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Matrimonio – Nel caso di mancata convivenza è possibile annullarlo?

Il motivo evidente per cui la persona di cui al quesito è stata indotta o meglio costretta a sposarsi, è di carattere strettamente economico, perché, in quanto coniugata con un cittadino italiano, la sua attività economica in strada non avrebbe sofferto di continue interruzioni a causa del controllo del possesso del permesso di soggiorno e della successiva espulsione.
Ecco che, per assicurare più continuità al business, lo sfruttatore albanese ha ritenuto comodo costruire un matrimonio fasullo per assicurare continuità di “occupazione” – scusate il delicato eufemismo – a questa donna sfruttata. Si evidenzia che però nessuna coabitazione c’è mai stata fra i due, considerato che dopo il matrimonio non si sono più visti.
Ora, posto che il Codice Civile prevede (art. 122, comma 4, c.c.) che la decadenza dall’azione di annullamento del matrimonio sussiste se vi è stata coabitazione per un anno dopo che siano cessate la violenza o le cause che abbiano determinato il timore …, e poiché nel caso in oggetto – da un lato la situazione di violenza è cessata due anni fa, ma dall’altro la coabitazione non c’è mai stata – si chiede appunto se questa persona sia decaduta comunque dalla possibilità di chiedere l’annullamento del matrimonio, posto che la legge prevede il termine di un anno, a pena di decadenza, per esercitare l’azione relativa. Si chiede quindi se si possa effettivamente azionare la causa per l’annullamento del matrimonio o se, invece, l’unica strada percorribile sia quella di promuovere la separazione e successivamente, a distanza di tre anni, il cosiddetto divorzio.
Infine si chiede se questa persona possa optare per il mantenimento del vincolo matrimoniale in funzione della domanda di cittadinanza italiana, in altre parole se può far valere la formale esistenza e validità di un matrimonio con un cittadino italiano per ottenere l’accertamento del diritto alla cittadinanza italiana.
Questo è l’aspetto quantomeno più rischioso. Se il matrimonio non è effettivo – indipendentemente dal fatto che sia stato celebrato in base ad una minaccia o ad un accordo – è chiaro che, essendo finto, azionare la richiesta della cittadinanza italiana sulla base di questo presupposto costituirebbe un illecito ed esporrebbe la persona interessata, oltre che a un procedimento penale, anche – qualora anche le fosse concessa la cittadinanza – ad un annullamento dell’atto di concessione della stessa.
D’altra parte è noto che a partire dall’entrata in vigore della legge Bossi – Fini (l. 30 luglio 2002, n. 189), i rapporti matrimoniali per così dire misti (tra cittadini italiani e cittadini stranieri), allo scopo di verificare eventuali situazioni di simulazione, vengono verificati nel corso del tempo, oppure vengono fatti concretamente degli accertamenti sul posto per verificare l’effettività della convivenza e altre forme eventuali di simulazione.

In buona sostanza il problema di questa persona è sapere se può ottenere l’annullamento del matrimonio o se, invece, le convenga e non sia più opportuno far finta di niente e promuovere la separazione legale.
Certo, l’interessata ha un comprensibile bisogno di liberarsi da questo vincolo matrimoniale, sia perché finto, sia perché costituisce un legame con un passato che ha ragione a voler dimenticare il più presto possibile.
Il suo comportamento fa si che si possa ritenere superato questo passato, che oggi sia pienamente inserita nella comunità, ha verosimilmente un valido permesso di soggiorno per lavoro e, quindi, non soffre di altri problemi se non quello di essere libera dal punto di vista legale.
Da questo punto di vista è evidente che il matrimonio celebrato a suo tempo, è un matrimonio quantomeno simulato, perché non è vero che i due hanno voluto stabilire tra loro una comunione affettiva e di interessi, ma è vero che hanno voluto tutti e due, ben consapevoli di farlo, porre in essere un atto che è finto, destinato a creare una situazione giuridica per realizzare altre utilità.
Peraltro non risulta chiaramente dal quesito, se la persona interessata è stata addirittura costretta sotto minaccia a sposarsi.
Certo è che la legge (artt. 122-123, c.c.) prevede, in ogni caso, la possibilità di ottenere l’annullamento del matrimonio; ciò sia nel caso di violenza o minaccia, sia nel caso di simulazione, quando questa è consensuale o comune ad entrambe le parti che hanno stipulato il matrimonio; quindi non sarebbe annullabile il matrimonio se uno solo dei due avesse ritenuto di sposarsi per finta e l’altro avesse inteso di sposarsi per davvero.
Nel caso specifico, è pacifico che la simulazione è bilaterale. Tutti e due hanno voluto sposarsi per finta e, in questo caso, non è particolarmente importante sapere se c’è stata anche un’effettiva violenza o minaccia.

La legge prevede che la procedura di annullamento del matrimonio possa essere promossa per l’uno o per l’altro di questi due motivi. Ma non è possibile mutare in corso di causa la versione dei fatti e quindi chiedere l’annullamento del matrimonio, prima dicendo che è stato stipulato in base a violenza o minaccia, e poi sostenendo che c’è stata simulazione consensuale; come pure non è possibile chiedere l’annullamento del matrimonio in ragione della asserita simulazione consensuale e poi chiedere che venga annullato in virtù di una minaccia o di una violenza che sarebbe stata perpetrata ai danni di una delle due parti o di tutte e due.
In questo caso sicuramente c’è stata simulazione (art. 123, c.c.), considerato che i due non hanno mai vissuto insieme; nessuno mai potrà testimoniare di avere visto queste due persone entrare nella stessa casa, ivi dormire, o uscirne insieme. E’ quindi pacifico che il matrimonio è simulato, al punto da rendere superflua la dimostrazione di una eventuale e presumibile violenza e minaccia da parte dello sfruttatore che lo ha combinato.
Ne discende che, anche una semplice richiesta di annullamento in base alla evidente simulazione di matrimonio, potrebbe avere ottime probabilità di accoglimento a condizione di dimostrare che nessuno dei due ha mai vissuto insieme.

Sarebbe assurdo far finta di niente e promuovere la normale separazione giudiziale. Innanzitutto perché ciò comporterebbe tempi molto più lunghi per conseguire l’effetto voluto, perché dopo la separazione devono trascorrere almeno tre anni per ottenere lo scioglimento del matrimonio con la procedura del cosiddetto divorzio.
D’altra parte, come abbiamo già detto, sconsigliamo assolutamente all’interessata di mantenere formalmente in vita il matrimonio per tentare di ottenere la cittadinanza italiana, perché da ciò potrebbe solo conseguire un procedimento penale.

La strada giusta è quella di un’azione di annullamento del matrimonio dimostrando come sono andate le cose. Certo possiamo immaginare che ripercorrere la sua vicenda possa essere penoso per la diretta interessata, anche se, tuttavia, in un procedimento civile di questo tipo, dobbiamo ritenere che la comparizione davanti al giudice della stessa sia limitata ad una sola udienza mentre tutto il resto del lavoro lo svolgerà un avvocato. Una soluzione pertanto esiste e si tratta solo di attivarla.