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Protezione speciale: riconosciuta per il proficuo inserimento socio-lavorativo, la precedente condanna non è stata ritenuta ostativa

Tribunale di Venezia, ordinanza del 7 dicembre 2023

Photo credit: Carmen Sabello (Milano, 20 maggio 2017)
Photo credit: Carmen Sabello (Milano, 20 maggio 2017)

Il Tribunale di Venezia riconosce il diritto alla protezione speciale di un cittadino nigeriano, valutando il positivo e articolato percorso di integrazione socio-lavorativa intrapreso dal ricorrente, dopo una condanna alla pena di anni 4 di reclusione e ad una multa di € 18.000,00, ritenute le diminuenti del rito del giudizio abbreviato, per il reato di importazione e detenzione di sostanze stupefacenti art. 73, comma 1, DPR 309/1990 commesso a fine 2018.

Il collegio da prima cita la sentenza n. 23597/2023 della Corte di Cassazione che “in tema di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari, nel regime anteriore all’entrata in vigore del d.l. n. 113/2018, conv. in l. n. 132/2018, in ipotesi di condanna del cittadino straniero, privo di legami familiari, per i reati previsti dall’art. 4, comma 3, d.lg. n. 286/1998 non opera alcun automatismo ostativo al rilascio del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari e non ricorre la presunzione assoluta di pericolosità sociale del richiedente, che deve essere, invece, accertata in concreto e all’attualità, in applicazione del principio di ordine generale e sistematico, anche di fonte unionale, secondo cui nella disciplina dell’immigrazione, a fronte dell’esercizio di diritti umani fondamentali e di rilievo costituzionale, si impone un ragionevole e proporzionato bilanciamento tra gli interessi coinvolti, da effettuarsi secondo i criteri individuati dal diritto vivente”.

Poi alla luce dell’integrazione del richiedente e della giurisprudenza richiamata sottolinea come la sentenza di condanna del ricorrente non possa costituire nella specie valido motivo di rigetto della protezione speciale, pur trattandosi di fattispecie ricompresa fra quelle elencate all’art. 4, comma 3, D. Lgs 286/1998.

A questa stregua, nel solco di quel necessario bilanciamento e raffronto tra interesse pubblico al mantenimento della sicurezza e interesse del ricorrente ad integrarsi nel tessuto sociale del Paese di accoglienza, prevale quest’ultimo, giacché l’inserimento lavorativo del sig. (…) (tenuto anche conto della durata del soggiorno in Italia che si protrae da oltre sette anni), induce, per un verso, ad escludere che il ricorrente possa ritenersi all’attualità un soggetto che costituisca una concreta ed attuale minaccia per l’ordine pubblico e, per altro verso, a ritenere che un eventuale suo rimpatrio possa tradursi nella violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare ai sensi dell’art. 8 CEDU o comunque in una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili“.

Si ringrazia l’Avv. Chiara Parolin del Foro di Vicenza per la segnalazione.