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Migrazioni climatiche e tratta di esseri umani

Come e perché i fenomeni sono interconnessi

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Le conseguenze dei cambiamenti climatici colpiscono in misura maggiore aree del mondo già esacerbate da conflitti sociali, vulnerabilità e guerre. Spingendo chi è costretto a migrare nelle mani dei trafficanti.

I cambiamenti climatici colpiscono tutti, ma non tutti allo stesso modo. È quanto emerge anche dall’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) 1: circa 3.6 miliardi di persone vivono attualmente in contesti altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici. Le comunità più colpite da insicurezza idrica e alimentare, inondazioni e siccità si trovano in Africa, Asia, America centrale e meridionale. I dati sul presente e sul futuro prossimo delineano un quadro di emergenza assoluta: secondo l’IDMC 2, i disastri hanno provocato 32.6 milioni di nuovi sfollati interni nel 2022. I paesi con il più alto tasso di sfollamento interno sono stati Pakistan, Filippine, Cina, India e Nigeria.

La maggior parte dei migranti climatici proviene da zone già sufficientemente esacerbate da conflitti etnici, povertà diffusa, scarso accesso alle risorse, alla sanità, ad una vita dignitosa. Come Sambo Maiga, agricoltore nel villaggio di Taouremba, in Burkina Faso, che racconta nel rapporto di Legambiente “Umanità in Fuga” (2023) 3 come il suo Paese sia diventato «teatro di una tragedia»: «i cambiamenti climatici distruggono l’agricoltura e la carenza di risorse diventano focolai di tensioni e conflitti, capaci di innescare spostamenti forzati su larga scala».

Entro il 2050 oltre 200 milioni di persone saranno costrette a migrare a causa degli effetti del surriscaldamento globale.

In Africa settentrionale, zona già ad alta tensione, ci sarà la più alta percentuale di migranti climatici, 19 milioni di persone, circa il 9% della popolazione dell’area, a causa della riduzione delle risorse idriche.

Tratta, sfruttamento lavorativo e cambiamenti climatici: tante facce della stessa medaglia

Le catastrofi climatiche e la crescente scarsità di risorse colpiscono le comunità più vulnerabili del mondo, aggravando dinamiche sociali preesistenti: l’unica soluzione, spesso, è la migrazione forzata.

L’eccezionalità degli eventi climatici – le cui comunità vengono irrimediabilmente devastate da inondazioni, siccità, ondate di calore, cicloni, innalzamento del livello del mare – espone i migranti stessi ad un maggiore rischio di tratta e sfruttamento lavorativo. Le migrazioni avvengono, infatti, perché le opportunità di sostentamento e sopravvivenza nel Paese d’origine sono gravemente minacciate, o hanno cessato di esistere. In queste circostanze, la migrazione avviene “in distress”, cioè in una situazione di grave bisogno e precarietà, terreno fertile per i trafficanti, come sottolineato da Anti-Slavery International 4. I trafficanti, come accade pressoché dappertutto, forniscono offerte di lavoro fittizie, ma allettanti, all’estero o in altre zone del Paese di reclutamento, con la promessa di pagare viaggio e documenti.

«Gli eventi meteorologici estremi contribuiscono alla distruzione dell’ambiente, costringendo le persone ad abbandonare le proprie case e rendendole vulnerabili alla tratta, allo sfruttamento e alla schiavitù», afferma Fran Witt – consulente per i cambiamenti climatici e la schiavitù moderna di Anti-Slavery International – sul Guardian.

Occorre distinguere gli eventi “a insorgenza lenta”, come la siccità, il degrado del suolo, l’innalzamento graduale delle temperature o del livello del mare, rispetto a eventi a insorgenza rapida come inondazioni, uragani, tempeste. Le scelte migratorie di eventi catastrofici inaspettati sono immediate, repentine e poco calcolate: dopo un disastro, a seguito degli sfollamenti che si verificano, i trafficanti operano e sfruttano il desiderio di sicurezza e la ricerca di un nuovo reddito. L’OIM mette in guardia 5 sulla specifica attenzione che va rivolta ai campi creati per ospitare gli sfollati successivamente ai disastri naturali: «questi ambienti attraggono attori criminali e possono diventare bersagli per i trafficanti di esseri umani. A volte, anche le famiglie o gli individui colpiti possono ricorrere alla tratta o collaborare con i trafficanti per guadagnare denaro».

Diversa, seppur preoccupante, è la situazione per coloro che vivono in zone colpite da eventi che si manifestano in modo più graduale. Si prevede, infatti, che entro la fine del secolo il livello del mare aumenterà almeno di 0,5 metri: 150 milioni di persone – tra cui gli abitanti delle isole del Pacifico, come le Maldive, le Tuvalu, le Marshall o Kiribati – vivono in aree a meno di un metro sopra il livello del mare, e rischiano di perdere completamente le proprie terre. Allo stesso modo la siccità negli ultimi anni ha causato partenze di massa dal Sahel, Argentina, Brasile, Siria e Iran. Le scelte migratorie di queste comunità sono meno improvvise e più calcolate, hanno come destinazione le aree urbane più vicine, trovando spazio negli slum e nelle baraccopoli. Nel lungo periodo, senza risparmi, possibilità di istruzione ed emancipazione, diventano allo stesso modo bersagli facili dello sfruttamento.

L’Asia Pacifica: un’area ad alto rischio

Nel continente asiatico gran parte della migrazione avviene all’interno della regione, dai centri rurali a quelli urbani. La tratta si verifica lungo le stesse rotte migratorie tradizionali, agevolata da gruppi o reti criminali organizzate. Nell’area convivono tre modelli migratori – intra-area, verso i Paesi del Golfo e verso i Paesi OCSE 6. La crescente carenza di manodopera in Malesia, Tailandia, India e Cina ha causato un enorme afflusso di migranti dal Bangladesh e dai paesi limitrofi. Si registra poi una migrazione in larga scalaverso gli Stati arabi del Golfo Persico, dove i migranti, spesso ingannati, vengono impiegati nel settore edile, manifatturiero o nello sfruttamento sessuale. Infine, una migrazione verso l’Europa: migranti economici, migranti forzati – a causa di instabilità politica e conflitti nell’area – e migranti climatici.

Parallelamente, infatti, la regione è ad altissimo rischio di vulnerabilità a causa dei cambiamenti climatici. La siccità, ad esempio, ha effetti particolarmente devastanti sulle famiglie che abitano nelle zone rurali: diverse organizzazioni non governative che operano in India, spiega l’OIM, hanno evidenziato come i trafficanti operino nei periodi più difficili, prima del raccolto e durante le fasi di forte siccità. La tratta include tutti: gli uomini vengono trafficati per lavorare nelle fornaci di mattoni, le donne costrette a prostituirsi, mentre i bambini vengono sfruttati nel settore edile.

Nel 2013, il tifone Haiyan, conosciuto nelle Filippine come tifone Yolanda, ha ucciso più di 6.000 persone, lasciando circa 4.4 milioni di sfollati. Tra questi, Luwalhati 7, costretta a cercare lavoro all’estero per provvedere alla famiglia, sostenere la madre malata e i due fratelli minori a Tacloban City.

La sua storia è l’esempio di tanti e tante vittime di tratta provenienti da territori colpiti da disastri ambientali: Luwalhati incontrò infatti un reclutatore locale che le offrì un posto ben retribuito in una fabbrica all’estero, promettendole di coprire tutte le spese per il viaggio. Dopo aver lavorato a Dubai, la donna venne venduta ad un uomo in Kuwait, dove le venne confiscato il passaporto, costretta a lavorare dalle 12 alle 15 ore al giorno, senza mai ricevere stipendio. Ha lavorato cinque anni in Kuwait, vittima di tratta a sua insaputa, poi riuscita a scappare grazie ad una vicina e all’aiuto di una ONG locale.

I casi di tratta tra il 2013 e il 2015 nell’area registrati dalle autorità nazionali sono stati circa 670 – un numero da considerare sottostimato. Più recentemente, il super tifone Rai, che si è abbattuto sulle Filippine a cavallo tra il 2021 e il 2022, ha causato più di mezzo milione di sfollati. Secondo l’UNODC 8, ci furono danni diffusi nel settore agricolo, esacerbando le vulnerabilità delle popolazioni indigene della zona e ponendo a rischio tratta e sfruttamento più di 2.2 milioni di persone.

Anche nelle Sundarbans, la più grande foresta di mangrovie al mondo, che si estende al confine tra India e Bangladesh, gravi cicloni hanno causato inondazioni del delta, riducendo la terra disponibile per l’agricoltura. I trafficanti che operano nella regione hanno come obiettivi vedove e uomini rimasti senza terra, che vogliono attraversare il confine con l’India, verso Dhaka o Kolkata per trovare lavoro e nuove forme di sostentamento. Le vittime di tratta in questa zona, racconta il Guardian, sono sfruttate sessualmente o indotte ai lavori forzati.

Conclusioni

I cambiamenti climatici, come detto, colpiscono e colpiranno negativamente zone del mondo già vulnerabili. Una combinazione di eventi a insorgenza lenta e disastri improvvisi sta destabilizzando le comunità urbane e, soprattutto quelle rurali. Fin dall’inizio delle consultazioni internazionali sul tema, Stati, imprese, stakeholders e organismi multilaterali hanno trattato il cambiamento climatico come una minaccia esterna e non come la conseguenza di un sistema economico globale basato su sfruttamento delle risorse e del lavoro in nome di una crescita infinita e del profitto di pochi. L’analisi di Anti-Slavery 9 spiega come esiste un circolo vizioso che lega cambiamento climatico, danni ambientali e sfruttamento lavorativo, con conseguente tratta interna e internazionale.

Gli impatti del cambiamento climatico, infatti, aggravano le vulnerabilità economiche e ambientali, aumentano esclusione ed emarginazione sociale, costringono intere comunità a migrare e a cadere nelle mani di trafficanti e sfruttatori. Molti di questi lavoratori sono impiegati – direttamente o indirettamente – in attività che provocano ulteriore devastazione ambientale, con conseguente aumento delle emissioni che alimentano ulteriormente il cambiamento climatico. Appare chiaro come allora serva un cambio di passo reale, che metta in discussione il sistema esistente, basato su un sistema capitalistico che sfrutta la terra e i lavoratori, induce a migrazioni forzate senza canali sicuri di movimenti tra confini.

  1. Consulta il rapporto in sintesi e quello integrale
  2. International Displacement Monitoring Centre, organizzazione internazionale fondata nel 1998 il cui obiettivo è monitorare e fornire informazioni sugli sfollati interni nel mondo
  3. Consulta il rapporto (.pdf)
  4. The costs of the climate crisis (.pdf)
  5. Consulta il documento The climate change-human trafficking nexus (.pdf)
  6. Flussi migratori, Osservatorio di Politica Internazionale, CeSPI, gennaio-aprile 2023 (.pdf)
  7. Nome di fantasia, testimonianza presente all’interno del Report “The costs of climate crisis” di Anti-Slavery e Walk Free (2023)
  8. Global Report on Trafficking in Persons 2022
  9. Leggi From a vicious to a virtuous circle (.pdf)

Albertina Sanchioni

Mi sono laureata in Sicurezza Globale con una tesi sulle implicazioni sui diritti umani degli algoritmi relativi all’hate speech nei social network, con un focus sul caso del popolo Rohingya in Myanmar.
Volontaria dello sportello anti-tratta a Torino, frequento il Master in “Accoglienza e inclusione dei richiedenti asilo e rifugiati” all’Università Roma Tre.