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da Il Manifesto del 2 ottobre 2004

A Pavia un timbro cambia la vita degli stranieri di Luca Fazio

Tutti gli stranieri angosciati per la pratica di rinnovo del permesso depositata nelle questure vorrebbero avere a che fare con Giovanni Calesini. Il questore di Pavia. Lui si schermisce, «ho solo scoperto l’acqua calda», eppure di fatto ha concesso una proroga del permesso di soggiorno a tutti coloro che sono costretti ad aspettare mesi prima di essere regolarizzati. L’esperienza pavese, unica in Italia, dimostra che basta un timbro e un po’ di coraggio per alleggerire la macchina burocratica e garantire agli stranieri di vivere una vita normale invece di perdersi in quella sorta di limbo senza diritti che è l’attesa del permesso. Quel timbro significa poter espatriare, cambiare lavoro, stipulare contratti, da un atto notarile a un semplice passaggio di proprietà di un’automobile. Proprio per ottenere «quel timbro» a Roma in questi giorni ci sono tre persone che stanno facendo lo sciopero della fame. Questa soluzione intelligente non sarebbe stata possibile senza la partecipazione della Camera del Lavoro, delle Acli e della Caritas, i soggetti che si sono adoperati per organizzare un sito internet per la prenotazione telematica dei rinnovi.

Funziona davvero? «Da noi arrivano anche tanti stranieri che hanno richiesto il permesso in altre province – spiega Franco Vanzati, della segreteria della Camera del Lavoro di Pavia – ma noi per loro non possiamo fare niente, anche se magari risiedono nel territorio pavese. La Cgil ha già effettuato migliaia di prenotazioni, le pratiche in questura si sono velocizzate e gli stranieri con questa proroga in tasca possono continuare a vivere tranquillamente la loro vita».

Il questore prima di prendere questa decisione ci ha pensato a lungo, ha discusso con altri colleghi e con il ministero degli interni. Non li ha convinti – «forse il questore di Ancona, ma non so come si comporterà» – eppure ha voluto portare avanti il suo progetto. «Si era creata una evidente situazione di disagio per l’amministrazione e per l’utenza – spiega Calesini – e noi abbiamo semplicemente preso atto di non essere in grado di fornire una risposta in tempi ragionevoli». Il questore allora si è posto il problema in questi termini: «Per quale motivo non autorizziamo queste persone a rimanere qui fino a quando siamo in grado di valutare le loro pratiche? Lo straniero viene in questura, controlliamo che sia una persona per bene, dopodiché mettiamo un timbro: da quel momento quella persona è autorizzata a rimanere in Italia fino a quando noi non siamo in grado di valutare la sua documentazione».

Si tratta di una soluzione esportabile altrove? «La stragrande maggioranza dei miei colleghi non è d’accordo con me, non perché non si accorgano del problema ma perché sostengono che la legge dice che prima di dare il permesso bisogna leggere le carte. Esportare questa esperienza a Roma o Milano a questo punto creerebbe una pressione enorme sulle questure, si presenterebbero agli sportelli centinaia di migliaia di persone». Ma il modello pavese è difficilmente esportabile anche perché il ministro Beppe Pisanu, nonostante abbia più volte ventilato l’ipotesi di una proroga, non ha certo incoraggiato questa iniziativa. Si spiega anche così la prudenza delle altre questure d’Italia. «Questa mia interpretazione – ammette Giovanni Calesini – non è condivisa dall’organo tecnico del ministero dell’interno, abbiamo discusso degli aspetti giuridici ma il ministero non ha ritenuto opportuno emettere una circolare in questo senso».

Non bisogna commettere l’errore di considerare la provincia di Pavia come una eccezione, una specie di paradiso terrestre dell’integrazione sociale. I «problemi» relativi al fenomeno migratorio sono presenti anche qui. I numeri, innanzitutto, parlano di 20 mila cittadini extracomunitari residenti, una cifra destinata a raddoppiare nel giro di pochi anni considerato l’alto numero di richieste di ricongiungimento familiare. E’ una provincia, aggiunge Vanzati della Cgil, dove abitano 10 mila persone a rischio povertà, dove lavorano almeno 1.500 colf senza permesso di soggiorno. Dove ci sono situazioni vergognose, che la legge Bossi-Fini non permette di risolvere, come quella di Santa Maria della Versa, nell’Oltrepo, con cinquanta rumeni che dormono nei boschi durante il periodo della vendemmia. Anche Pavia, in pieno centro, ha la sua «emergenza»: decine di famiglie di rom rumeni che occupano lo stabilimento dell’ex Snia Viscosa. Per questo lunedì prossimo verrà inaugurata La Casa di san Francesco, uno stabile ristrutturato in via Sardegna capace di ospitare 20 persone, mentre gli altri rumeni verranno sistemati in edifici comunali o parrocchiali. Fortunatamente, anche l’amministrazione comunale ha deciso di usare la testa.