migranti.