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Sanatoria 2002 – Il rischio di ritornare irregolari

Mentre si sta discutendo di un probabile allargamento delle quote, arrivano le pronunce dell’autorità giudiziaria riferite all’ultima regolarizzazione del 2002 (d.l. 9 settembre 2002, n. 195. Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari, convertito, con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2002, n. 222), adottata in coincidenza con l’approvazione della legge Bossi-Fini (Legge 30 luglio 2002, n. 189).
Alcune questioni controverse sono state ormai decise con pronunce che si presentano come definitive, e con riferimento a casi che hanno riguardato molte persone che ancora adesso sono in una situazione di “sospensione”. Si tratta infatti di persone che erano riuscite a ottenere la regolarizzazione, sia pure con riserva, e che ora rischiano di essere nuovamente respinte nella clandestinità dopo anni di soggiorno e di lavoro regolare.

Una recente sentenza del Consiglio di Stato (Adunanza Plenaria, Decisione n. 4 del 31 marzo 2006) risolve il problema interpretativo della normativa ove si prevedeva che la “legalizzazione” di situazioni di lavoro irregolare era possibile esclusivamente per chi aveva un lavoro negli ultimi tre mesi antecedenti l’entrata in vigore della normativa relativa (art. 1).
Ricordo che la norma di regolarizzazione era stata interpretata da molti Tribunali Amministrativi Regionali (TAR) e dalla Sezione VI del Consiglio di Stato (n. 6364/2005 del 15 novembre 2005), nel senso di ritenere che, chi avesse instaurato un rapporto di lavoro all’interno dei tre mesi precedenti l’emanazione della legge, avrebbe potuto comunque regolarizzarsi senza necessariamente dimostrare di avere lavorato per tutti i tre mesi.
La sentenza in commento smentisce tali pronunce e sostiene l’esatto opposto, ovvero che fosse indispensabile dimostrare l’avvenuta occupazione per tutti i tre mesi precedenti l’entrata in vigore della norma di regolarizzazione.

Molte domande saranno riesaminate
Ciò produrrà un riesame di molte domande che a suo tempo erano state accolte e che hanno consentito alle persone di lavorare in regola per tutti questi anni, con la conseguenza che molte questure potranno revocare i permessi di soggiorno, a suo tempo concessi. Questa cosa sembra assurda se si considera che mentre si sta parlando di una nuova regolarizzazione, si continua a mettere in discussione la regolarizzazione per molti già perfezionata ormai quattro anni fa.

Peraltro la sentenza della Corte Costituzionale n. 206 del 26 maggio 2006 pone un’ulteriore limitazione alle regolarizzazioni adottate nel 2002.
Di fronte ai provvedimenti di rifiuto della regolarizzazione emessi nei confronti di stranieri colpiti dal
provvedimento di espulsione, la Corte Costituzionale era stata investita della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 8, lett. a), del d.l. 9 settembre 2002, n. 195 sopra citato, da parte di diversi TAR che, nel frattempo, avevano sospeso i provvedimenti di rifiuto di regolarizzazione, consentendo agli interessati di lavorare in regola e di rinnovare il permesso di soggiorno. Ciò è stato possibile fino ad oggi!. La sentenza in commento stabilisce infatti che le questioni di legittimità sollevate dai TAR non sono fondate.
Non vi è infatti nessuna violazione dei principi di parità di trattamento (art. 3), di tutela del lavoro (art. 35) stabiliti dalla Costituzione, laddove la legge in materia di regolarizzazione ha deciso di trattare diversamente, escludendoli dalla regolarizzazione, coloro che fossero stati colpiti da un provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera, e che poi avessero fatto un successivo reingresso irregolare in Italia o non avessero ottemperato al provvedimento di espulsione. Anche per questa categoria di lavoratori sarà rimessa in gioco la regolarizzazione, quindi la possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno.
È da immaginare che fra qualche mese (o qualche anno) queste questioni continueranno ad affiorare nella pratica. Le questure provvederanno allora a revocare i permessi di soggiorno concessi a suo tempo, in base a ordinanze di sospensione emesse dai TAR.
Le persone a rischio di perdere il permesso di soggiorno a suo tempo ottenuto, devono rassegnarsi all’idea che la fatica di ottenere la regolarizzazione è stata vanificata. I rimedi rispetto a questa situazione non sono facilmente rinvenibili, proprio perché la giurisprudenza ha ormai scritto la parola fine all’interpretazione di queste norme sulla regolarizzazione del 2002.
D’altra parte, nel caso di persone che non avevano dimostrato di avere lavorato nei tre mesi precedenti, qualora non vi fossero stati precedentemente provvedimenti di espulsione, l’unica possibilità sembra quella di rimettersi in gioco con le quote. È fin troppo facile immaginare come per queste persone sia assurdo pensare di dover uscire dall’Italia e attendere il prossimo decreto flussi o, forse, l’allargamento della quote. Ancora più difficile è la possibilità di trovare una soluzione per chi si è regolarizzato o provvisoriamente ha ottenuto la possibilità di regolarizzazione, avendo riportato in passato con provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera, perché il provvedimento di espulsione potrebbe essere semplicemente eseguito nuovamente con accompagnamento alla frontiera dei diretti interessati. In questo caso l’esistenza di un provvedimento di espulsione impedisce di percorrere qualsiasi procedura prevista dalla legge per l’ingresso in Italia perché in base all’art. 13, comma 14 del T.U. sull’Immigrazione lo straniero espulso non può rientrare nel territorio dello Stato per un periodo di dieci anni (non solo in Italia, ma, di fatto, anche in tutti i paesi dell’Unione Europea).