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da Il Manifesto del 12 febbraio 2006

Banlieues e immigrati, svolta repressiva in Francia

ANNA MARIA MERLO
PARIGI

La risposta repressiva del governo alla crisi delle banlieues dello scorso novembre è ormai definita: ieri Dominique de Villepin ha deciso di far ricorso all’articolo 49-3 per far passare senza ulteriore dibattito parlamentare la legge sull’«eguaglianza delle possibilità» – evitando così l’ostruzionismo della sinistra – che contiene non solo l’apprendistato in azienda per i ragazzini di 14 anni (cioè due anni prima della fine dell’età dell’obbligo), ma anche il famigerato emendamento che istituisce il Cpe, il contratto «prima assunzione», contestato nelle piazze in questi giorni ma senza la forza necessaria, che impone due anni di precariato, durante i quali il giovane di meno di 26 anni potrà essere licenziato senza giustificazione. La sinistra risponderà con una mozione di censura, che però non ha nessuna possibilità di passare visti i numeri in parlamento a favore della destra. L’altra arma sarà la nuova legge sull’immigrazione, di cui sono state presentate ieri le grandi linee. La svolta è l’immigrazione «scelta» e non più «subita». Il ministro degli interni, Nicolas Sarkozy, padre della legge, si è dispiaciuto ieri che «l’Europa accolga troppi immigrati sotto-qualificati». Così, la nuova legge prevede un nuovo titolo di soggiorno per i lavoratori, che si chiama «competenze e talenti»: durerà un anno, rinnovabile, ed è riservato a persone altamente qualificate, artisti, intellettuali, ricercatori, sportivi, «suscettibili di partecipare, grazie alle loro competenze e talenti, in modo significativo e durevole allo sviluppo dell’economia francese o del paese di cui hanno la nazionalità». Per gli altri, invece, c’è il giro di vite. Villepin rifiuta di inserire nel testo di legge il termine di «quote», ma di fatto le istituisce: ogni anno, il governo darà delle stime, con valore «indicativo», degli immigrati che il paese vorrà accogliere, «tenendo conto della situazione demografica della Francia, delle prospettive di crescita, dei bisogni del mercato del lavoro e delle capacità di accoglienza». Il ricongiungimento familiare viene reso più difficile: bisognerà giustificare un guadagno «stabile e sufficiente» per mantenere i familiari, di avere una casa «considerata normale per una famiglia simile che vive in Francia» e i familiari dovranno dimostrare di avere un buon livello di «integrazione repubblicana». L’«integrazione repubblicana», cioè conoscere le leggi, parlare la lingua ecc., diventa un criterio generale per ottenere un permesso di soggiorno. Se il lavoratore che ha ottenuto un permesso di un anno perde il posto, verrà espulso e avrà solo quindici giorni per «lasciare il territorio» assieme alla famiglia, anche se i figli frequentano la scuola. I matrimoni con stranieri saranno sottoposti a controlli severi e per un congiunto straniero ci vorranno tre anni dal matrimonio per poter chiedere il permesso di soggiorno. Salta anche la norma del permesso di soggiorno di dieci anni. Il criterio generale diventa il «caso per caso», cioè immigrazione «scelta». Stessa cosa per gli studenti, che verranno «scelti» non si sa bene da chi, in base al loro curriculum scolastico.

La sinistra promette battaglia. Al vertice di mercoledì alla Mutualité, che ha riunito gli esponenti di quasi tutta la gauche (fatta eccezione per i trotzkisti, che l’hanno disertato), l’opposizione ha assicurato che sarà «unita» nella lotta contro la nuova legge sull’immigrazione. Jack Lang ha denunciato ieri «l’inflazione legislativa anti-stranieri» del governo Villepin, dove la rivalità tra il primo ministro e Sarkozy si sta traducendo in una corsa a chi è più repressivo.