Il fatto che l’interessato si trovi in una situazione di semplice convivenza more uxorio (vale a dire, come se fosse coniugato ma senza esserlo) e non di matrimonio non da diritto all’acquisto della cittadinanza. In Italia la convivenza di fatto non è riconosciuta dal punto di vista giuridico, sotto nessun profilo. Ricordo che siamo in un paese cattolico, dove il matrimonio formale viene particolarmente protetto ed anche il recente dibattito sulle convivenze e su un’eventuale proposta di legge al riguardo, lo dimostra chiaramente, purtroppo.
Il fatto che si tratti di padre di bambina italiana non dà – secondo la legge – maggiori possibilità o tempi di attesa ridotti e non permette di far valere un’anzianità di soggiorno e di residenza inferiore rispetto a quella richiesta generalmente agli stranieri per la cosiddetta “naturalizzazione” ovvero per la concessione della cittadinanza rilasciata in base all’art. 9, comma 1, lett. f) della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (“Nuove norme sulla cittadinanza” in G.U., Serie gen. – n. 38 del 15 febbraio 1992), “allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica”.
Peraltro, come precisato in una sentenza recente della Corte d’Appello di Torino (che ha riformato una sentenza di primo grado), non basta avere il permesso di soggiorno regolare da 10 anni, ma è necessario avere, con la stessa decorrenza, anche una regolare residenza anagrafica.
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