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Rimpatrio / deportazione collettiva di 40 cittadini Pakistani che chiedevano asilo in Italia

Comunicato del gruppo No-CPT del tavolo migranti dei Social Forum

Erano arrivati a Lampedusa da diverse zone del Pakistan, 174, tutti uomini, alcuni con i segni della tortura sul proprio corpo, quasi tutti si erano conosciuti tra di loro solo durante il viaggio. A Lampedusa sono stati trattenuti al Centro di Permanenza, e da lì è cominciato il loro viaggio attraverso l’Italia. Centri di detenzione e falsi Centri di accoglienza, Centri di transito, poliziotti, pulmini dei carabinieri, sbarre, roulottes, altre sbarre, muri, inferriate, è quello che hanno visto dell’Italia. Alcuni di loro, 40, da oggi sono di nuovo in Pakistan. Rimpatriati!

Rimpatriati! Nonostante la domanda di diritto d’asilo e nonostante il fatto che troppe delle procedure legali si siano trasformate, nel loro caso, in procedure illegali e in pratiche di potere di puro accanimento contro le loro storie e le loro vite.

Il racconto del loro viaggio attraverso l’Italia è una storia esemplare di guerra, quella che l’Italia, da mesi ormai, ha dichiarato ai migranti.

Dal Centro di detenzione-transito di Lampedusa i 174 pakistani vengono trasferiti tutti al Centro di identificazione di Bari Palese. Centro che non dovrebbe essere ancora di identificazione, dal momento che il regolamento attutivo della Bossi-Fini non è ancora in vigore. Lì, però, vengono effettivamente identificati. Da chi? Dai funzionari del Consolato pakistano, che entrano nel campo ancor prima che loro abbiano inoltrato la richiesta d’asilo. Poi, a richiesta inoltrata, arriva la Commissione Centrale, che, con audizioni di 4 minuti a testa, con audizioni, dunque, quasi collettive, nega loro il riconoscimento di tale status. Ma non lo comunica né a loro, né ai loro avvocati. Prima che quest’ultimi abbiano la possibilità di inoltrare il ricorso rispetto al diniego, nel campo entrano 100 poliziotti, in tenuta anti-sommossa, insieme ad altri poliziotti e carabinieri, prelevano 80 pakistani, i quali vengono trasferiti nei Centri di detenzione di Ponte Galeria, a Roma, e di Via Corelli, a Milano. Solo 24 ore dopo viene loro notificato il provvedimento di espulsione.

I loro avvocati presentano un’istanza alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo, chiedono che si sospenda l’esecuzione dei provvedimenti di rimpatrio e che si condanni lo Stato italiano. Si muovono alcuni parlamentari, che chiedono un colloquio al Ministero dell’interno.

Venerdì 4 luglio, una delegazione composta dall’on. Marco Fumagalli (Ds), tre consiglieri comunali (Ds, Rifondazione, Verdi), il responsabile dell’ufficio immigrazione della Camera del lavoro di Milano, due avvocati, e alcuni rappresentanti del Tavolo immigrazione del Milano Social Forum e del Leoncavallo, entra in via Corelli. I 40 pakistani lì presenti firmano tutti l’istanza di ricorso. La delegazione riesce ad ottenere assicurazioni dalla Prefettura e direttamente dal Ministero dell’Interno che i pakistani non saranno rimpatriati prima dell’esito definitivo del ricorso.

Sabato 5 luglio, al mattino, il ricorso viene depositato al tribunale di Milano.

Sabato 5 luglio, nel pomeriggio, la notizia: rimpatriati! 40 persone, prelevate da Via Corelli, trasportate all’aeroporto di Milano-Malpensa, una deportazione collettiva, ora sono in Pakistan.

Dal campo di Bari Palese, tutti gli altri sono ormai stati trasferiti a quelli di Ponte Galeria e al Regina Pacis.