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da Peacereporter del 29 luglio 2008

Addio alla ‘soluzione pacifica’

Immigrazione, l'Australia non manderà più in carcere i richiedenti asilo in attesa

Era una delle poche notizie che escono dall’Australia e fanno il giro del mondo: qualsiasi richiedente asilo arrivato nell’isola-continente veniva messo in carcere, e lì ci rimaneva mentre la sua pratica veniva esaminata. Le immagini delle proteste di questi migranti, alcuni con le labbra cucite a simboleggiare la loro mancanza di voce, hanno fatto il giro del mondo e divennero la caratteristica più conosciuta all’estero del conservatore John Howard. Otto mesi dopo la sconfitta del premier che l’ha governata per undici anni, l’Australia ora volta pagina. Il nuovo governo di Kevin Rudd ha deciso di abbandonare la politica di detenzione automatica per i richiedenti asilo.

Le nuove disposizioni. “Non è un’apertura di massa dei cancelli, è una cosa relativa a un trattamento più umano dei richiedenti asilo”, ha detto il ministro per l’immigrazione Chris Evans presentando le nuove disposizioni. “Questo governo rifiuta l’idea che la de-umanizzazione e la punizione degli arrivi non autorizzati con detenzioni a lungo termine sia una risposta efficace e civile. Le persone disperate non vedono come un deterrente la minaccia di una detenzione severa, spesso scappano da circostanze ben peggiori”, ha aggiunto Evans. Sotto la nuova politica, il carcere rimarrà una possibilità remota, da utilizzare solo come ultima risorsa con i rifugiati considerati una minaccia alla sicurezza. In nessun caso verranno detenuti dei bambini, mentre la situazione degli adulti in carcere verrà rivista ogni tre mesi.

La “soluzione pacifica”. Il programma di detenzione per i richiedenti asilo era stato introdotto dai laburisti all’inizio degli anni Novanta, ma fu con l’arrivo di Howard che venne applicato in modo sistematico. Nel 2001 fu introdotta la politica della “Pacific Solution”, ossia la creazione – in cambio di aiuti economici – di alcuni centri di detenzione su piccole isole dell’Oceania, come Nauru, dove venivano inviati i migranti intercettati in mare o all’arrivo in aeroporto. La filosofia alla base era simile a quella applicata dagli Usa ai detenuti di Guantanamo: non avendo messo piede sul suolo australiano, queste persone non potevano appellarsi alle leggi di tutela dei diritti umani. Il programma all’inizio era ben visto dagli australiani, convinti del fatto che molti immigrati mentissero sulla loro condizione di perseguitati in patria. Ma anche in seguito alle sensazionali proteste, tra cui quelle di alcuni detenuti di Nauru che si cucirono le labbra con il filo, la politica di Howard aveva perso popolarità. La “soluzione pacifica” era stata già abbandonata dal nuovo premier Rudd all’inizio di quest’anno. Quelle annunciate oggi sono le misure che completano la riforma dell’immigrazione, e si applicheranno già ai 380 richiedenti asilo attualmente detenuti.

Rimane un centro di detenzione. Le organizzazioni per i diritti umani hanno accolto con favore le novità del governo. Amnesty International ha definito le riforme “un passo avanti” che porta il sistema australiano “in linea con quello delle altre democrazie occidentali”. Un centro di detenzione però rimarrà attivo, quello dell’Isola di Natale, territorio australiano a sud dell’arcipelago indonesiano, che il governo Howard ha reso “esterno” all’Australia per quanto riguarda i migranti in arrivo. Per i tanti profughi in fuga da Iraq, Afghanistan o Sri Lanka, che arrivano in Indonesia via aereo e poi tentano il viaggio della speranza via mare, è spesso il primo pezzo di terra australiano che possono sperare di incrociare.

di Alessandro Ursic