Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Varato il piano per deportare duemila rifugiati a Mineo

di Antonio Mazzeo

Il
“piano d’emergenza” varato dal ministro Maroni prevede che
negli ex
CARA vengano smistati i cittadini stranieri in fuga dalla Libia
e che
in caso di esodi massicci dal nord Africa i prefetti possano
“requisire residence o altre strutture abitative” da convertire in
“centri per migranti”. “Il potere di requisizione sarà in capo al
Commissario straordinario per l’emergenza immigrati, il prefetto di
Palermo Giuseppe Caruso, ma si tratterà comunque di uno strumento
provvisorio e limitato nel tempo”, riferiscono al Viminale. Ben altra
durata avrà invece il supercentro di Mineo, eufemisticamente
denominato
“Villaggio della solidarietà”, che nelle intenzioni del
governo farà da
“modello di eccellenza in Europa nell’accoglienza dei
richiedenti
asilo”.

Le deportazioni avverranno con “gradualità, in
modo che non ci
siano contraccolpi per il territorio”, come
annunciato dal presidente
della provincia di Catania, Giuseppe
Castiglione (coordinatore regionale
del Pdl, nonché genero del
sospetto rappresentante del boss Santapaola,
senatore Firrarello),
grande sostenitore del piano Mineo. “L’avvio del
progetto” -spiega
Castiglione- “sarà accompagnato da un Patto per la
sicurezza
sottoscritto da tutti i sindaci della zona e dal ministero
dell’Interno per definire quali misure attuare non solo all’interno
del
villaggio, ma su tutto il territorio interessato, attraverso la
realizzazione di sistemi integrati di videosorveglianza e il
potenziamento dei mezzi, delle strutture e dei presidi esistenti e
degli
uomini delle forze dell’ordine”.

Il ministro della difesa La
Russa non
ha perso tempo e ha ordinato intanto il trasferimento nella
provincia di
Catania di 60 militari dell’Arma dei carabinieri per
“incrementare la
sicurezza nei comuni interessati
dall’emergenzaprofughi”. I primi
uomini, ovviamente, hanno raggiunto
la locale stazione di Mineo
comandata dal maresciallo Domenico
Polifrone.
Nonostante l’apparato
sicuritario ordinato dal governo per
presidiare il nuovo
villaggio-prigione, il presidente Castiglione
enfatizza le offerte
“d’integrazione sociale”che saranno avviate a
Mineo: “Secondo il
progetto del ministro Maroni, il Centro prevedrà
al suo interno
assistenza sanitaria e attività di formazione e
mediazione linguistica,
nella scommessa di renderlo una realtà pilota
e d’avanguardia. Tutto
ciÒ con il coinvolgimento delle cooperative
sociali del territorio e
dell’indotto locale”. In verità,
l’intenzione sarebbe quella di
affidare la gestione alla Croce Rossa
Italiana, con trattativa d’urgenza
e senza l’indizione di una gara
come invece fatto in passato nei CARA.

Un business, quello
dell'”accoglienza”, che sta suscitando appetiti a
destra e manca.
Conti alla mano, i 45-50 euro al giorno in budget per
ogni richiedente
asilo, moltiplicati per i 2.000 “ospiti” di Mineo
comporteranno
introiti per circa 3 milioni di euro al mese, più il canone
che il
governo verserà alla Pizzarotti S.p.A., la societÀ di Parma
proprietaria del villaggio, che dal Dipartimento della difesa
statunitense riceveva per l’affitto delle 404 villette, 8,5 milioni di
dollari all’anno.
Nel piccolo centro siciliano è già sorto il
Comitato
“Pro Residence della Solidarietà”, promosso dalla locale
sezione UIL
e dalla cooperativa sociale Sol.Calatino S.C.S. “Nel
residence saranno
impiegati almeno 300 operatori sociali per le
attività di accoglienza
ed integrazione e le imprese locali
troveranno spazio nella fornitura
dei beni dei servizi, con una
evidente ricaduta positiva sull’economia
locale”, annunciano in un
manifesto affisso in città. “A tal proposito
chiediamo
all’amministrazione comunale di sostenere la sperimentazione
del
progetto istitutivo del CARA, legandolo alla programmazione sociale
del territorio attraverso il Patto territorialedell’economia sociale
del
Calatino Sud – Simeto, favorendo l’inserimento lavorativo dei
cittadini
di Mineo”.

Il Patto territoriale – finanziato dall’Unione
europea –
vede come una degli attori proprio Sol. Calatino, filiazione
locale del
potentissimo consorzio Sol.Co di Catania, uno dei più
grandi di tutta
la Sicilia con 140 cooperative, che dopo la decisione
di Washington di
abbandonare Mineo aveva espresso l’interesse a
insediare nel residence
“un’agenzia di inclusione sociale in cui poter
accogliere le persone che
si trovano in un momento difficile”. I
rifugiati, appunto.

Nonostante
l’appello della coop, solo 10 sindaci
del comprensorio su 15 si sono
dichiarati favorevoli al piano di
confino dei richiedenti asilo. I
comuni di Castel di Iudica,
Caltagirone, Grammichele, Ramacca e Mineo
hanno invece ribadito la
loro avversione con una lettera inviata al
ministro Maroni. “Il
modello Mineo – scrivono i 5 sindaci – non
risponde all’idea che
abbiamo consapevolmente maturato, sulla scorta
dell’esperienza di
effettiva integrazione portata avanti nelle nostre
comunità. Non ci
piace che almeno duemila persone vengano deportate in
un luogo senza i
necessari presidi e senza vere opportunità di
inclusione, in una
condizione di segregazione che potrebbe preludere da
un lato a rivolte
sociali, dall’altro indurre alcuni di loro, a fronte
di una stragrande
maggioranza pacifica e ispirata alle migliori
intenzioni, a mettere a
dura prova le condizioni di sicurezza del
territorio”.
Il governo –
continua la lettera – dovrebbe rendersi conto
che, al di là delle buone
intenzioni, al Residence degli Aranci si
rischia di innescare una
bomba sociale dalle enormi proporzioni, a
scapito dei rifugiati
stessi, delle nostre popolazioni e di quanto esse
hanno sin qui
realizzato per un’accoglienza sostenibile ed efficace”.
Dichiarandosi
disponibili ad accogliere sino a 400 immigrati, i sindaci
concludono
che la “vera accoglienza si costruisce solo dentro un tessuto
di
relazioni e una rete diffusa di servizi che aiuti gli immigrati a
inserirsi, per piccoli gruppi, nelle comunità e rappresenti per loro
e
per le professionalità che si trovano numerose e qualificate nel
nostro
territorio, un’effettiva opportunità”.

Forte preoccupazione
per
l’apertura del centro è stata espressa in diverse occasioni pure
da
Laura Boldrini, portavoce dell’Unhcr, l’Alto Commissariato per i
Rifugiati delle Nazioni Unite. “Si tratterebbe di trasferire dagli
otto
centri per richiedenti asilo coloro che già sono dentro, di
ogni
nazionalità, dagli afgani, agli eritrei, ai somali, un gran
numero di
persone tutte in uno stesso centro, con i problemi che
questo
porrebbe”, ha dichiarato la Boldrini. “Si verrebbe a sradicare
così il
sistema d’asilo che, con tutti i suoi limiti, sta funzionando
bene”.

Contro il piano di
deportazione, l’1
marzo si è tenuta una manifestazione di fronte ai
cancelli dell’ex
villaggio USA, presenti i rappresentanti catanesi di
Arci, Centro
popolare Experia, Cobas, Coordinamento immigrati contro
la sanatoria
truffa, LILA, Officina Rebelde, Red Militant, Rete
Antirazzista e
Rifondazione comunista.
Per Alfonso Di Stefano della
Rete Antirazzista,
non ci sono dubbi che a Mineo opererà “l’ennesimo
centro di detenzione
per persone che non hanno commesso alcun reato”.
“Nel residence sono
venuti fuori negli ultimi giorni muri e
recinzioni, costruiti da una
ditta ignota che si è guardata bene ad
esporre i cartelli sui lavori
come previsto dalla legge”, denuncia Di
Stefano. “La scelta del
governo, nella sua logica segregazionista, è
diametralmente opposta
all’esemplare esperienza di Riace, dove
l’associazione Città futura
accoglie centinaia di rifugiati in un
paese con meno di 2.000 abitanti
dimostrando che valorizzare la
solidarietà come risorsa per lo sviluppo
locale è possibile e che
l’accoglienza è molto più economica della
crescente militarizzazione
dei territori e delle coste”.

Sulle funzioni
decisamente detentive
che saranno assunte dal centro di Mineo è
intervenuto il giurista
Fulvio Vassallo Paleologo dell’Università di
Palermo. “Se fosse un
vero centro di accoglienza non ci sarebbe bisogno
dello schieramento
militare e dei cordoni di polizia”, spiega il
docente. “Appare
evidente che il governo vuole sfruttare questa ennesima
emergenza per
trasformare il regime del trattamento dei richiedenti
asilo, che in
base alle direttive comunitarie ed al nostro ordinamento
interno, non
possono essere trattenuti in un centro chiuso. Inoltre è
alto il
rischio che il governo deporti da un centro all’altro, per tutta
l’Italia, coloro che sono già in regime di accoglienza e che questo
spezzi i legami di integrazione già costruiti ed abbatta le
possibilità
di presentare ricorsi contro i dinieghi di status”.

Per
Fulvio Vassallo
Paleologo si dovrebbe invece applicare a coloro che
fuggono dal Maghreb
gli istituti della protezione umanitaria previsti
dall’ordinamento e la
normativa sull’accoglienza dei profughi nel caso
di afflussi di massa,
“in base all’art. 20 del T.U. 286 del 1998
sull’immigrazione”. Norme
inapplicate così come non è mai stata
attivata fino ad oggi la direttiva
2001/55 dell’Unione europea sulla
“protezione temporanea”.

Come
rilevato da Michele Cercone, portavoce
della Commissaria europea per gli
affari interni, Cecilia Malmstrom,
la direttiva “prevede la concessione,
su proposta della Commissione e
con approvazione a maggioranza
qualificata da parte del Consiglio,
dello status di rifugiato per un
periodo di tempo limitato a persone
che fuggono da paesi in cui la loro
vita sarebbe a repentaglio in caso
di ritorno”.
“In verità, non c’è
ancora un’idea chiara né da parte
del governo nazionale né da quelli
locali sul modo in cui vogliono
realmente affrontare l’accoglienza”?,
commenta la sociologa delle
migrazioni Tania Poguish. “L’arrivo in
Italia viene ancora gestito con
lo stesso meccanismo di repressione e
smistamento di esseri umani. Dei
giovani migranti giunti a Lampedusa si
vuol confezionare un bel pacco
da rispedire indietro appena si calmano
le acque.
Dopo i buoni
propositi annunciati dal ministro Maroni sui
migranti che potevano
essere accolti nel residence di Mineo si è
finalmente scoperta: i
richiedenti asilo che godrebbero di questo
privilegio sono quei
giovani che hanno avuto la fortuna di raggiungere
la sponda europea
prima della politica feroce del respingimento in mare
e sono riusciti
a fare richiesta di asilo nella frontiera Lampedusa.
Questi giovani
hanno un altro passato e percorso personale da raccontare
e sono
sicuramente stati violati nel loro diritto umano di rifugiato
riconosciuto, ma nello stesso tempo non garantito secondo le leggi
internazionali, che paesi come Germania e Francia rispettano
garantendo
assistenza sociale e sanitaria”.
Per la sociologa
siciliana, spetta al
mondo dell’associazionismo proporre “non il
tavolo sulla solita
pietistica accoglienza, ma un’alleanza con quei
giovani della sponda sud
del Mediterraneo che si sono ribellati al
nuovo ordine mondiale e con i
quali si può costruire il Mediterraneo
della crescita culturale e
sociale che include e non crea non
persone”.