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Padova – Viaggio nel “nuovo Bronx” di via Cairoli

Migranti, diritti e politiche di emergenza, dopo via Anelli l'attenzione si sposta nei pressi della stazione ferroviaria

Padova – Centocinquanta metri stretti tra le alte pareti di due palazzi ravvicinati ad un passo dalla Stazione Ferroviaria, un piccolo incrocio che taglia in due via Bixio, la sbarra sempre chiusa per delimitare gli accessi alle vetture dei soli residenti, via Cairoli non sembra diversa da un altro stretto vicolo di una qualsiasi città europea.
Eppure via Cairoli è diventata negli anni un posto scomodo, per i passanti, per gli abitanti, per i commercianti e per la politica.
Quasi archiviato il caso via Anelli – nel senso che gli sgomberi stanno per volgere al termine, i possibili acquirenti sono alle porte, mentre il muro e lo spaccio sono sempre lì a ricordarci l’inadeguatezza con cui è stata affrontata la vicenda – l’attenzione di mass media, forze dell’ordine e politica, ha spostato i suoi occhi sulla zona limitrofa alla stazione ferroviaria.
Via Cairoli, negli ultimi giorni, è salita alla ribalta delle cronache per essere il nuovo punto del degrado cittadino. Si parla di bottiglie rotte, latrine a cielo aperto, sporcizia e urla, e si finisce per confezionare la vicenda come una nuova emergenza criminalità.

Le zone limitrofe
Sono le 17.00 ed è caldo nelle vie limitrofe alla stazione, sull’area si allunga l’ombra dei super palazzi degli istituti di credito, padroneggianti e imponenti, quasi fossero la fotografia dello scarto che esiste tra chi sta sù, e chi invece vive la “città di sotto”, a volte crudele e spietata, altre viva e ricca di operosità. Poco più avanti c’è il garage dove viene custodito il tanto criticato tram della città del Santo. In questi giorni è deragliato nuovamente e la notizia fa coppia con quella dell’emergenza sicurezza. Si parla proprio di via Cairoli: “il nuovo Bronx”. Le foto pubblicate ritraggono una presunta scena criminosa, pane quotidiano per chi vive lì, si dice.
Avvicinandosi alla zona, lungo via Tommaseo, dall’altro lato di Corso del Popolo, non è difficile imbattersi in persone sedute ai bordi della strada, sul largo marciapiede porticato che la costeggia. Qualche tempo fa, proprio all’ombra di quelle colonne, alcuni agenti avevano malmentato delle ragazze rom. Melting Pot Europa aveva denunciato l’accaduto.
Entriamo in un phone center, il primo lungo la via, il ragazzo chiuso dietro al box dell’entrata dice di non parlare italiano, neppure inglese, ci indica però il negozio del fratello poco più avanti.
Qui nei pressi della stazione, molte attività commerciali, non tutte, sono gestite da cittadini immigrati. Nulla a che vedere però con le concentrazioni dell’ingrosso cinese di via Sarpi, a Milano. Inoltre, sopra ad ogni negozio ci sono case di italiani, studi di professionisti, tra un phone center ed un bazar ci sono alcune agenzie di viaggi.

La paura
Entriamo nel negozio che ci è stato indicato. Il ragazzo del Bangladesh che lo gestisce non sembra entusiasta della nostra presenza. Racconta però come la situazione sia insostenibile, preoccupato di sottolineare come gli italiani non abbiano mai creato problemi. “La colpa”, dice, “è di tutti i rumeni che bivaccano qui intorno, così la gente poi se la prende con noi”.

Usciamo dal negozio e a pochi metri di distanza troviamo le “cucine popolari”. Nonostante siano chiuse, ci sono decine di persone sedute sui gradini d’entrata e dall’altro lato della strada. Da tempo questo spazio sembra insufficiente a raccogliere il numero di persone che lo attraversano. Questa sì è una emergenza.
Davanti c’è la boutique di un barbiere, lui è nigeriano, il cliente seduto sulla sedia è tunisino. Appena chiediamo della situazione scoppia un litigio tra i due. Uno chiede polizia l’altro dice di essere stato uno spacciatore fino a quando non è riuscito a regolarizzarsi, per far mangiare i tre figli. “La legge, bisogna cambiare la legge perché se non hai un documento sei buono solo per lavorare in nero o spacciare”.

Usciti in strada le persone che incrociamo sono perlopiù rumeni, non hanno bisogno del permesso di soggiorno da qualche mese, dopo l’entrata della Romania nell’UE, per questo si parla di “invasione nelle città”. Si parla poco invece del fatto che, dopo l’apertura della frontiera, il numero di regolarizzazioni sul lavoro è aumentato del 150%(dati forniti da un rapporto dell’Osservatorio regionale immigrazione). Questo ci racconta come una politica diversa nelle modalità di accesso all’Europa possa dare i suoi frutti.
Ma l’emergenza sicurezza sembra soffocare ogni dibattito, così anche noi proseguiamo il cammino lasciandoci alle spalle le “cucine popolari”.

L’emergenza
Da via Tommaseo imbuchiamo la fine di Corso del Popolo.
Poche decine di metri ci dividono dal Piazzale della Stazione e da via Cairoli, dall’altro lato della strada. Nell’aria non c’è quel caratteristico profumo di spezie che contraddistinugue la maggior parte dei quartieri arabi di molte città europee.
Ci sono solo qualche “phone center”, alcuni bazar, due venditori di Kebab, qualche bar ed una copisteria gestita da italiani.
A loro chiediamo un parere sulle ronde annunciate dalla Lega Nord per i giorni seguenti, poi finite in un flop. La coppia che gestisce il negozio ci dice restia: “tutta politica ragazzi, tutta politica”.
Sembrano insospettiti dalla nostra presenza, decine e decine di giornalisti hanno varcato la soglia del loro negozio per carpire gli umori dei commercianti italiani in zona, ma loro sono lapidari: “la scorsa settimana è morto un ragazzo, è stato trovato a terra sul marciapiede. Non aveva ferite, e non si trattava di overdose, allora la cosa non fa notizia. Di lui non si sa nulla, di quello che accade qui si parla solo se riguarda lo spaccio o episodi di accoltellamenti”.

Le poche parole strappate valgono più di un racconto dettagliato sull’aria che tira nella zona.

L’ultima tappa prima di via Cairoli la facciamo in un altro phone center. Al banco c’è un giovane cinese. Parla italiano perfettamente, è cresciuto qui. Ci racconta di aver avuto problemi, ma solo con chi non ha i documenti. Lui non è un poliziotto ma è comunque costretto a chiedere i documenti per registrare tutti quelli che si collegano dal suo esercizio, dopo le leggi speciali confezionate qualche anno fa dall’allora Ministro dell’Interno Pisanu. “Gli irregolari? Per loro chiamare a casa è quasi impossibile. Non esistono, non dovrebbero esistere”.
Quando vengono respinti si arrabbiano, si disperano e questo genera discussioni e problemi”.

Questo argomento ci sembra interessante, abbiamo più volte seguito la vicenda delle nuove leggi sui phone center, così entriamo nel prossimo, questa volta gestito da un signore nigeriano. Scegliamo di presentarci con i depliant che abbiamo al seguito e diversamente da prima, troviamo una grande disponibilità a parlare.
Veniamo assaliti dalle richieste di informazioni legali. Ecco alcuni dei problemi che si vivono in via Cairoli e dintorni: la legge che governa gli ingressi, la procedura postale, gli appuntamenti in Questura. Di questo si parla poco però.

Via Cairoli
Lasciamo i numeri di telefono per rispondere alle domande e proseguiamo il cammino per entrare in via Cairoli.
L’emergenza sicurezza non sembra di casa qui, intorno alle 18.30. Tre magrebini sono appoggiati al muro del palazzo alla fine della via, due italiani con gli occhi scavati si avvicinano per contrattare, forse, il prezzo di una dose. Neppure nel quartiere dove vivo mancano fotogrammi di questo tipo.
La scena è triste quanto ogni situazione simile in ogni angolo di ogni città. Ma via Cairoli è stretta, prima tra le pareti dei palazzi e poi da ciò che su di essa si racconta.
A dir la verità qui non c’entra nulla la “questione immigrazione”, sarebbe più corretto parlare dell’inadeguatezza con cui negli ultimi decenni le leggi in materia di “droghe” hanno affrontato la situazione. Tra le pieghe di questa realtà c’è della disperazione, ed alcune scelte hanno contribuito a farla diventare uno dei businness più profiqui del mondo.

La realtà
In via Cairoli c’è gente. Passiamo in mezzo ad un drappello di africani.
Sono nigeriani.
Sostano davanti all’ingresso di un mini-market.
Entriamo. Urlano tutti, chissà che succede. Ci accoglie Victor, “Vittorio” dice lui. Appena capisce che il nostro racconto sarà pubblicato dal Progetto Melting Pot comincia a chiamare gli altri. Ognuno ha una piccola domanda legata al lavoro, alle procedure per i permessi, a quelle per i ricongiungimenti.
Confermiamo: questa rimane la vera emergenza del quartiere.
Il drappello di ragazzi che si trovava fuori entra nel negozio. Le loro foto le avevamo viste nei quotidiani locali accompagnate da didascalie che li definivano spacciatori. I fotogrammi ritraevano la situazione che abbiamo trovato al nostro arrivo, nulla di diverso.
Scopriamo invece che hanno tutti finito da poco il turno di lavoro ed il negozio di Victor è il loro punto di ritrovo.
Victor e Miriam, sua moglie, sembrano orgogliosi di questo, anche se la cosa crea non pochi problemi alla loro attività.
Cominciano i racconti, qualcuno dei ragazzi lavora nelle cooperative di logistica e trasporti, altri sono irregolari e fanno gli ambulanti a Padova e in altre città, i primi ci chiedono notizie su quello che sta avvenendo nelle cooperative bloccate dai lavoratori, quasi tutti immigrati, per scioperare contro le condizioni di sfruttamento che sono costretti a sopportare.
Urlano tutti perché così fanno gli africani, non sono esagitati, sono solo entusiasti della discussione.
Il fatto di presentarci con i depliant di Melting Pot Europa cambia completamente l’atteggiamento dei nostri interlocutori. Nel negozio di Victor passiamo quasi due ore chiacchierando.

La sicurezza
Sicurezza? La percezione della sicurezza sembra un po’ diversa per Victor e amici rispetto a quella presentata dai media e dalla politica. Victor chiede la sicurezza di non essere ripreso dalla telecamera che un vicino tiene puntata sull’entrata del suo negozio ventiquattrore su ventiquattro(scopriremo poi che il vicino di cui parla è quello che ha diffuso i fotogrammi “incriminati”). Chiede che la sua attività non venga ogni volta screditata come covo di spacciatori. Chiede bagni pubblici. Chiede cestini perché così le bottiglie possano essere raccolte, anche se per il momento si è preoccupato lui di distribuirne un po’ lungo la via. Chiede, insieme ad altri negozianti cinesi della via, di poter riparare, anche a loro spese, l’asfalto dissestato, ed in generale lavori di manutenzione per la strada in cui lavorano.
Victor sta proprio in questi giorni finendo i preparativi dei nuovi locali in cui si sposterà il suo piccolo mini-market, venti metri più in là, in un negozio più grande. Lui da via Cairoli non pensa di fuggire.
La polizia?”dice, “quando viene mette tutti al muro ed ogni volta porta in Questura i nigeriani. Alcuni purtroppo non hanno i documenti, altri invece sono regolari. Comunque veniamo fotografati e sbattuti sui giornali. E poi perquisiscono il negozio con i cani. Qui ci sono alimentari, non si può”.

La “tolleranza zero”
Come via Cairoli possa essere diventato un nuovo Bronx sembra una questione che a che vedere più con le linee editoriali di alcuni quotidiani piuttosto che con l’effettiva realtà della zona. Come ogni cosa, vista da vicino, regala sfumature e complessità che il dibattito attualmente dominante rischia continuamente di annebbiare.
D’altro canto la proposta di un patto da stringere tra i sindaci del Veneto, caldeggiata in primis dal leghista Tosi, Sindaco di Verona, e da Flavio Zanonato, Sindaco di Padova, lascia poco spazio all’immaginazione e la dice lunga su quale sia oggi la principale preoccupazione di molte amministrazioni.
Sempre meno si parla di diritti, le discussioni sull’immigrazione si sono spostate dal terreno della cittadinanza a quello della sicurezza. Sarà difficile proporre inversioni di tendenza dentro a questo quadro.
Poco confortante appare anche il richiamo bi-partisan, fatto dagli stessi sindaci, alla famosissima politica della “tolleranza zero” lanciata dall’ex-sindaco di New York, Rudolph Giuliani, durante la sua amministrazione.
Di lì a poco toccheremo con mano anche noi gli effetti di questa campagna.

La fiction
Ci allontaniamo da via Cairoli solo per un’ora, intorno alle 20.00, ed al nostro ritorno troviamo decine di mezzi blindati delle forze dell’ordine che chiudono le vie di accesso alla zona. Cos’è la sicurezza, oggi, lo vediamo con i nostri occhi.
Il negozio di Victor è perquisito, noi riusciamo a passare, ed al nostro ingresso gli agenti si allontanano. I pochi “pusher” presenti si sono dileguati, uno, l’unico fermato, non sembra stare bene, più tardi si scoprirà che aveva ingerito la “merce” pur di non farsela sequestrare.
Il resto dei fermati, circa una quindicina, sono i ragazzi con cui avevamo trascorso il pomeriggio. Molti protestano, richiamano la nostra attenzione. Sono tutti regolari, qualcuno ha il visto per turismo ancora valido, uno di loro ha chiamato velocemente la moglie per farsi portare i documenti sbadatamente lasciati a casa.
I dirigenti dell’operazione non sembrano preoccuparsene.
Esplicitamente, uno di loro spiega la vicenda a tutti facendo riferimento agli articoli usciti sui quotidiani la stessa mattina. “Avete visto i giornali?”dice. “Ecco, noi siamo venuti a fare un controllo. Se siete in regola vi rilasciamo”.
L’operazione è tutta seguita da un fotografo e da una telecamera arrivati sul luogo con le pattuglie. I migranti vengono tutti caricati nei blindati illuminati da una fitta sequenza di scatti e flash.
L’emergenza chiama e ha bisogno di rispose immediate.
Poco importa se nessuno di loro avesse motivo di essere condotto in Questura.
L’indomani il quotidiano più letto in città avrebbero titolato lapidariamente e senza indugi: “Rastrellamento in via Cairoli. Dopo le foto del degrado, stanati decine di immigrati”.
Lo stesso pomeriggio invece, i fermati, sarebbero tutti stati rilasciati.
Le loro foto, insieme a quelle del negozio di Victor, sono comunque state buone per offrire rispose immediate all’allarme sociale sollevato in quei giorni.
In mezzo a tutto questo c’è anche molta politica, un botta e risposta a suon di dichiarazioni allarmistiche e retate, ronde e operazioni lampo, anche se per molti versi, in via Cairoli, sembrava di trovarsi al centro di una fiction.
Di reale rimangono le condizioni in cui sono costretti a vivere migliaia di migranti in Italia ed in Europa travolti dall’emergenza sicurezza, rimane la legge che governa le loro vite, rimane la realtà dei quartieri che attendono risposte vere.
Rimane la convinzione che solo intorno ai diritti di cittadinanza si possa costruire una città diversa, per tutti.

Nicola Grigion, Melting Pot Europa