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Gli schiavi dell’Est all’appello del caporale

Ogni mattina alle 6 clandestini in fila: “muratori in nero per restaurare Venezia”

Venezia – Dentro lo zaino le scarpe di ricambio, una maglietta di sotto e un pile sintetico per il freddo. Qualcuno porta anche guanti da lavoro e attrezzi: una mazzetta, una cazzuola, uno scalpello. Non si sa mai. Vendono le braccia, alla giornata, a tre euro l’ora, per quella Venezia che ha così tanto bisogno di muratori per farsi restaurare. Alle sei del mattino Piazzale Roma si trasforma. Per due ore diventa il supermarket della manodopera. Chi vuol trovare lavoro viene qua, poco importa cosa si sappia fare, tanto si fa solo quello. “Vieni, vieni a vedere dove sta il lavoro nero”. Andiamo.
Eccolo il caporalato, fatto da stranieri che assumono altri stranieri clandestini. All’ombra di baracchini dei baracchini di specialità veneziane “made in Taiwan” ancora chiusi non si parla italiano. Non serve. Anzi, forse è meglio. Basta avere mani buone e bocca chiusa. E’ qui, sotto gli occhi di tutti, che si affonda nella piaga del lavoro nero, della clandestinità, degli infortuni sul lavoro, dell’evasione. “il 90% dei lavoratori che vedete nei piccoli cantieri a Venezia è tutto in nero”, ci spiega uno di loro. “Non nelle grosse imprese, ma nei micro-appalti e quel che è pericoloso non è il nero – dicono i sindacati veneziani di categoria – ma il grigio. Questi aprono azienda per tre mesi,poi la chiudono”, giusto il tempo per non pagare i contributi all’Inail, Inps, Cassa edile. Diventano invisibili. Fino a quando qualcuno si fa male.

In questa fredda mattina di Febbraio tutto il piazzale brulica di manovali. Molti sanno già dove andare, altri si fermano ad aspettare un ordine: “Tu di là. Tu dall’altra parte”. Un ragazzo con lo zaino si avvicina ad un gruppo probabilmente di connazionali. Tira fuori dalle tasche un biglietto e chiede di qualcuno. “Di là”, sembrano dirgli. E lui va a chiedere ad altri uomini. Uno di questi sorride, fa battute con i compagni, che ridono. Il padrone non toglie mai le mani di tasca e il fiato gli esce bianco denso dalla bocca magra. Poco dopo sembra che l’affare si sia concluso, e quello, con lo zainetto in spalla,si chiude nel suo giubbotto di jeans leggero aspettando un ordine.
Ci spiegano che non tutti quelli che si fermano a contrattare sono clandestini, ne tutti quelli che comandano sono caporali. In questa piazza arriva il buono e il cattivo. E’ una casbah. Le luci della mattina riscaldano poco i volti, gli occhi stanchi, le barbe sempre da fare, i capelli crespi e già impolverati. Scendono da autobus colmi con i vetri appannati e da pulmini polverosi. I sindacati stimano quattromila persone ogni mattina. Ad attenderli, oltre agli impresari “regolari”, ci sono i “gazda”, i padroni, in lingua macedone. Son vestiti come gli altri ma comandano.. Attorno a loro si formano dei capannelli di persone. E’ a questi che si deve chiedere per lavorare. Un gazda dà lavoro senza chiedere molto. 40 euro, 12 ore al giorno. Tre euro e qualcosa all’ora tutto compreso, e si prendono dopo tre mesi, se il padrone sarà onesto. Secondo la tabella paga in vigore dal primo gennaio 2007 un operaio comune, in regola, va pagato 7 euro e 69. Nove e 57 se di quarto livello. Poi c’è la cassa edile, i permessi, i contributi. Arriva quasi a 10 euro l’ora, quasi 12 l’altro.

Di sera questi uomini, nei bar di via Piave a Mestre dove si trovano fra connazionali, elencano a bassa voce con disgustata ammirazione, le proprietà di questi sfruttatori. Case, appartamenti a Mestre e nella prima periferia che affittano ai lavoranti, macchine di lusso. “Non possiamo fare controlli dentro i cantieri – spiega Paolo Bizzotto degli edili della Cisl regionale – ma sappiamo che il lavoro nero è mascherato dalle partite Iva, dalle aziende artigiane, dalle ditte individuali”. Il meccanismo è semplice: Si apre partita Iva e con firma ci si iscrive alla Camera di commercio o agli artigiani. Aziende che nascono e muoiono come le farfalle, giusto il tempo di scomparire dietro le scartoffie degli uffici. Dati ultimi della Camera di commercio di Venezia (secondo trimestre 2006): ci sono 11.092 imprese edile attive a Venezia, 69.283 in Veneto. Nel primo trimestre sono state iscritte 588 imprese, 581 sono quelle cessate. Una nasce, una muore. Il 70% del totale sono ditte individuali, il 18% società di persone. “Conosciamo la situazione – dice Enrico Piron, segretario della Fillea-Cgil di Venezia – ma di fronte ai clandestini possiamo fare pochissimo. Stiamo chiedendo che gli operai possano essere considerati come le prostitute, che almeno ricevono il permesso di soggiorno per motivi di giustizia. I nostri, edili clandestini, non possono nemmeno denunciare i loro sfruttatori”.

Michele Monaco direttore dell’Ispettorato del Lavoro di Venezia ci manda i dati del 2006 che chiediamo: 461 cantieri visitati, 363 irregolari, quasi 400 mila euro di sanzioni, il costo di un appartamento di 50 metri quadri a Venezia, e neanche tanto in centro.
Nel 2006 sono stati venti gli operai morti nel veneziano. Erano 12 nel 2005. Certo, non tutti nell’edilizia. “Situazione grave: raddoppiano gli incidenti e i morti – spiega Salvatore Lihard, segretario della Camera del Lavoro veneziana – e secondo le nostre fonti a quei numeri c’è da aggiungere un 20% che non viene registrato”. Ma l’allarme è anche degli stessi organi ispettivi. Spiegava qualche giorno fa il direttore dello Spisal veneziano Giancarlo Magarotto “Siamo in 12 e dobbiamo controllare 20 mila attività produttive, 130 mila lavoratori residenti e altri 50 mila non residenti. Questo è un territorio articolato e complesso. Qui – spiegava Magarotto – i cantieri si chiamano Tav, Mose, Passante, Aeroporto, Porto Marghera. Per noi si spende lo 0,26% dei costi di gestione dell’Ulss 12. Da 10 anni non si fa un’assunzione e le ore lavorate, rispetto l’anno scorso, sono diminuite di sei mila unità. Agli imprenditori manca la cultura della prevenzione, siamo preoccupati”.

Samuele Costantini

Fonte – Corriere del Veneto del 22 febbraio 2007

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