Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Gazzettino del Nord Est del 23 novembre 2006

Le schiave viaggiano come merci, fino al bordello

di Giuseppe Pietrobelli

Ma chi ha detto che i bordelli non esistono? Prendete l’autostrada Serenissima in direzione est, ovvero nel senso contrario rispetto alle rotte della grande tratta che viene dall’Austria e dalla Slovenia. Superate la tangenziale di Mestre e uscite allo svincolo di Quarto d’Altino. Il condominio è elegante e ha un nome famoso. Il portone è chiuso, all’interno s’intravvedono marmi, specchi e ascensori luccicanti. Il videocitofono chiede, per entrare in comunicazione, di digitare il codice di uno dei 68 appartamenti, ma soltanto per quattro di essi è indicato il cognome degli occupanti. Sembra il più inespugnabile, anonimo e riservato dei palazzi. Ma le apparenze a volte ingannano. Qui le porte sono aperte, apertissime, anzi socchiuse. Basta percorrere uno dei quattro corridoi, vagamente arcuato, per capire. Ogni porta un numero, ogni monolocale un tappetino. Non ci sono vasi di fiori, nè biciclette, nè alcun oggetto che denoti un brandello di normale esistenza. Soo geometrie vuote, riempite da un sottofondo curioso, decine di televisori contemporaneamente accesi. Non c’è quel chiacchiericcio che contraddistingue le famiglie. Volteggiano nell’aria profumi esotici, zaffate promiscue, odori intensi. E qualche porta è maliziosasmente accostata, come in attesa di una visita.

Non aspettatevi lemaitresse, nè le donnine svestite esaltate dai film di Tinto Brass. Le prime non ci sono. Le altre stanno dentro, in trenta metri quadrati, con angolo cottura e porta a soffietto per dividere il reparto giorno da quello del piacere. Ma è la stessa cosa. C’è il frigo e la lavapiatti, l’aria condizionata e il riscaldamento elettrico. Cinquecento euro al mese più 150 euro fisse di spese condominiali (salvo conguaglio). Che questipied à terrenascondano le nuove schiavitù o soltanto il mestiere più antico del mondo è difficile da verificare. Di certo si trovano lungo il percorso obbligato che le donne venute dall’est percorrono per raggiungere il cuore dell’Europa opulenta. Qui dentro non ci vengono assistenti sociali nè operatori di strada. I carabinieri si fermano sul piazzale, fanno un giro alla sera per accertarsi che sia tutto in ordine.

Ma anche questa è una finzione. Oltre la facciata, l’inferno. Il ragazzotto che abita al piano terra fa il muratore, è venuto dal Friuli, è sposato ma non ha figli («Fortunatamente») e sta cercando disperatamente di scappare via. È uno dei quattro poveracci che in questo palazzone ci vivono per davvero. «Ci vorrebbe Charles Bronson». Prego? «Sì, il vendicatore, uno che li sistemi tutti». Qualche buon motivo non gli manca. «Una notte mi ha suonato un uomo con 50 euro in mano: “Fammi entrare ti prego, se ne vuoi te ne do anche 100…”». Un’altra volta, di pomeriggio: «Era il giorno dopo l’indulto e trovo uno che fa i suoi bisogni sul mio tappeto, era appena uscito di galera, era fatto completo, perfino le ragazze non lo avevano voluto far entrare. Mi ha minacciato. Non mi vergogno di dire che l’ho picchiato. Sono arrivati anche i carabinieri, mi dicevano di dargliene perchè loro non potevano farlo. Il corridoio era pieno di sangue. I miei vestiti? Li ho presi con i guanti e li ho bruciati».

Le pareti di carta velina non hanno segreti, il piacere conosce amplificazioni imbarazzanti. «Una volta c’era questa fama, ma adesso stiamo mettendo le cose a posto. Ad esempio c’è un ragazzo per le pulizie dalle 15 alle 21, l’orario più critico». Nell’ufficio dell’amministratore del condominio si ammette qualcosa, ma si minimizza. I proprietari sono numerosi, par di capire che non vi sia un’unica regia. E comunque gli inquilini possono fare ciò che vogliono tra le quattro mura pagate profumatamente e che valgono un sacco di grana.

Sono i soldi degli uomini del Nordest pronti a spendere il doppio di quanto non facciano sulle strade. Non è un caso se il bordellone è a due passi dall’autostrada. Il Veneto e Friuli non sono solo terre di transito della tratta, sono anche luogo di consumo. Ed è questa, come mille altri luoghi, il punto di approdo delle donne che un’organizzazione feroce e attrezzata sradica dal loro paese. Qui finisce il lungo viaggio cominciato a centinaia di chilometri di distanza. L’autostrada è un canale inarrestabile di rifornimento per una merce in carne ed ossa che perde la sua umanità più si avvicina all’Italia fino ad assumere le sembianze del semplice oggetto di consumo, ma con i tacchi a spillo.

In tutto questo c’entra anche il modello economico del Nordest. Claudio Donadel, esperto di tratta. «Dal 2000 in poi hanno cominciato ad arrivare le rumene. Prima c’erano le albanesi, controllate dai loro clan. Poi il mercato si è esteso, riflettendo logiche da globalizzazione. Le rumene sono arrivate dentro i camioncini che trasportavano le merci prodotte dalle prime industrie italiane che a Timisoara avevano cominciato la delocalizzazione».

Le hanno incontrate a Mestre, qualche anno fa, gli operatori di strada. E hanno capito che facevano lo stesso percorso delle partite di scarpe o di quanto gli industriali veneti producevano laggiù a costi più bassi. Nessun coinvolgimento diretto degli imprenditori, ma i magazzinieri compiacenti e i doganieri corrotti favorivano la tratta. Con il tempo si è scoperto che molte di coloro che si prostituivano a Bucarest o Timisoara, per gli italiani in trasferta, erano venute quaggiù alla ricerca di più lauti guadagni.

Ma a differenza della merce materiale, le donne vittime di tratta non hanno sempre un mittente e un destinatario. Nel loro peregrinare subiscono i trattamenti più diversi, spesso violenti, conoscono l’iniziazione alla vita da strada. È un trasferimento a tappe, vengono passate da un gruppo all’altro, mentre superano le frontiere, in una sorta di staffetta. Passano di mano in cambio di denaro. Sono un costo che viene rimborsato a chi effettua il trasporto, ma sono anche un ottimo investimento per chi poi le cederà. Alla fine, a pagare il biglietto saranno solo loro, accettando lo sfruttamento dei propri corpi.

Qualche anno il sostituto Raffaele Tito scoprì a Trieste che le donne venivano messe in vendita, una specie di asta pubblica, in autostrada. In quella kashbah che è l’area di servizio di Gonars, la prima dopo l’incrocio delle autostrade provenienti da Slovenia e Austria. Donne vendute come animali.

La fatica di ricostruire la rete nel suo complesso è causata da questa frantumazione, anche se la filiera è rigidamente compartimentata. Ma sono sensibili le variazioni a seconda delle etnie delle bande. Dopo il grande inganno, o la tentazione di una vita nuova di cui non si intuiscono perfettamente i contorni, comincia la prima fase del viaggio. Il racconto di V., ingannata dal fidanzato, è esemplificativo. «M. mi aveva chiesta in sposa e andiamo nel suo appartamento. Il giorno dopo in cinque siamo partiti per l’aeroporto di Bucarest. M. ci dice che aveva fatto i visti per la repubblica Ceca. A Praga ci vennero a prendere un rumeno e un ceko con due auto. Dopo tre ore ci siamo fermati in un appartamento al confine austriaco. Abbiamo dormito una notte e ho sentito due sorelle che parlavano di un lavoro sulla strada. Ho chiesto spiegazioni a M. che mi ha confermato che in Italia avrei dovuto prostituirmi. Lì aveva altre due ragazze che lavoravano per lui. Mi ribellai, ma minacciò me e la mia famiglia. Mi chiuse a chiave. Poi mi disse che lavorando avrei rimborsato i soldi e mi avrebbe fatta andare via. Ma non mi disse la cifra… Un ceko ci portò a un furgone con altre nove persone. Attraversammo la frontiera austriaca a piedi, con un rumeno, sotto la pioggia attraverso campi e boschi. Siamo arrivati in Austria dove ci attendeva il furgone che aveva passato normalmente il confine. Il mattino dopo eravamo a Udine. Al passaggio della frontiera italiana l’uomo che guidava ci disse di nasconderci per terra nel furgone. Nessuno ci ha fermati».