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Venezia – Permesso di soggiorno per motivi umanitari alla donna moldava “irregolare”

Rischiare la vita per essere accolti nella "comunità nazionale"?

Il caso dell’assistente familiare (cosiddetta “badante”) Victoria, che a causa del monossido di carbonio ha rischiato la propria vita per salvare l’anziana signora da lei stessa assistita, ha fatto scalpore su tutti i quotidiani locali e ha messo in moto una serie di interventi e prese di posizioni da parte non solo della Prefettura ma anche del Comune della città, della Cgil veneta, delle associazioni che si occupano di immigrazione e dei singoli cittadini.

In questi giorni viene da dirsi anche quanto opportunismo ci sia dietro al silenzio, in questo caso, del lavoro di cura, il “welfare nascosto” che migliaia di famiglie italiane utilizzano per la mancanza e l’inefficienza del sistema formale di welfare e con la risoluzione di problemi a costi ragionevoli. Il caso di Victoria ha invece fatto eco e per l’ennesima volta ci ha mostrato un congegno che si nutre dell’invisibilità dei migranti.

Poco dopo l’accaduto il sottosegretario all’interno M. Lucidi, attraverso un comunicato stampa, ha chiesto l’approfondimento del caso della signora moldava, sottolineando “quanto sia necessario prevedere per legge il riconoscimento di uno speciale permesso di soggiorno agli immigrati irregolari che dimostrano un elevato senso civico e lo spirito di appartenenza alla comunità nazionale”.

Ma si tratta veramente di premiare qualcuno?
Qual’è e come si misura l’elevato senso civico in base al quale si decide per una donna o uomo la disponibilità ministeriale di farla/o soggiornare in Italia?
È quello di essere docili, servili e assoggettati a leggi ingiuste, è quello di rischiare la vita al lavoro e se accade morirci da irregolari privi di qualsiasi tipo di sicurezza e protezione in ambito lavorativo?
E lo spirito di appartenenza alla comunità nazionale cos’è?
Non è quello di migliaia di lavoratori e lavoratrici che ogni giorno contribuiscono a mantenere viva l’economia nazionale, costretti ad una paga infima e a condizioni di lavoro che spesso rasentano lo schiavismo?
Stiamo parlando di quella appartenenza che li esclude a priori e li costringe all’invisibilità perchè non rientrano nel numero delle quote stabilite dalla roulette del decreto flussi promosso nell’anno? O di un’appartenenza ad una legge che non offre loro nessuna tutela se non quando sfiorano la morte o la sciagura, la menomazione fisica o altra rovina?
Ne abbiamo visti ancora nel nostro paese di questi casi, son successi ad altre donne di cura, agli irregolari sfruttati nei campi di raccolta dell’agricoltura al sud, a chi ha pagato direttamente con la vita o rimanendo ferito nei cantieri edili del sommerso, alle donne vittime della tratta…

Forse dovremmo ridiscutere su un nuovo “senso civico” e su una nuova “comunità nazionale” che da anni si va ampliando. Ridiscutere sul significato reale di questi termini ci fa riflettere sul fatto che nonostante la rigidità della legge Bossi-Fini la comunità si è allargata e molti hanno spinto per riconoscersi in essa attraverso il duro lavoro, l’onestà e la ricerca di migliori condizioni di vita.

Perché continuare con applicazioni restrittive ed esclusive di accesso ai posti disponibili per il permesso di soggiorno? Perché continuare a lasciare nell’invisibilità centinaia di persone che lavorano ed hanno una casa qui? Ormai è sotto gli occhi di tutti ed è anche per questo che la nostra redazione chiede, attraverso una petizione, l’accoglimento di tutte le domande del Decreto Flussi 2007. Perché nessuno sia costretto a rimanere nell’invisibilità, ad essere sfruttato rischiando la vita, perchè sia chi sfrutta queste persone sui nostri territori o chi le sfrutta per farle entrare in Italia ad essere sanzionato.