Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
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da Il Manifesto del 28 dicembre 2003

Per non dimenticare i sei immigrati arsi vivi nel rogo del ’99 al «Vulpitta»

Un rogo e sei morti da non dimenticare, che ogni anno il movimento antirazzista siciliano ricorda con un «pellegrinaggio» a Trapani, davanti a quel carcere chiamato «centro di permanenza temporaneo Serraino Vulpitta» in cui il 28 dicembre 1999 persero la vita Rabah, Nashreddine, Jamel, Ramsi, Lofti e Nasim. Erano giovani, tunisini; erano giunti in Italia sperando di cominciare una nuova vita ma si erano ritrovati dietro le sbarre del Cpt, in attesa di rimpatrio come molti altri. Quella notte alcuni di loro erano particolarmente esasperati, tentarono la fuga con un escamotage che si rivelò fatale in quella struttura inadeguata e priva delle più elementari misure di sicurezza, a cominciare dagli estintori: qualcuno incendiò un materasso pensando di approfittare del trambusto per trovare la libertà, in sei finirono sottoterra per asfissia e per le ustioni.

Sono circa un centinaio le associazioni (siciliane, ma anche baresi, leccesi e di altre città del sud) che da ieri si sono date appuntamento nella città siciliana per celebrare l’anniversario di morte ma soprattutto per rilanciare la battaglia contro i «lager legalizzati» partoriti dalla legge Turco Napolitano; «mostri giuridici che istituiscono la detenzione amministrativa di soggetti ritenuti pericolosi solamente perché poveri», scrivono i promotori della manifestazione – Coordinamento per la pace di Trapani, Attac, Arci, Ciss – a cui hanno aderito tra gli altri i Cobas, la Cgil, Rifondazione, i Giovani comunisti, la Rete immigrati in movimento di Napoli.

Stamane alle 9,30 si trarranno le conclusioni dell’assemblea iniziata ieri; alle 15 da piazza Vittorio Emanuele partirà il corteo.

«Nei Cpt di tutta Italia, soprattutto dopo l’entrata in vigore della Bossi-Fini che ha portato da 30 a 60 i giorni di detenzione, si susseguono rivolte» denunciano le associazioni, che additano come «complici di queste politiche segregazioniste le organizzazioni umanitarie laiche e religiose che cogestiscono i Cpt…».

Incidenti, rivolte, episodi di autolesionismo sono continuati anche al Vulpitta, il primo nato dei Cpt italiani e il più tristemente famoso per quella tragedia sulla quale si sta celebrando un processo che vede alla sbarra l’allora prefetto trapanese Leonardo Cerenzia, accusato di omissione d’atti d’ufficio, omicidio colposo plurimo, omessa cautela: secondo gli antirazzisti (che con l’associazione studi giuridici sull’immigrazione si sono costituiti parte civile) e i sostituti procuratori Aitala e Macchiusi, avrebbe la responsabilità di non aver predisposto le misure di sicurezza necessarie per rendere vivibile quel centro.

La manifestazione di oggi è importante anche alla luce del fatto che il processo è agli sgoccioli, e che entro aprile si dovrebbe arrivare alla chiusura del dibattimento: occorre mantenere accesa l’attenzione dunque, rilanciando «la battaglia di libertà contro le politiche segregazioniste con le quali si affronta nei paesi ricchi e privilegiati il fenomeno dell’immigrazione».

E l’appello parte dalla Sicilia, «terra di frontiera della Fortezza Europa», col suo mare trasformato in cimitero e campi d’internamento che prolificano sulla terraferma.