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Mauritania – Canarie: andata e ritorno (forzato)

Nuove geografie nel controllo delle frontiere

La storia si ripete e il sogno s’infrange nei centri di detenzione, nel trasferimento al Cpt di Fuerteventura, in un aereo che riporterà i migranti al punto di partenza o ad essere nuovamente detenuti in un centro spagnolo.
Gli sbarchi continuano a susseguirsi, spinti dall’idea che per poter abbandonare l’Africa e arrivare in Europa bisogna solo attendere pazientemente la fine del viaggio in cayucos.
Solo tra il 5 e il 7 maggio sono approdate 6 barche cariche di 452 migranti. Nella notte tra il 14 e il 15 maggio altre 1000 persone sono arrivate alle coste sud di Tenerife e sono state detenute in attesa di essere espulse.
Espulse perché arrivate illegalmente: l’immigrazione diventa un crimine, la clandestinità un commercio per molte persone e la repressione continua, senza preoccuparsi delle vite umane che lascia dietro di sé.
Nel corso degli ultimi anni, nella frontiera sud, le immagini si sono susseguite: le pateras che passano lo stretto di Gibilterra per approdare alle coste spagnole, gli assalti alle frontiere di Ceuta e Melilla, i pescherecci che dalla Mauritania attraversano l’oceano atlantico per toccare le coste delle Canarie. La storia si ripete, nel corso degli anni, dalla Libia alle spiagge di Lampedusa, dall’Albania alle coste Pugliesi, dal Marocco in Andalusia e, ora, dalla Mauritania alle isole Canarie.
Tutte le immagini sono cadenzate dalla stessa tragicità e mosse da condizioni insostenibili nei paesi d’origine, ognuno con la sua storia, ognuno con il suo percorso.
I processi migratori si spostano all’avanzare della tecnologia della repressione e della chiusura delle frontiere europee.
La costruzione del Sive, nel 2000, nella zona dello stretto e delle isole nord delle Canarie ha spostato il varco d’entrata dei migranti alle enclavi spagnole in Marocco. La costruzione della nuova frontiera a Melilla e la repressione dell’esercito marocchino ha reso ancora più difficile la conquista dell’Europa dal Marocco.
I confini si spostano sempre più a sud, le distanze si allungano e diventano sempre più pericolose.
Il processo d’esternalizzazione del controllo alla frontiera sud da parte dell’Unione Europea conquista sempre più terreno.
Gli accordi bilaterali tra paesi europei e africani, che sanciscono il diritto di riammissione dei migranti in transito in uno stato, si moltiplicano. In questi ultimi giorni si stanno mettendo in atto operazioni di pattugliamento marittimo congiunte tra i diversi paesi che si affacciano sulle coste oceaniche in direzione delle Canarie. I vari corpi diplomatici dei paesi europei e africani coinvolti in questo fenomeno si affrettano a incontrarsi e stipulare patti e accordi, come se ciò di cui stanno parlando non fossero uomini, ma carichi di merce incomoda. Il 18 maggio il Consiglio dei Ministri spagnolo ha istituito il Piano Africa che prevede la creazione d’ambasciate spagnole su tutto il territorio africano e la firma di accordi di riammissione con Senegal, Mali, Guinea Bissau, Guinea Conakry e Gambia.
Ora sono le coste della Mauritania il punto di partenza per raggiungere l’Europa.
E’ il porto di Nuoadibou che accoglie i migranti che aspettano di prendere il largo e tentare i mille km di traversata. Sono i pescatori o i trafficanti di tabacco mauritani e senegalesi che mettono a disposizione le loro barche per un commercio più redditizio: quello dei migranti che cercano di passare al continente europeo.
I sogni di coloro che decidono di abbandonare il loro paese si continuano ad affollare nei boschi di Nador, di Ceuta, fino alla periferia di Nuadibou, con lo sguardo fisso dall’altro lato del continente.
Un’attesa lunga a volte anni che trasforma il transito in installazione.
Un’attesa che, fino a pochi mesi fa, serviva a costruire scale per oltrepassare la frontiera alta sei metri, aspettare la notte e, tutti insieme, tentare la fortuna.
Un’attesa che ora permette di mettere da parte i soldi persi nella traversata del deserto, comprare con i compagni un cayucos, pagare un marinaio del luogo e aspettare la notte giusta per salpare.
Da Nouadibou i cayucos, barche lunghe intorno ai 16 metri, cariche di migranti, salpano in direzione nord-est e costeggiando il Sahara si tengono a una media di 130 km della costa e da lì, cercando di schivare i controlli del Sive, raggiungono Tenerife e Gran Canaria. Il viaggio, che può durare da due a sette giorni, è pieno di pericoli che ne possono mettere a repentaglio l’esito. In questi ultimi mesi l’oceano atlantico si è trasformato in un cimitero d’uomini e barche, affondate per il troppo carico, per un’onda più grande del solito, per un tentativo di salvataggio.
Solo nei mesi di febbraio e marzo è stato stimato che più di 1700 persone hanno perso la vita cercando di raggiungere le Canarie. In questo macabro conto non sono prese in considerazione le decine d’imbarcazioni di cui non si ha più notizia e di cui non si ritrova la carcassa e le decine di persone di cui si perdono i contatti una volta che sono in alto mare. Il 60% di coloro che partono dalle coste africane, secondo le statistiche della Croce Rossa, sbarcano sulle coste canarie. Il 40% perde la vita fuggendo dal proprio paese per seguire il sogno europeo.
La maggior parte di coloro che riescono a raggiungere le isole verrà identificata dalla Guardia Civil e sarà detenuta in un Cpt in attesa del primo volo per la Mauritania o per un altro Cpt in Spagna.
I voli tra la le Canarie e la Mauritania in questi ultimi mesi si sono intensificati, grazie al ripristino degli accordi bilaterali firmati nel 2003 da Spagna e Mauritania che sanciscono il rimpatrio di tutti i migranti che hanno transitato in territorio mauritano.
Ritornati al punto di partenza, senza più neanche i 1000 euro spesi per il viaggio, i subsahariani sono stipati in centri d’emergenza, spesso caserme militari, in attesa di essere rilasciati nel deserto o di prendere un aereo che li riporti nel loro paese d’origine.
Nelle città del nord della Mauritania le voci dei distinti paesi si mescolano. Venuti dal Senegal, dal Mali, dalla Guinea, dalla Sierra Leone, dalla Nigeria, attraversando il deserto, i migranti arrivano sulla costa tentando la fortuna su una barca, una, due, infinite volte fino a quando riusciranno a raggiungere le coste canarie e quelle spagnole. Un’odissea che spesso dura diversi anni, spesso viene affogata dal mare, a volte, dopo innumerevoli espulsioni e ritorni termina nel punto di partenza, raramente apre le porte alla condizione di “irregolare” in Europa.

A cura di Sara Prestianni